
Quello al colon-retto è un tumore comune nelle donne, ma raro in gravidanza e con un impatto profondo sia sulla gestante che sul feto.
Spieghiamo quali sono i sintomi (non specifici) e gli elementi da prendere in considerazione per riconoscere il tumore ovarico e quali impatti ha sia sulla salute della donna che sulla gravidanza e la fertilità .
I cosiddetti tumori ginecologici sono una realtà che interessa più di 3,5 milioni di donne. Solo in Italia, riporta l’Alleanza contro il Tumore Ovarico (ACTO Italia), sono circa 230.000 le donne che convivono con una diagnosi di tumore ginecologico, e ogni anno si registrano circa 18.000 nuovi casi. La forma più comune è quella del cancro dell’endometrio, seguita dal tumore dell’ovaio. Inoltre, riporta uno studio pubblicato su Cancers, il tumore ovarico è la seconda neoplasia ginecologica più comune tra quelle che si verificano durante una gravidanza. Il tumore ovarico è una complicazione di circa 1 gravidanza su 15.000-32.000.
Sebbene la maggior parte delle masse tumorali che si sviluppano nelle ovaie (o nelle tube di Falloppio) sono benigni, è importante porre l’attenzione sul rapporto tra tumore ovarico e gravidanza. Anche perché, riprendendo quanto denunciato dall’Alleanza contro il Tumore Ovarico, la maggior parte delle donne ha difficoltà a riconoscere i sintomi di un tumore ginecologico e non sempre ha l’opportunità di sfruttare tutte le risorse disponibili in termini di prevenzione e cura. Tra stigma, pregiudizi e difficoltà di altra natura è importante porre maggiore attenzione su questa delicata realtà .
Il tumore ovarico è quella neoplasia ginecologica che origina dalla superficie o dai tessute delle ovaie. La causa, precisa la Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro, è da individuare nella proliferazione incontrollata delle cellule dell’ovaio, soprattutto quelle epiteliali, ma anche quelle germinali e stromali. Il cancro alle ovaie può essere benigno (quindi non provocare metastasi) o maligno. In quest’ultimo caso i tumori ovarici si classificano in:
La principale differenza si trova, come suggerisce il nome, nelle cellule da cui i carcinomi derivano. Il meccanismo specifico che provoca la comparsa del tumore ovarico non è del tutto nota anche se, come ricordato dalla Fondazione Veronesi, è stata identificata in alcuni casi una predisposizione genetica. L’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) riporta i fattori di rischio che gli studi epidemiologici hanno identificato per il tumore ovarico, ovvero:
Sono invece considerati dei fattori protettivi per il tumore ovarico, l’elevato numero di gravidanza, la prima gravidanza prima dei 25 anni, l’utilizzo dei contraccettivi orali e l’allattamento al seno. Inoltre l’American Pregnancy Association precisa che non è dimostrato che la gravidanza aumenti la probabilità di sviluppare un tumore ovarico.
Tra le particolarità del tumore ovarico c’è l’assenza di sintomi specifici. Inoltre spesso questi variano da donna a donna. I più comuni includono malessere generale, gonfiore e dolore addominale, crampi, sensazione di pressione, difficoltà a mangiare, nausea, diarrea, senso di sazietà anche dopo un pasto leggero, perdita dell’appetito, stitichezza, cambiamenti di peso inspiegabili e sanguinamento vaginale anomalo.
L’indicazione è di procedere con i relativi approfondimenti diagnostici soprattutto quando i sintomi compaiono improvvisamente, durano da più di due mesi e si presentano per più di dodici volte al mese. Una delle principali criticità è legata al fatto che la malattia nelle fasi iniziali non dà sintomi e quando questi compaiono il tumore è già in uno stadio avanzato.
La diagnosi, che tiene conto anche dell’età della paziente e delle caratteristiche (dimensioni e consistenza) delle ovaie, si basa sulla palpazione dell’addome e sull’esame pelvico. In presenza di sintomi sospetti viene prevista l’ecografia trans-vaginale; tuttavia, non è indicata come metodo di screening per le donne senza sintomi in quanto il tumore ovarico tende a svilupparsi fin da subito in forma metastatica e l’ecografia non consente una diagnosi precoce.
Una delle sfide nella diagnosi del tumore ovarico in gravidanza è legata anche ai cambiamenti che si verificano nel corpo femminile durante la gestazione. Superata la dodicesima settimana di gestazione, infatti, l’utero si solleva dalla cavità pelvica rendendo ancora più complessa la rilevazione dei tumori ovarici.
Oltre alla difficoltà ella diagnosi (anche per l’assenza di programmi di screening affidabili) è estremamente complessa anche la cura e la gestione del tumore ovarico in gravidanza. Tanto le procedure diagnostiche quanto quelle terapeutiche devono tenere conto delle caratteristiche del tumore, della sua progressione, dell’età gestazionale e dalla decisione della donna di preservare la gravidanza.
Il trattamento di riferimento è quello chirurgico, eseguito in laparoscopia o in laparotomia tradizionale. Questo approccio è indicato per le masse tumorali sintomatiche e per quelle che aumentano di dimensione o gravità . Se nel caso dell’intervento chirurgico che non coinvolge l’apparato riproduttivo non ci sono limitazioni temporali per essere eseguito durante la gravidanza, quando invece l’operazione interessa l’area riproduttiva – come accade in presenza di tumori ovarici – è importante valutare attentamente il momento e le modalità dell’intervento. In questi casi, la chirurgia può avere scopi diagnostici, servire a stabilire l’estensione della malattia o a rimuovere quanto più possibile il tumore visibile. Una possibilità , questa, che migliora le prospettive di guarigione e rende la successiva chemioterapia più efficace.
Nei casi più gravi, come nei tumori ovarici avanzati, può invece essere necessaria l’asportazione di entrambe le ovaie. Questa procedura va eseguita il prima possibile anche durante la gravidanza.
Per quel che riguarda la chemioterapia, questa è invece necessaria dopo l’intervento chirurgico, ma molti dei farmaci utilizzati possono avere un effetto teratogeno e causare anomalie fetali (specialmente se l’intervento viene effettuato nel primo trimestre di gravidanza). Per questo motivo l’indicazione, riporta l’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMAC), è di attendere almeno la dodicesima settimana di gestazione per iniziare con la chemioterapia, ma comunque ci sono rischi legati a una crescita fetale ridotta, basso peso alla nascita e parto pretermine.
Se la radioterapia è indicata solamente dopo il parto (per il rischio di aborto spontaneo, malformazioni e deficit del sistema nervoso centrale) è possibile valutare anche una diversa gestione della malattia. Le opzioni disponibili vanno dall’interruzione volontaria della gravidanza seguita dal trattamento per il tumore, la chirurgia conservativa (per preservare la gravidanza) seguita dalla chemioterapia, parto programmato e successivo intervento o dalla chemioterapia neoadiuvante seguita, dopo il parto dall’intervento chirurgico.
Abbiamo visto cosa succede quando il tumore ovarico complica una gravidanza, ma cosa accade dopo? La fertilità è compromessa? In generale, no, ed è possibile affrontare una gravidanza dopo un cancro ovarico, previa valutazione caso per caso. Tuttavia, bisogna considerare che i trattamenti antitumorali possono avere un impatto sulla fertilità , sia temporaneo che permanente. Inoltre, sempre più donne sperimentano problemi di fertilità a causa dell’età avanzata al momento della prima gravidanza.
Da questo punto di vista è possibile valutare le strategie disponibili per preservare la fertilità . Si tratta di tutti quei metodi (assunzione di farmaci, congelamento degli ovociti, del tessuto ovarico o degli embrioni) cui ricorrere prima dell’inizio del trattamento contro il tumore ovarico.
Va anche detto che se una gravidanza dopo il cancro ovarico non aumenta il rischio di recidiva, le indicazioni generali suggeriscono di attendere almeno uno o due anni dalla fine del trattamento antitumorale prima di cercare il concepimento. Infine è doveroso riportare come, dopo un trattamento antitumorale, le percentuali di aborti spontanei possono essere leggermente maggiori.
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