Quando uno dei due genitori è un “Passenger Parenting” è un problema
Dalla performance di un mimo a un video su TikTok: come il fenomeno del Passenger Parenting è diventato virale e cosa ci può insegnare.

Dalla performance di un mimo a un video su TikTok: come il fenomeno del Passenger Parenting è diventato virale e cosa ci può insegnare.
Molti dei fenomeni culturali e sociali della modernità emergono anche grazie ai social network. Episodi che altrimenti rimarrebbero relegati nei confini geografici delle persone che vi hanno assistito, diventano spesso virali, ottenendo una diffusione enorme. Così che un “banale” episodio diventa oggetto di dibattito pubblico più ampio. È quanto accaduto a SeaWorld (una catena di parchi tematici statunitensi dedicati alla vita marina) con un mimo che, osservando una coppia come tante altre, ha deciso di intervenire scatenando ilarità e discussioni.
Una madre cammina tenendo in braccio un neonato e portando una borsa pesante, mentre il padre procede al suo fianco a mani libere. Un mimo, notando la scena, decide di intervenire pubblicamente prendendo la borsa dalle spalle della donna e poggiandola sulle spalle dell’uomo, suscitando le risate e gli applausi dei presenti.
Il mimo poi si rivolge al pubblico, enfatizzando con espressioni esagerate l’atteggiamento passivo del padre, e concludendo la sua “performance” mimando il gesto del cambio pannolino, a sottolineare che la genitorialità richiede partecipazione da entrambe le parti. Il video è stato condiviso sui social e, come riportato sia dal Daily Telegraph e dal New York Post, ha raccolto milioni di visualizzazioni, accendendo il dibattito sul tema del carico mentale e fisico nelle famiglie. È quello che prende il nome di Passenger Parenting, un fenomeno ben più importante di una manciata di like e condivisioni, tanto da essere stato oggetto anche di uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Family Studies.
In questo studio condotto da Norma Barrett, docente alla Deakin University, si utilizza per la prima volta l’espressione passenger parenting (genitorialità passiva o genitore “passeggero”), utilizzata per indicare quella sensazione diffusa tra molti padri che desidererebbero essere più presenti nella vita dei propri figli, ma si ritrovano esclusi da dinamiche familiari consolidate. In molte case, è la madre a prendere automaticamente il controllo delle attività legate alla cura dei bambini, soprattutto nei primi anni di vita, creando una routine in cui l’altro genitore diventa un semplice accompagnatore. Il comportamento del mimo colpevolizza, con l’arma dell’ironia, il padre quando in realtà egli è più vittima che carnefice.
È un fenomeno interessante anche per l’idea diffusa che i padri, e gli uomini in generale, siano disinteressati alle vicende familiari. In realtà, i genitori di oggi, sono molto più coinvolti nella vita quotidiana dei figli, anche quando sono neonati, ma la percezione pubblica spesso è quella per cui non fanno mai abbastanza, tanto da apparire disinteressati.
In realtà è doveroso distinguere tra un comportamento intenzionale (disinteresse e incompetenza) e uno subito, com’è appunto il passenger parenting. Tra le cause di questa passività, infatti, c’è spesso un’incertezza personale, un senso di colpa, una percezione di disagio nel proprio ruolo di genitore e altrettanto spesso una mancanza di opportunità.
Se inizialmente è comprensibile, e a tratti inevitabile, che la cura di un neonato spetti prevalentemente alla madre (specialmente se allatta al seno), spesso si corre il rischio che tale sbilanciamento si cronicizzi e il padre anche volendo non riesce a subentrare nella routine quotidiana di cura e assistenza del bambino. Così tra ritmi, abitudini e dinamiche personali, si perde il controllo (che non si è mai avuto) e si finisce per ritrovarsi ai margini.
Per molti uomini il passenger parenting è la conseguenza di fragilità personali, traumi pregressi, esperienze negative, difficoltà nella gestione dello stress e senso di inadeguatezza che possono portare queste persone a evitare di affrontare il proprio ruolo per fuggire il timore del fallimento.
Non si tratta tanto di sentenziare di chi sia la colpa, quanto di analizzare un fenomeno e superare facili (ed erronee) spiegazioni. Se l’intenzione del mimo era quello di far ridere (e ci è riuscito), ha però in realtà dato per scontato che quel padre fosse colpevolmente “assente” e “passivo” andando forse a toccare una ferita di quell’uomo.
Di certo c’è che ritrovarsi in dinamiche di coppia di quel tipo non è sano per nessuno. Dei padri abbiamo detto, mentre le madri rischiano di andare incontro a un burnout emotivo e fisico, spesso accompagnato da un senso di frustrazione verso il partner. Nel passenger parenting ci si ritrova di fronte a una dinamica molto sottile, legata a modelli sociali, insicurezze personali e alla mancanza di un dialogo esplicito all’interno della coppia. Più che colpe dirette è il frutto di tante concause, la maggior parte delle quali da ricercare al di fuori della coppia.
Non si può infatti sottovalutare come il desiderio di molti padri moderni di prendere parte alla vita dei propri figli sin dai primissimi giorni di vita si scontra spesso con politiche familiari ancora poco inclusive e con una cultura che continua a vedere nella madre la figura di riferimento. Non a caso l’uomo che cambia pannolini, porta il figlio dal pediatra, ci gioca, ecc. viene chiamato mammo.
Chi si trova coinvolto in una dinamica di questo tipo deve sapere che può contare su diverse strategie per riequilibrare i compiti familiari e uscire da questa dimensione nociva. La prima strategia è quella legata alla consapevolezza. È necessario che entrambi i partner riconoscano la situazione e la affrontino insieme, con un dialogo aperto e onesto sulle rispettive aspettative e difficoltà.
È altrettanto importante che il genitore che tende a rimanere ai margini si assuma responsabilità specifiche. Non basta aiutare ogni tanto, ma occorre prendere in carico compiti precisi, imparare a svolgerli in autonomia e partecipare anche alle scelte quotidiane, non solo ai momenti più gratificanti. Dall’altra parte, chi finisce per occuparsi di tutto dovrebbe provare a condividere le proprie competenze senza giudicare o scoraggiare facendo in modo che il partner possa intervenire.
Parallelamente al dialogo (o per favorirlo) è utile anche valutare il ricorso a un supporto terapeutico individuale o di coppia e a percorsi di parent training tramite i quali acquisire strumenti utili per affrontare blocchi emotivi e ripensare il proprio ruolo genitoriale. L’obiettivo, infatti, non è colpevolizzare le mancanze, ma aiutare a emergere gli elementi positivi, in un lavoro coordinato di supporto reciproco destinato a far crescere serenamente il proprio figlio e a vivere le difficoltà dell’essere genitori con meno fatica accogliendo con gratitudine gli aspetti positivi.