A una madre non si chiede se è pronta.
Non suona, non funziona — “Madre, sei pronta” —, certo che è pronta, una madre è pronta per forza; e se non lo fosse, caso mai non lo fosse, deve essere pronta lo stesso, oppure che menta! Non lo dica! Lo neghi! Ma una madre è pronta: per definizione. Non si chiede a una madre: “Sei pronta?”. A nessuno è mai venuto in mente di farlo. Tutti sanno che una madre è già pronta e, se sono sopravvissuti, se sono diventati adulti abbastanza da poter codificare il pensiero, allora significa che anche loro sono o sono stati figli di una madre prontissima.

Al padre tutti chiedono se è pronto.
Al padre si può.
Al padre si deve.

“Insomma, padre, sei pronto?”

Nei primi giorni di questa cosa nuova — la micropersona a casa con due microgenitori — tutti venivano a trovarci, una processione non sempre gradita, e, accalcandosi, si concentravano ovviamente sulla creatura, inerme e inutile, agglomerato di carne e aminoacidi complessi, che nulla dava e niente pretendeva se non nutrimento e qualche minima spiegazione di fondo, chi siamo, da dove veniamo, che cos’è questo pianeta, perché i fiori profumano, come mai i Modà hanno successo? Eccetera.

Vagiti, versetti, lillipuziane articolazioni che si muovevano a scatti nella meraviglia generale, come se nessun altro essere vivente fosse mai nato, davvero, mai prima di allora, e nostra figlia fosse la Prima o, che ne so, l’Ultima, un film distopico sulla fine della razza umana.

Tutti intorno a lei e naturalmente alla madre, i totem di questa epica sulla Creazione; e il padre dove? Il padre più indietro, certo, ad annuire senza troppo costrutto, qualche volta coinvolto nella conversazione per pietà o commiserazione, come ci si rivolge nei salotti borghesi a un dalmata o a un gigantesco persiano; per convenzione, ben sapendo che mai potrà rispondere, perché privo di mezzi, di vocabolario, certamente d’intenzione.

A un dalmata gli puoi pure chiedere la sua opinione sul conflitto palestinese, ma alla fine è con un croccantino che chiuderai la questione.
Un croccantino e una carezza sulla testa.

“Insomma, padre, sei pronto?”
Qui tre varianti possibili:
1) “Sì”
2) “Eh, sì dài…”
3) “Diciamo di sì…”

Tre modulazioni della stessa frequenza che hanno tutte il vantaggio di calmierare i questuanti, di soddisfarli, la coscienza a posto di chi anche per quel giorno si è tolto il pensiero; ma io devo ammettere che qualche volta ce l’ho avuta invece la tentazione di rispondere “NO”, soprattutto prima della nascita, in quel limbo in cui si è genitori e niente affatto, già padri e tutt’altro, un “no” enorme, catastrofico, un “no” capace di lasciare a terra i presenti come altrettanti corpi calcificati di Pompei; non un semplice “no”, ma un’eruzione vulcanica di senso, un 11 settembre umano, no-no-NO, non sono pronto, non lo sono affatto, non lo sarò mai, non sono mica la madre, io ho il diritto di non essere pronto.
Io-non-voglio-essere-pronto.
Dopo di che piangere, naturalmente.

Visto che me lo chiedi

Voglio dire, visto che me lo chiedi, se sono pronto, allora dimmi: come si individua il pediatra? Come imparerò a fidarmi di ciò che dirà? E se si sbaglierà? Quando riceverò il codice fiscale della neonata? Come otterrò la carta di identità? E il passaporto? C’è poi differenza?

Perché dovrebbero servirle dei documenti prima dei ventisei anni? Come si monta in auto quell’oggetto che tutti chiamano “ovetto”? Fino a che età si potrà usare? Chi mi dirà queste cose? Esiste davvero il rischio concreto che un neonato possa morire nella culla senza alcun motivo? E come si prende in braccio? Come si rimprovera? Come si fa a fargli fare il ruttino? Come dovrò comportarmi quando piangerà?

Che cosa sarò chiamato a fare in qualità di padre? Saprò distinguere i vari tipi di pianto? Hanno senso tutti i libri che sto leggendo di notte mentre non dormo? È vero che è impossibile viziarli nei primi sei-nove mesi? È vero che possono morire durante il parto soffocati dal cordone ombelicale o uccisi da orrende infezioni? Va bene che piangano appena usciti dalla pancia o è un brutto segno? Che colore dovrà avere la sua pelle per potersi dire tranquilli? Che cosa succederà quando mia moglie ricomincerà a viaggiare per lavoro? Saprò occuparmene da solo? Saprò essere dolce davanti agli estranei? E, istanza ancora più terrificante, saprò essere dolce, accattivante, tenero, in presenza dei miei genitori? Sarò in grado di accettare critiche e consigli? A che età si dovrà svezzare? Come si svezza? Come si impugna un biberon? Bisogna scaldarlo? Quando vanno sterilizzati i ciucci? Va bene se si mette le mani in bocca? I denti a che età?

Quando gattonerà? Quando parlerà? Quando camminerà? Come cazzo farò a insegnargli o a insegnarle a usare il gabinetto senza che vi precipiti dentro e finisca nelle fogne divorato dai coccodrilli? Da dove si comincia?

Dove si fanno le vaccinazioni? Quando? E le supposte? C’è un colore particolare delle feci che dovrebbe indurmi a preoccuparmi? Quando si può parlare di stitichezza? Che cosa bisogna fare se ha la febbre? E per prevenire il mal di pancia? E le coliche? E l’aria nello stomaco? E se avesse il naso chiuso? Qual è la posizione migliore per l’allattamento? E se il latte materno non dovesse bastare, quale sarà il latte di formula migliore? In polvere o liquido? Come e dove si affitta un tiralatte?

È vero che i neonati possono scambiare il giorno con la notte? Questo può indurre al suicidio i genitori? Servirà una bilancia? Ha senso fare la doppia pesata? O è davvero una schiavitù psicologica come si legge in giro? Annegherà durante il primo bagnetto?

E se litigheremo? E se non saremo adatti? Quando potrà nuotare? Potrà andare in montagna, o l’altitudine gli farà scoppiare il cervello? E se non sopporterò i sistemi educativi di mia moglie? E se non dovessi trovare il coraggio di farle presente certi miei inevitabili disaccordi e il cervello scoppiasse a me? E se mi frustrassi a tal punto da frantumarmi?

E se fosse stata una cattiva idea? E se mi risvegliassi tra due anni completamente finito, esaurito, sfiduciato e stanco? E se mi venisse voglia di farmi un’amante? E se venisse voglia a mia moglie? E se ci stufassimo? Se ci guardassimo una notte alle quattro e un quarto, l’ennesima notte insonne, e vedessimo l’uno negli occhi dell’altra che qualcosa si è spezzato per sempre? Saprò ingoiare la sensazione di non essere più io il centro del mondo?

Saprò regolare le aspettative nei confronti di questa nuova persona che arriverà in casa nostra? Saprò sentirla mia? Saprò provare amore? Sarò all’altezza delle aspettative corali che la società mi imporrà? Sarò d’accordo con mia moglie per le piccole cose? E per quelle grandi? Antibiotici sì o no? Sarò ipocondriaco? Saprò stabilire con lei o lui un rapporto anche fisico, fatto di abbracci, baci e pelle? Amerà qualcosa che amo anche io? Se avrà una vagina anziché un pisello saprò guardarla senza mettermi a strillare?

Saprò mettere da parte le mie fisime, il mio istinto autovittimistico, il mio paralizzante senso di colpa? Saprò trattare argomenti quali il sesso o la droga o la politica, senza incazzarmi o sentirmi preso per il culo? Saprò dire di no? Ma soprattutto saprò sentirmi dire di no? Come si insegna a qualcuno a leggere l’orologio o ad allacciarsi le scarpe? Come farò a capire se la pappa è troppo calda? C’è un modo per indurre il sonno? Il nostro appartamento sarà grande abbastanza? Dovremo trasferirci?

Saprò intervenire se si strozzerà o soffocherà? La febbre alta diventa pericolosa oltre quale temperatura? E quando arriverà il momento del parto, come me ne accorgerò? Che cosa significa “rompere le acque”? Oltre quale lasso di tempo tra una contrazione e l’altra dovrò uscire di casa per portarla in ospedale? E la valigia per il ricovero? Me la ricorderò?

Avrò idea di com gestire i “sacchetti” con i cambi giorno per giorno? Troverò la strada per l’ospedale? Dov’è l’ospedale? Una volta lì, a chi dovrò chiedere? Mia moglie sarà in grado di camminare? Me la sentirò di assistere al parto? Riuscirò a gestire quelle ore di attesa? Quanto impiega, mediamente, un feto per essere espulso? Farà davvero così male? Sarò in grado di offrire conforto a mia moglie senza trasmetterle ansia? L’epidurale la fanno anche ai padri?

Riuscirò mai più a considerarla come una donna, una femmina, dopo averla vista spingere a gambe aperte urlando per qualcosa che non sono io? E se dovesse defecare durante il travaglio? E se svenissi? E se mi ricoprissi di ridicolo? Qual è l’incidenza di morte della madre durante il parto? E del padre?
E se succedesse qualsiasi cosa?

“Insomma, padre, sei pronto?”
(Prova a chiedermelo, adesso)

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