Il primo ricordo fortissimo che ho della paternità, o per meglio dire la prima volta che francamente mi sono sentito parte di qualcosa di sproporzionato, fu quando mia moglie e io avemmo certezze sul sesso della nascitura.

È femmina!

Già c’erano state avvisaglie, luci nel cielo, la posizione delle stelle, certe sensazioni inspiegabili, e in particolare una dottoressa che la sapeva lunga, di cui si diceva che non fallisse mai il vaticinio sul genere, e che dunque a me sembrava chiaro dovesse fallire per la prima volta proprio con noi, si corresse in corsa durante un’ecografia, titubando un attimo di troppo sulle misteriose immagini in bianco e nero del feto a mollo nella sacca amniotica, e con una nonchalance che a me parve un’innata forma di eleganza passò da un generico e quasi sbadato “È cresciuto…”, a un devastante e molto più appassionato “È cresciuta!”, che proiettò me a duecento metri da quella stanza e il mondo intero che conoscevo in un’altra galassia o dimensione.

Era presto, naturalmente, non c’era niente di sicuro, eccetera, tuttavia quella microscopica correzione, quel dettaglio che la dottoressa era riuscita a scorgere in un quadro che ai miei occhi risultava invece indecifrabile come una di quelle lunghissime equazioni che riempiono una lavagna intera nei film sugli scienziati pazzi o i geni, mi avvicinò per la prima volta all’idea che quanto stavamo facendo aveva davvero a che fare con una persona. 

La conferma arrivò un paio di settimane dopo.
Nostra figlia era femmina.

Il dominio del maschio

Tornando in auto verso casa, con quella… cosa scritta nero su bianco in una cartella con il logo della clinica stampato in un leggero ed elegante rilievo, mi sentivo strano.

Era come se tutta una serie di complesse strutture chimiche dell’aria si fossero invertite e io dovessi riabituare il mio organismo ad assorbirla e nel frattempo annaspassi, ma non era l’aria e non c’entrava la chimica: la questione era culturale e mi permeava.

Miriam

chiede:

Il dominio della sessualità maschile è talmente radicato che in mancanza di informazioni precise si tende a considerare “maschio” qualsiasi cosa. Non ci si rende conto di quanto sia vero che il mondo è “dominato” dagli uomini finché una dottoressa non corregge “È cresciuto” in “È cresciuta” in un modo che non è affatto neutro, che non riesce a esserlo nemmeno in una persona di scienza: “È cresciuta” suona diverso e un po’ esotico, come leggere lo stesso menu di un ristorante in una lingua diversa dalla propria: la comprensione non si arresta ma subisce uno sfarfallamento, o qualcosa di simile.

bambino-urlante

Nel momento in cui abbiamo saputo che nostra figlia era femmina, la direzione della nostra vita ha cambiato binario, lo abbiamo sentito distintamente e la riprova l’abbiamo avuta quando abbiamo comunicato la cosa alla nonna materna.

Eravamo ancora in macchina, con quella cartella della clinica sulle ginocchia, abbiamo fatto il numero e mia moglie ha detto a sua madre la novità. La risposta, la reazione è stata una risata. Nient’altro. Lo ricorderò per sempre.

Una risata lunghissima, gioiosa, che riverberava nell’abitacolo attraverso il vivavoce: una risata paccuta e solare, in cui c’era lo stesso entusiasmo particolare che aveva investito anche la dottoressa Cassandra quando aveva frettolosamente modificato la declinazione di quel passato prossimo indicativo.

Una figlia femmina è la foglia colorata dentro una biglia di semplice vetro.
Qualcosa che cambia le carte in tavola.

Gli stronzetti del parco giochi

Non ho mai nutrito particolari desideri di paternità, finché non mi ci sono trovato, ma  una cosa la sapevo: se così doveva essere, avrei voluto essere il padre di una figlia femmina. Dolci, educate, posate, equilibrio dell’universo, meccanismo perfetto, letteratura, fiori e coriandoli, leggiadria e contenuto.

Le figlie femmine costituiscono la salvezza, la stasi, il riposo per gli occhi, ma soprattutto sono ragionevolezza, sono un freno all’irruenza di quegli altri, i maschi, gli stronzetti del parco giochi. La superiorità assoluta, indiscutibile con cui mia figlia osserva lo stronzetto numero mille che salta la fila e si proietta giù per lo scivolo al posto suo o le ruba il posto sull’altalena, è un insegnamento, un modello di vita: non reagisce, osserva.

Si limita ad annoiarsi, è Madame Bovary che demolisce Moby Dick con un leggero colpo di sopracciglia, una cosa bellissima e devastante da vedere succedere, perché è inarrivabile, come il cataclisma di un mondo o un meteorite che precipita in una foresta.

Seguici anche su Google News!
Ti è stato utile?
Rating: 4.6/5. Su un totale di 5 voti.
Attendere prego...
  • Un papà in costruzione

Categorie

  • Paternità