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1 donna su 4.000-5.000 nasce senza utero. Una condizione rara che in teoria pregiudicherebbe la possibilità di ottenere una gravidanza. Ecco cosa c'è da sapere.
A partire dalla sesta settimana di vita, l’embrione sviluppa una struttura, i dotti paramesonefrici, che nelle femmine porterà alla formazione dell’utero e del terzo superiore della vagina (la parte di vagina più vicina alla cervice uterina), mentre nei maschi andrà incontro a un processo di regressione. I dotti paramesonefrici, riporta la piattaforma PathologyOutlines.com, andrà successivamente incontro a una fusione della porzione caudale responsabile della formazione dell’utero, del collo dell’utero e della parte superiore della vagina. È un processo che si completa generalmente entro il terzo mese di gestazione per poi subire ulteriori maturazioni fino alla sedicesima settimana di gravidanza.
In rarissimi casi, per cause ancora non del tutto note, l’utero e la parte superiore della vagina non si formano o non si formano correttamente. È la cosiddetta sindrome di MRKH, una rara condizione genetica che spesso si scopre solamente con l’adolescenza.
Il nome completo di questa condizione, spiega l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), è Sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser (o sindrome di Rokitanski) ed è un’anomalia genetica che interessa 1 persona su 4.000-5.000. Nota anche come agenesia mülleriana, indica l’assenza dell’utero e del terzo superiore della vagina sin dalla nascita.
Il portale MedlinePlus precisa che tra le particolarità di questa condizione c’è che si manifesta in persone che hanno caratteristiche sessuali secondarie corrette (i tratti fisici che distinguono maschi e femmine ma non riguardano gli organi genitali) e anche un cariotipo femminile normale (46,XX). Inoltre pur mancando l’utero e un tratto della vagina, le ovaie sono presenti e funzionanti con i genitali esterni che hanno un aspetto tipicamente femminile.
La sindrome di MRKH, spiega l’Orphanet Journal of Rare Diseases, si classifica in due forme:
Le cause della sindrome di MRKH non sono ancora del tutto note, ma si sospetta un importante fattore genetico. In passato, spiega l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, si considerava questa condizione un’anomalia sporadica, me il crescente numero di casi familiari ha portato a studiare molti geni come possibili responsabili (o corresponsabili) dello sviluppo di questa patologia.
Spesso il primo sintomo evidente della Sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser è l’amenorrea primaria. Il National Organization for Rare Disorders (NORD) spiega che la mancata comparsa delle mestruazioni entro l’adolescenza è uno dei primi segnali che portano a sospettare una condizione di questo tipo che, altrimenti, nei primi anni di vita non provoca altri disturbi. Nonostante questo le caratteristiche sessuali secondarie (come la crescita del seno e dei peli pubici e ascellari) è normale.
Inoltre la sindrome di MRKH può associarsi a dolore o difficoltà durante i rapporti sessuali (per la brevità o il sottosviluppo della vagina) o dolore addominale ciclico. In questo caso il dolore è dovuto alla presenza di residui uterini con un endometrio funzionante. Nelle forme di tipo II possono manifestarsi anche sintomi correlati alle altre malformazioni, come i calcoli renali, le infezioni renali, le anomalie vertebrali, i problemi cardiaci o la perdita dell’udito.
L’Osservatorio Malattie Rare (OMAR) precisa che alla conferma diagnostica della sindrome di MRKH si arriva solitamente per esclusione di altre sindromi cromosomiche. L’iter diagnostico si basa inizialmente sull’identificazione dei sintomi caratteristici, su un’approfondita anamnesi e su una visita clinica e l’esecuzione di diversi esami specialistici per individuare l’assenza dell’utero con la presenza delle ovaie. Dopo l’ecografia pelvica generalmente eseguita per comprendere le cause dell’assenza della prima mestruazione (menarca), è già possibile sospettare la presenza di questa condizione.
L’esame di riferimento è la risonanza magnetica (RMI) delle pelvi che permette di visualizzare le strutture mülleriane e di identificare anche le eventuali malformazioni associate. Viene condotta anche un’analisi cromosomica per confermare la presenza di un assetto genetico femminile così da escludere altre sindromi.
L’utero è un organo indispensabile per avere una gravidanza biologica, motivo per cui a oggi le donne con la sindrome di MRKH che volessero avere un figlio dovrebbero ricorrere alle tecniche di fecondazione assistita. In modo particolare la procedura di riferimento è la fecondazione in vitro (FIV) con ovociti propri (se le ovaie sono funzionanti) con successivo trasferimento dell’embrione in un’altra donna disposta a portare a termine la gestazione. La cosiddetta maternità surrogata è però vietata in molti Paesi (tra cui l’Italia), per cui al momento per queste donne non vi è possibilità di avere figli biologici.
Da anni si sta però consolidando un’opzione terapeutica che prevede il trapianto di utero (UTx). A questo proposito nel settembre 2022, come raccontato anche dall’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI), a Catania è nata la prima bambina da una donna che ricevuto il primo trapianto di utero effettuato in Italia. La donna, che ha ricevuto il trapianto nel 2020 presso il Centro trapianti dell’Azienda ospedaliero universitaria Policlinico di Catania, ha portato a termine la gravidanza iniziata mediante fecondazione assistita omologa (il prelievo degli ovociti è avvenuto prima dell’intervento).
Questo tipo di intervento – disponibile in Italia in via sperimentale con un programma nazionale autorizzato dal Consiglio Superiore di Sanità nel 2018 – nel nostro Paese ha portato fino a oggi la possibilità, con successo, di eseguire due trapianti di utero. Il protocollo vigente consente l’accesso a questa possibilità alle donne tra 18 e 40 anni, che non hanno patologie oncologiche, non hanno avuto precedenti gravidanze a termine e che sono affette o dalla sindrome di MRKH o dall’atonia congenita postpartum. La sperimentazione in Italia, che al momento vede in lista d’attesa 5 pazienti, prevede che le donatrici siano donne decedute tra i 18 e u 50 anni.
Come abbiamo avuto modo di evidenziare, la sindrome di MRKH non ha ripercussioni solamente sulla fertilità di una donna, ma anche sulla sua vita personale, intima e sessuale. Da questo punto di vista, per affrontare le conseguenze dell’agenesia vaginale, è possibile alla ricostruzione del canale vaginale. Questa può essere eseguita per via chirurgica (quando la vagina è del tutto assente e va completamente ricostruita) o per via non chirurgica (quando è presente un piccolo abbozzo). In quest’ultimo caso si ricorre a degli appositi espansori meccanici che richiedono tempi lunghi, motivo per cui è preferibile iniziare il trattamento durante l’adolescenza.
Non è da sottovalutare, infine, l’impatto psicologico di una condizione di questo tipo e di quello che significa non avere una vita sessuale soddisfacente o dover rinunciare, non per scelta, a diventare madri. Anche il percorso terapeutico, che richiede anni e non è necessariamente esente da rischi e fallimenti, richiede una paziente che sia pienamente convinta e consapevole del percorso da intraprendere. Una decisione spesso da prendere in una fase delicatissima della vita, come l’adolescenza, durante la quale possono pesare non poco anche le pressioni sociali e familiari. A maggior ragione è fondamentale affrontare con tutti gli strumenti possibili, anche quelli psicologici, un passaggio cruciale della propria vita.
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