Dad Allies Movement: il movimento dei papà che diventano alleati contro gli stereotipi

Sempre più padri maturano la consapevolezza dell'importanza della loro presenza all'interno delle proprie famiglie. E si alleano perché questa presenza venga maggiormente riconosciuta e tutelata.

Gli stereotipi e i pregiudizi sono duri a morire, soprattutto se a contrastarli sono solamente coloro che ne sono vittime. È come chiedere a chi è già emarginato di lottare da solo contro un sistema che lo esclude, o a una persona con disabilità motoria di accedere a edifici pieni di barriere architettoniche, senza che nessuno si preoccupi di rimuoverle (o di evitarle fin dall’inizio). Anche per contrastare gli stereotipi legati alla genitorialità, di cui spesso sono vittime gli stessi uomini, serve un approccio condiviso, non iniziative isolate. Da qui nasce il progetto Dad Allies Movement, con l’obiettivo di superare l’idea che la cura dei figli sia un compito esclusivamente materno.

Dad Allies Movement: da quando è nato il movimento e chi lo promuove

Il Washington State Fatherhood Council spiega che il Dad Allies Movement è un’iniziativa nata per sostenere un cambiamento culturale nel modo in cui i padri vengono coinvolti, sostenuti, percepiti e rappresentati nei servizi pubblici e nella società.

Il movimento ha preso forma durante la sessione conclusiva del terzo Fatherhood Summit, ispirandosi all’esperienza del Fathers Corps, un programma di successo sviluppato da First 5 Alameda County in California. Alla base del progetto ci sono i Father-Friendly Principles, un insieme di linee guida pensate per aiutare professionisti, responsabili delle politiche e istituzioni a rendere i propri servizi più inclusivi e accessibili ai padri e alle famiglie.

Oltre al Washington State Fatherhood Council, il movimento Dad Allies Movement (anche se con altre denominazioni) ha trovato solidali (alleati) in numerose altre iniziative a livello internazionale.

Percorsi e strumenti per diventare un papà alleato

Al centro del Dad Allies Movement c’è l’obiettivo di potenziare i servizi educativi per la paternità coinvolgendo tutte le figure paterne, non solamente quelle strettamente biologiche. Lo scopo principale è quello di consentire agli uomini di diventare i padri che desiderano essere, non quello che stereotipi e pregiudizi vorrebbero che fossero.

Per perseguire questi obiettivi il Dad Allies Movement si articola in diverse iniziative. Dagli eventi nei quali permettere il dialogo tra i padri e le figure professionali, politiche e istituzionali ai workshop formativi dedicati ai professionisti per rendere i servizi più “father-friendly” passando per i gruppi di confronto tra i padri.

Tra le iniziative nate a livello europeo, di cui dà notizia anche l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), c’è il progetto 4e-Parent (Equal, Engaged, Early, Empathetic) che mira a creare una genitorialità condivisa, paritaria, responsiva ed empatica. Questo perché, come evidenziato da una quantità sempre maggiore di evidenze scientifiche, il coinvolgimento precoce dei genitori, padri inclusi, è fondamentale sin dai primi anni di vita dei bambini.

A beneficiare e a essere condizionati da questo coinvolgimento sono sia gli uomini che i bambini. I padri, per esempio, sviluppano risposte ormonali (ossitocina, prolattina) che favoriscono una connessione emotiva tra padre e figlio. Altri studi, come quello pubblicato su BMJ Open, confermano che il coinvolgimento paterno porta benefici importanti per i figli, come la riduzione dei problemi comportamentali, un maggiore rendimento scolastico e relazioni sociali migliori. Questo supporta la necessità di fornire ai padri strumenti concreti (formazione, gruppi di confronto, supporto) per essere presenti. Da questo punto di vista va sottolineato come i genitori di oggi non abbiano modelli paterni di riferimento e il ruolo del padre sta vivendo una sorta di fluidità che non aiuta i padri a creare quella genitorialità condivisa, paritaria, responsiva ed empatica. Per questo è necessario investire in percorsi formativi e spazi di confronto che aiutino i padri a ridefinire la propria identità sia come uomini che come genitori.

È estremamente interessante, riprendendo lo studio del BMJ Open, che a incidere sui comportamenti positivi nei bambini ci sono anche tutti quegli aspetti psicologici ed emotivi del modo in cui i nuovi padri si vedono come genitori e si adattano al ruolo, più che la quantità di coinvolgimento diretto nella cura dei bambini.

Dad Allies Movement: effetti sul bilancio familiare e sulle carriere femminili

Il movimento di parificazione della genitorialità, che vede i padri coinvolti in prima linea nel contrastare gli stereotipi e i pregiudizi, ha ripercussioni positive non solo su di loro e sul loro legame con i figli, ma sull’intera dimensione familiare.

Quando i padri sono presenti e coinvolti attivamente ci sono effetti positivi sulla salute mentale delle donne e sulla qualità della relazione di coppia. Una maggiore corresponsabilità genitoriale è associata a una riduzione degli episodi di violenza domestica, ma anche a un abbassamento dei livelli di stress materno.

Ovviamente questi obiettivi devono tradursi in soluzioni concrete e non limitarsi all’ambito delle discussioni teoriche. Per questo è interessante analizzare l’impatto della durata del congedo di paternità con il gender pay gap. Come riportano i dati dell’OCSE, di cui dà notizia il Financial Times, esiste una correlazione tra l’estensione del congedo di paternità retribuito e la riduzione del divario salariale di genere. Nei Paesi in cui ai padri vengono garantite almeno sei settimane di congedo, la differenza retributiva tra uomini e donne si abbassa in media di quattro punti percentuali. L’Italia da questo punto di vista è agli ultimi posti in Europa con il congedo obbligatorio per i padri che è di soli dieci giorni e soltanto il 7% dei padri ne usufruisce, contro, per esempio, il 69% della Svezia.

Nonostante gli enormi cambiamenti ancora oggi la maggior parte del lavoro di cura dei bambini è a carico delle donne. Non solo: è considerato normale e doveroso che sia così. Si tratta di un lavoro non solo non retribuito e dato per scontato, ma che incide significativamente anche sulle opportunità di carriera e sulla qualità della vita delle donne.

Se da un lato aumentano i segnali di una maggiore apertura verso la paternità attiva, dall’altro resistono paure e pregiudizi. A svolgere un ruolo importante sono soprattutto i padri più giovani con i padri Millennial che mostrano una propensione molto più forte a investire tempo, energia e identità nella relazione con i figli. La scelta di un padre di restare a casa per occuparsi dei figli (quello che viene sminuito come un comportamento da mammo) è però ancora guardata con sospetto, come se intaccasse l’autorevolezza o mettesse in discussione un certo modello maschile. È il segno che le riforme legislative, da sole, non bastano e che serve un vero cambiamento culturale, che renda accettabile la cura da parte degli uomini. E probabilmente è anche il cambiamento che richiede più tempo e fatica.

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