Restare incinta e avere un figlio dopo il trapianto di utero: oggi è realtà

Crescono il numero dei trapianti di utero e anche quello dei bambini nati da un utero trapianto; facciamo il punto su questa straordinaria opportunità.

Quella che fino a pochi anni fa era un’eventualità letteralmente impossibile è oggi in diversi Paesi un’opportunità che, seppur ancora limitata, rappresenta una speranza per moltissime donne. Restare incinta e portare a termine una gravidanza dopo un trapianto di utero non è più un’utopia o una speculazione scientifica, ma una realtà comprovata da diversi casi che da circa dieci anni vengono eseguiti con successo.

Che cos’è il trapianto di utero

Il trapianto di utero è quell’intervento chirurgico che prevede il trasferimento di un utero sano da una donatrice a una ricevente. Come spiega l’European Journal of Transplantation (EJT) la ricevente è una donna con infertilità assoluta del fattore uterino (AUFI) e il trapianto è un intervento che nel corso degli ultimi anni si è rivelato efficace per permettere a queste donne di concepire e portare a termine una gravidanza.

L’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI) precisa che l’infertilità assoluta del fattore uterino – una delle principali cause di sterilità che interessa circa il 3% della popolazione mondiale – è una condizione in cui l’utero non è in grado di supportare l’impianto e lo sviluppo dell’embrione. Questo può avvenire nei casi in cui l’utero è completamente assente per condizioni congenite (come nella Sindrome di MRKH) o chirurgiche (come nel caso dell’isterectomia) o, ancora, in presenza di gravi malformazioni che condizionano il normale funzionamento di questo organo.

Tra le particolarità del trapianto di utero, riprendendo quanto precisato dalla Fonazione Veronesi, c’è che si tratta di un intervento temporaneo. A differenza di altri trapianti di organi vitali (come il cuore, il fegato o i polmoni), l’utero che viene trapiantato non rimane per sempre nel ventre della donna, ma viene rimosso al termine della gravidanza. Da questo punto di vista sembrerebbero non esserci alternative neanche in futuro in quanto, proprio perché si tratta di un organo non vitale, è preferibile un secondo intervento di rimozione che sforzi terapeutici per conservare l’utero la cui utilità è legata esclusivamente alla riproduzione.

Chi può accedere al trapianto di utero

Trattandosi di un intervento tutto sommato recente i protocolli di accesso sono in costante evoluzione. In generale le donne che possono richiedere un trapianto di utero devono rispettare alcuni requisiti comuni. A questo proposito il John Hopkins Medicine indica tra i requisiti la presenza di un’infertilità uterina assoluta dovuta all’assenza dell’utero (congenita o chirurgica) o al suo malfunzionamento, avere un’età compresa tra i 18 e i 40 anni (l’aspetto anagrafico varia da Paese a Paese) e l’assenza di gravi comorbidità. Rientrano tra i requisiti anche la volontà di sottoporsi a fecondazione in vitro (IVF) con crioconservazione degli embrioni prima del trapianto, essere consapevoli di poter andare incontro a una gravidanza ad alto rischio, dover eseguire un parto cesareo e considerare la successiva isterectomia.

Sono inoltre necessari un indice di massa corporea inferiore a 30 kg/m², la capacità di assumere farmaci immunosoppressori, la volontà di seguire protocolli di profilassi e di sottoporsi alle vaccinazioni previste, non essere fumatrici, non avere patologie oncologiche da almeno 5 anni e aver superato una valutazione psicosociale.

In Italia, precisa l’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI), il programma sperimentale attualmente in vigore e approvato dal Consiglio Superiore di Sanità nel 2018, prevede che la ricevente abbia un’età compresa tra i 18 e i 40 anni e non abbia avuto precedenti gravidanze a termine.

Per quel che riguarda le donatrici, invece, i criteri di ammissibilità prevedono l’assenza di patologie uterine note, di infezioni e tumori maligni in corso. Anche per le donatrici i criteri variano da Paese e Paese (in Italia, per esempio, è necessario che l’utero provenga da una donna deceduta) e nei casi in cui la donatrice è viva, generalmente viene richiesto che abbia un’età tra i 30 e i 50 anni, che abbiano portato a termine con successo precedenti gravidanze, che non abbiano più desiderio di avere figli, sono negative per l’HIV, l’epatite B, l’epatite C e altre infezioni trasmissibili. Nel caso di donatrici decedute la donazione avviene, previa autorizzazione dei familiari, in stato di morte cerebrale.

Come avviene il trapianto e il percorso clinico

Quello del trapianto di utero è un intervento delicato il cui percorso clinico è particolarmente complesso e richiede il coinvolgimento di un team multidisciplinare. L’iter inizia con la valutazione e la selezione sia della ricevente che della donatrice, per poi procedere con la stimolazione ovarica della ricevente, il relativo prelievo degli ovociti, la fecondazione in vitro e la crioconservazione degli embrioni.

Solo successivamente si procede con l’intervento vero e proprio. Sempre più spesso l’utero viene prelevato dalla donatrice con tecniche minimamente invasive (come la laparoscopia o la chirurgia robotica) e durante l’intervento è fondamentale isolare e preservare i vasi sanguigni che nutriranno l’utero trapiantato. Nelle donatrici decedute l’intervento è più radicale con una resezione dell’utero che coinvolge una porzione maggiore dei vasi sanguigni.

Nella ricevente l’intervento prevede l’esposizione dei vasi iliaci esterni a cui verranno collegati i vasi dell’utero trapiantato. Questo viene posizionato nelle pelvi e la vagina viene della donatrice viene collegata a quella della ricevente.

Ovviamente al termine del trapianto la ricevente viene costantemente monitorata per valutare la funzionalità dell’utero e verificare eventuali segni di rigetto. Proprio per questo viene prescritta una terapia immunosoppressiva che viene poi modulata nel corso del tempo soprattutto a ridosso della gravidanza.

Dopo non meno di 6-12 mesi dall’intervento (per alcuni protocolli si può iniziare anche dopo 3 mesi) e con la donna che si è ripresa dall’operazione, si procede con il trasferimento degli embrioni crioconservati. Ottenuto l’impianto l’intera gravidanza viene seguita mediante protocolli simili a quelli delle gravidanze ad alto rischio. Il parto avviene tramite taglio cesareo (per evitare lesioni alle strutture circostanti) solitamente tra la trentaquattresima e la trentottesima settimana di gestazione.

Una volta che la donna ha soddisfatto il desiderio di maternità (generalmente dopo uno o due figli) l’utero trapiantato viene rimosso così da poter interrompere la terapia immunosoppressiva.

Rischi, benefici e percentuali di successo

La valutazione del trapianto di utero deve tenere conto non solo della straordinaria opportunità, altrimenti impossibile, di poter avere una gravidanza, ma anche dei seri rischi che tanto la ricevente quanto la donatrice (e lo stesso embrione e feto) vanno incontro. La donatrice (ovviamente nel caso si tratti di una donna in vita) sono innanzitutto quelli legati a qualsiasi intervento chirurgico (sanguinamento, lesioni, infezioni), ma anche complicanze specifiche sia fisiche (lesioni uretrali) che psicologiche (soprattutto nel caso di donazioni tra familiari).

Per la ricevente le maggiori criticità sono legate anche al rigetto dell’utero trapiantato, alle complicanze vascolari (trombosi), al restringimento della vagina e gli effetti collaterali (infezioni, problemi renali, diabete) dell’assunzione di farmaci immunosoppressori.

La gravidanza stessa va incontro a diversi rischi, tra cui quello di ipertensione gestazionale, diabete gestazionale, preeclampsia e parto pretermine anche perché spesso le contrazioni uterine non vengono percepite dalla gestante.

Per parlare di successo di un trapianto di utero bisogna considerare non solo l’esito positivo dell’intervento, ma anche la nascita di un bambino sano. In questo senso le statistiche sono discordanti (alcune riportano un tasso di successo del 48% dei casi, altri del 75%), ma tutte concordano sul trend positivo dovuto prevalentemente al miglioramento nelle tecniche chirurgiche. Al 2024 si contano circa 40 nati visi su 78 riceventi con una percentuale di successo superiore al 50%.

Il trapianto di utero in Italia e nel mondo

Come abbiamo avuto modo di accennare, il trapianto di utero è un intervento ancora in fase sperimentale e eseguito non frequentemente, nonostante è una realtà praticata con successo da almeno una decina di anni. Il portale Univadis ricorda come il primo caso di trapianto di utero umano che ha avuto esito positivo è avvenuto nel 2011, ma solamente nel 2014 è nato (in Svezia) il primo bambino da un utero trapiantato.

Successivamente ci sono stati diversi casi (se ne contano circa un centinaio) di cui abbiamo negli anni parlato: da quello del 2016 negli Stati Uniti a quello dell’anno successivo in Svezia con un trapianto di utero da madre a figlia passando per il caso del Brasile di un trapianto di un utero proveniente da una donatrice deceduta e, infine, il caso di Chelsea Jovanovich che ha avuto due gravidanze dopo il trapianto. In Italia nel 2022 (con il trapianto avvenuto due anni prima in piena pandemia) a Catania c’è stata la prima nascita di una bambina nata da un utero trapiantato.

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