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L'utilizzo della bioinformatica e della bioingegneria per il trattamento dell'infertilità solleva diverse questioni non solo mediche, ma anche etiche.
“Gli individui e le coppie hanno il diritto di decidere il numero, il momento e l’intervallo delle nascite dei propri figli. L’infertilità può impedire la realizzazione di questi diritti umani fondamentali.”
Con queste parole l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) parla dell’infertilità, una condizione che a livello globale interessa circa il 10-12% delle coppie e solo in Italia, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), il 15%.
Le soluzioni oggi disponibili vanno dall’attenzione alla qualità e allo stile di vita, al miglioramento della forma fisica e dell’alimentazione fino all’intervento medico con il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA).
Ad aumentare le probabilità di concepimento nelle coppie infertili e a suggerire la possibilità di risoluzione dei casi di infertilità sine causa c’è il cosiddetto bio-concepimento. Una realtà di cui già oggi è possibile vedere i primi risultati.
Con il termine bio-concepimento si fa riferimento all’utilizzo, per il trattamento dell’infertilità, della bioinformatica e della bioingegneria. La bioinformatica è quella disciplina che unisca informatica, matematica e biologia con lo scopo di analizzare dati biologici (come quelli di DNA, RNA e proteine) così da studiare le mutazioni genetiche, decifrare il genoma umano e sviluppare nuovi farmaci. La bioingegneria, invece, è l’applicazione dell’ingegneria ai sistemi biologici e medici con l’obiettivo di progettare protesi, dispositivi medici e organi artificiali e realizzare tecnologie per la diagnosi e la cura.
Il bio-concepimento è quindi questo insieme di innovazioni che vengono applicate alla medicina riproduttiva al fine di renderla più efficace anche perché più personalizzata. Come fotografato da questo studio, a oggi – nonostante i progressi delle tecnologie di riproduzione assistita degli ultimi quarant’anni – la fecondazione in vitro rimane relativamente inefficiente con la possibilità di una nascita dal vivo per oociti recuperati che non va oltre il 5%.
Sono diverse le applicazioni su cui già oggi è possibile contare per affrontare casi di infertilità. Innanzitutto l’analisi genomica grazie alla quale, attraverso il sequenziamento del DNA, identificare le varianti genetiche che condizionano la fertilità così da ottenere una diagnosi più accurata. L’analisi dei dati, oggi sempre più accurata e predittiva, permette di migliorare le valutazioni sulle probabilità di successo delle tecniche di riproduzione assistita (come la fecondazione in vitro) ricorrendo anche a modelli computazionali con i quali simulare il comportamento dei gameti per creare condizioni più favorevoli per la fecondazione.
Oltre alla sfera della diagnosi e dell’analisi dei dati, il bio-concepimento si basa anche sullo sviluppo di dispositivi per la fecondazione, materiali che facilitano il trasporto degli spermatozoi, una migliore selezione e trattamento degli spermatozoi e lo sviluppo di tessuti artificiali che in futuro potrebbero addirittura riparare i tessuti riproduttivi danneggiati e attualmente causa irrisolta di infertilità.
Ci sono poi ulteriori innovazioni che stanno rivoluzionando il settore della procreazione medicalmente assistita. Da una parte c’è lo sviluppo di prototipi di robot in grado di migliorare il processo di fecondazione così da aumentare la precisione e il relativo tasso di successo. Sono in corso anche ricerche e studi sulla produzione di gameti artificiali provenienti da cellule staminali, tecniche di ringiovanimento ovarico, vitrificazione degli ovociti, diagnosi genetica preimpianto e, ancora, l’editing genetico (così da prevenire anomalie genetiche gravi a livello del DNA).
Sono da segnalare anche le ricerche sulla cosiddetta tecnologia time-lapse (EmbryoScope) che permette di osservare in tempo reale lo sviluppo degli embrioni così da migliorare la selezione di quelli da utilizzare nelle tecniche di PMA.
È interessante conoscere le tecniche di bio-concepimento anche per comprendere l’evoluzione della procreazione umana. Se fino a qualche decennio fa l’unica possibilità era nella riproduzione sessuale con poche possibilità di intervento, a partire dal Novecento si è assistito a una rapida evoluzione del “modo in cui si fanno i figli”. Dall’introduzione delle tecniche di parto cesareo alle prospettive sulle possibilità di creare gameti in laboratorio o un utero artificiale, svincolando ulteriormente la procreazione dall’atto sessuale.
Sono diverse le ipotesi secondo le quali la riproduzione assistita possa diventare più desiderabile della riproduzione sessuale, con le generazioni del futuro potrebbero considerare normale che i figli nascano in modo diverso da come per millenni siamo stati abituati a pensare. Tutto questo grazie anche e soprattutto al bio-concepimento.
Trattandosi di questioni che interessano le persone (coloro che mettono a disposizione i gameti) e il nascituro, non possono essere ignorate, come riportato anche dal portale ufficiale della Commissione Europea, le questioni etiche che animano il dibattito in materia.
Le perplessità, le riserve e le critiche a molti degli ambiti e delle applicazioni del bio-concepimento (e non solo) si basano innanzitutto sull’idea che il nascituro possa essere ridotto da persona a prodotto. Parallelamente, replicando alle critiche di chi risponde che le tecniche di riproduzione assistita pongono l’uomo in una condizione di fautore del benessere di coloro che verranno messi al mondo, c’è la posizione di chi segnala la deriva eugenetica, ovvero l’idea di migliorare la specie umana intervenendo sulla selezione genetica.
Il problema di fondo è quello di definire quali sono i criteri di ammissibilità per poter nascere, emettendo così una sentenza sulla vita di un’altra persona che è spesso basata esclusivamente su questioni di salute, dove questa è intesa come l’assenza totale di malattie e sofferenze.
Secondo questo studio pubblicato su Biology le preoccupazioni etiche legate al bio-concepimento riguardano anche la responsabilità intergenerazionale. Le modifiche genetiche ereditabili, infatti, possono influenzare non solo il nascituro, ma anche le generazioni future, sollevando interrogativi sulla legittimità di scegliere per chi ancora non esiste.
C’è anche la questione di quanto sia etico il diritto alla fertilità identificato dall’OMS, soprattutto se inteso come pretesa di accesso illimitato alle tecnologie riproduttive, senza un adeguato bilanciamento tra desideri individuali e diritti delle persone coinvolte, incluso il nascituro. Le critiche mettono in guardia dal rischio di trasformare la genitorialità in un diritto da esercitare a ogni costo, dove il figlio rischia di essere visto come oggetto di un desiderio più che come soggetto titolare di diritti.
Se è vero che anche nel concepimento naturale il figlio può essere frutto di un desiderio, è altrettanto vero che la differenza etica sollevata riguarda il grado di controllo tecnico e intenzionale esercitato nella riproduzione assistita: più si aumenta la possibilità di scegliere, selezionare e progettare, più si apre il rischio che il nascituro venga trattato come un prodotto conforme a certe aspettative, e non accolto nella sua unicità, anche con eventuali limiti o fragilità.
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