
Il passaggio dal pannolino al vasino (o al riduttore) è molto delicato e il bambino deve essere aiutato a imparare e a gestire autonomamente i pro...
Il percorso che porta dal pannolino al vasino visto con gli occhi (e l'ironia) di un padre: ecco perché lo spannolinamento segna una vera e propria conquista sociale per i nostri figli.
Tra le fasi più insane e innaturali della genitorialità c’è sicuramente quella del cosiddetto “spannolinamento”, un lemma bruttissimo per indicare una specie di striscia di Gaza della naturale crescita di un figlio, quella forse a cui meno si è preparati, perché — c’è poco da fare — non te lo dicono, non ti preparano, sì, ok, a un certo punto succederà, che l’infante sarà cresciuto abbastanza da potersi permettere di fare pipì e cacca in un vasino, ma da quando ancora è in fasce sembra un momento così lontano nel tempo che, semplicemente, come spesso l’umano fa con altre contingenze incomprensibili, ad esempio la propria mortalità, non ci si pensa.
Poi succede.
A differenza di altre conquiste — il camminare, lo svezzamento, l’uso delle posate, rapinare un bancomat, eccetera — quella di non cacarsi né pisciarsi più, be’, addosso, non sorge dal figlio, da una sua esigenza naturale o innata, bensì dalla pressione sociale.
A un certo punto, e giuro che non saprei dire il perché, diventa sconveniente farlo, cioè diventa sconveniente essere una persona che non sa fare la cacca o la pipì in un, diciamo, water, o gabinetto, o qualsiasi contenitore diverso dalle proprie mutande, e occorre imparare.
Il passaggio dal pannolino al vasino (o al riduttore) è molto delicato e il bambino deve essere aiutato a imparare e a gestire autonomamente i pro...
Perfino l’asilo te lo richiede. Passato il nido, arriva il lager della scuola materna, dove maestre che non sorridono mai più e rispondono alle blande ed eventuali battute degli adulti con espressioni à la Bela Lugosi (nella più fortunata delle ipotesi) esigono che il bambino o la bambina, considerato alla stregua di un cliente di un centro termale, sappia comportarsi all’incirca come un notaio, e così essere “spannolinati” diventa la prima vera conquista sociale e in famiglia non si parla più d’altro che di cacca e pipì.
Giuro, nemmeno alla nascita l’argomento era a tal punto nevralgico. La crisi di mezza età che mi ero immaginato prevedeva un me stesso adulto conversare con altri coetanei del numero dei cavalli o degli optional dell’ultimo modello di spider preso in leasing, invece il metro della nostra felicità, no, di più, la misura della nostra realizzazione come individui è data dalla capacità o meno dei nostri figli di… fare di conto? No! Di relazionarsi in modo adeguato con gli altri? Macché!
Di manifestare piccole quanto commoventi pulsioni artistiche? Non ce ne frega un cazzo! Di essere ubbidienti e volenterosi? Ragionevoli ed educati? Rispettosi, ambientalisti, spiritosi, intuitivi, politicamente impegnati? No, no e ancora no!
D’un tratto tutto quello che conta è quanto spesso e quanto bene e con quanta consapevolezza queste micro-persone di due, tre anni sanno fare la pipì e la cacca in un minicesso a forma di ippopotamo azzurrino.
Ho visto la dignità degli individui migliori crollare davanti a uno stronzo di duecentonovanta grammi depositato nel luogo corretto, compreso la mia che per una cacca finalmente eseguita nel vasino anziché nell’armadio in terrazzo nell’angolo del salone dietro al letto in cucina ho inventato seduta stante una coreografia intera, intitolata poi, forse un po’ prosaicamente, “Il ballo della cacca”, comunque apprezzatissima da mia figlia che da quel momento in avanti ama replicarla nel dettagli ogni volta che l’eroico gesto viene compiuto.
È tutto così divertente che molti di noi scivolano lentamente nell’eroina, ma poi passa.
A un certo punto, come niente, i nostri figli imparano.
E si fanno saccenti.
Mia figlia adesso ha l’aria di chi non ha mai fatto altro in vita propria che usare un vasino.
Ogni tanto accidentalmente si dimentica ed è possibile osservarla camminare con una specie di scoiattolo nelle mutande che pende, una pallottola di mezzo chilo che misteriosamente non sembra darle alcun fastidio (come possa sposarsi questa straordinaria nonchalance, invece, con le urla da babbuino impazzito che lancia quando soltanto uno virgola tre grammi di gelato osano finirle su un dito, prima che qualcuno arrivi a ripulirla, è mistero che passo volentieri agli studiosi di pedagogia o agli ufologi) e in quei casi la sua reazione, una volta che le viene fatto notare il piccolo vulnus procedurale, è di sorpresa, uno sgomento assoluto e centrale che mi instilla sempre il sospetto che in effetti quel monolite di merda glielo abbia apposto qualcun altro nelle mutande al solo scopo di rendere il mio aperitivo peggiore.
Oppure pretende di farmi credere che la cosa sia voluta.
Cioè che si sia cagata addosso per una scelta precisa, analizzata e ponderata ex ante in qualche avamposto misterioso del suo cervello, un’azione dimostrativa, una rivendicazione sindacale o non so che altro, e che dunque non c’è nulla di strano o per cui rimproverarla.
Così, tra alti e bassi, imparano.
Imparano mentre noi genitori ci umiliamo, mentre ci telefoniamo a vicenda per sapere, mentre segretamente tracciamo su lavagnette magnetiche apposte sui frigoriferi diagrammi cartesiani con dati e statistiche e altrettanto segretamente invidiamo fino all’odio i bambini e i genitori che stanno ottenendo risultati migliori dei nostri, consolandoci con qualche mai comprovato studio lappone o danese secondo cui chi impara tardivamente a fare pipì e cacca nel vasino poi, da adulto, sviluppa talenti straordinari, unici, viceversa quegli altri… eccetera eccetera.
Imparano.
Mentre noi disimpariamo come si sta in un ristorante, ci potete riconoscere a vista, che ogni sei, sette secondi appuntiamo il naso e tutti i sensi, “Amore, hai fatto la cacca?”, e ci guardiamo attorno, guardinghi, oppure facciamo gli gnorri mentre i nostri figli seduti sul seggiolone si sollevano di un paio di centimetri ogni mezz’ora, sempre più prossimi al soffitto, le mutandine di raso regalo di nonna ormai gonfie di letame, e se non rinunciamo del tutto alle uscite è perché siamo comunque animati da una fiducia colossale, che ci ha assistito già nei momenti più delicati, per cui a un certo punto tutto miracolosamente finisce e pure quest’altra fase è passata ed è tempo di passare alla successiva, quale che sarà, l’adolescenza, la pubertà, gli amori, la passione per i piercing estremi, l’adesione a un culto, il terrapiattismo, l’omeopatia, il veganesimo, a tutto sono pronti e a niente saranno mai pronti queste stranissime bestie goffissime che siamo noi genitori.
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