Un intervento chirurgico è solitamente risolutivo di un problema o, in alcuni casi, migliora la condizione del paziente che vi si è sottoposto. Un caso particolare che merita particolare attenzione, non solamente dal punto di vista propriamente medico, è quello dell’isterectomia, ovvero l’intervento chirurgico di rimozione dell’utero.

Data la gravità e la serietà dell’isterectomia si potrebbe pensare che si tratti di un intervento molto raro. In realtà una lettura dei numeri e dei dati ci restituisce un quadro molto diverso. L’isterectomia, infatti, è il secondo intervento chirurgico ginecologico, subito dopo il taglio cesareo.

Solo nel nostro Paese vi ricorrono circa il 15% delle donne tra i 40 e i 70 anni e il 90% di questi interventi viene eseguito per condizioni benigne, ovvero quelle “per le quali la terapia medica è impossibile o si è dimostrata inefficace, oppure viene rifiutata dalla paziente”. In alcuni casi, inoltre, questa procedura, che è considerata un intervento demolitivo (tanto per farne capire l’invasività e la serietà), può in alcuni casi comportare la rimozione anche delle tube di Falloppio e le ovaie.

Parliamo quindi di una situazione serissima che ha solo come effetto evidente quello dell’impossibilità di avere gravidanze e la scomparsa definitiva del ciclo mestruale. Parlare di isterectomia, quindi, significa affrontare un argomento delicato non solo dal punto di vista medico, in quanto ha enormi conseguenze anche e soprattutto dal punto di vista psicologico.

È quindi necessaria una panoramica complessiva sull’argomento, anche e soprattutto considerando come, stando a quanto denunciato dall’Associazione degli Ostetrici Ginecologici Ospedalieri Italiani, ogni anno in Italia vengono praticate isterectomie inutili. Il motivo? Mediamente annualmente vengono eseguite settantamila isterectomie e il 75% di queste sono per malattie benigne per le quali potrebbero esistere alternative meno radicali che possono, da una parte, non compromettere la capacità riproduttiva delle donne e, dall’altra, di tutelarne la loro dignità.

Il fenomeno delle isterectomie inutili o comunque esagerate è spesso figlio della non conoscenza delle alternative e ha infatti un’incidenza maggiore nei piccoli ospedali e tra le classi sociali meno elevate. Senza, ovviamente, esprimere giudizi è importante fare luce su un argomento troppo spesso non contemplato e che, anche alla luce delle moderne tecnologie e conoscenze medico-scientifiche, può proporre alternative meno gravose per la salute, la serenità e la dignità delle donne coinvolte.

Isterectomia: quando è necessaria?

Sono diverse le cause per cui solitamente si esegue un’isterectomia. La principale è il trattamento dei fibromiomi uterini (tumori ginecologici benigni), ma anche il cancro dell’utero, della cervice uterina, dell’endometrio o dell’ovaio può portare a un intervento di questo tipo.

Ci sono poi, come accennato, tutta una serie di patologie e condizioni, dette benigne, per cui spesso si procede con l’isterectomia ma che potrebbero essere trattate diversamente, anche alla luce dell’età della donna e delle sue scelte di vita. In questi casi parliamo dei fibromatosi (anomali sanguinamenti uterini), del prolasso pelvico e dell’endometriosi, una condizione che è alla base di dolori addominali, sanguinamenti e dolori durante le mestruazioni e i rapporti sessuali.

Considerando come le alternative ci sono (terapie ormonali, altri interventi chirurgici, eccetera) e vanno prese in considerazione, l’isterectomia si rende necessaria solamente in assenza di altre terapie e interventi risolutivi.

Tipologie di isterectomia

La rimozione dell’utero può avvenire in diversi modi (isterectomia laparatomica, isterectomia laparoscopica, isterectomia vaginale, isterectomia laparoscopica roboticamente assistita) e può essere di diverse tipologie: totale, subtotale e radicale.

Nel primo caso, il più diffuso, vi è la rimozione dell’utero e della cervice, mentre nell’isterectomia subtotale vi è la sola asportazione dell’utero. Nel caso dell’isterectomia radicale, invece, oltre all’utero vengono rimossi i tessuti circostanti, compresi quelli di parte della vagina, il tessuto adiposo, le ghiandole linfatiche, le tube di Falloppio e le ovaie.

Isterectomia laparatomica

Si tratta del classico intervento chirurgico che avviene tramite incisione della parete addominale per l’accesso alla cavità per l’asportazione dell’utero.

Isterectomia laparoscopica

Questo intervento avviene tramite l’utilizzo di un endoscopio e risulta meno invasivo rispetto all’intervento laparatomico e avviene eseguendo quattro piccole incisioni. L’intervento dura un paio d’ore e il ricovero ha mediamente una durata di due giorni. È una tecnica poco invasiva e che assicura, un minor dolore post operatorio e un ottimo risultato estetico.

Isterectomia laparoscopica roboticamente assistita

In questo caso è una particolare forma di isterectomia laparoscopica dove l’intervento viene eseguito da un braccio robotico comandato dal medico.

Isterectomia vaginale

Questo tipo di intervento, come indica il nome stesso, viene eseguito tramite piccoli tagli attraverso la vagina. L’isterectomia vaginale dovrebbe essere la tecnica da preferire in quanto è quella che assicura le perdite minori, una riduzione dei rischi di complicanze e ha tempi di recupero post operatori più rapidi.

La scelta tra le diverse tipologie di isterectomia va effettuata, stando alle linee guida internazionali, sulla base del rischio di complicanze, sulle caratteristiche della paziente (dimensioni dell’utero, coesistenza di altre patologie), sull’esperienza del chirurgo e sulle possibilità tecnologiche del centro dove si esegue l’intervento.

Isterectomia: le conseguenze

La rimozione di un organo, fosse anche “solo” legato alla fertilità non è mai semplice e le conseguenze sono, come anticipato, sia di tipo medico che psicologico.

Tra le principali complicanze che, anche in base al tipo di isterectomia eseguito, si può andare incontro ci sono infezioni, sanguinamenti e complicanze anatomiche che vanno dalle lesioni alla vescica, all’intestino, al retto e alle strutture nervose, passando per le disfunzioni sessuali. Tutto questo, ovviamente, non può non avere conseguenze psicologiche, specialmente per quel che riguarda la perdita della fertilità, specialmente nelle donne che hanno il desiderio di avere un figlio.

Le conseguenze fisiche vanno di pari passo con quelle psicologiche, perché la propria identità è spesso legata alla propria percezione di sé. L’isterectomia è una sorta di mutilazione che priva le donne di un organo (e di tutti i processi a esso collegati) caratteristico della loro vita.

In caso di rimozione anche delle ovaie, per esempio, le donne vanno in menopausa e in alcuni casi può essere prevista un’eventuale terapia ormonale sostitutiva. Tutto questo non può non generare disagio e senso di privazione; se è vero che l’intervento mira a risolvere un problema, è altrettanto vero che non si può negare come gli “effetti collaterali” non possano essere derubricati a semplice prezzo da pagare per un beneficio maggiore.

È spesso possibile che le donne che subiscono un’isterectomia cadano in depressione così come vadano incontro a profondi cambiamenti, compresi quelli (non automatici ma possibili) che riguardano la sfera sessuale.

Diventare mamme dopo un’isterectomia

Una donna che ha dovuto eseguire un intervento di isterectomia non può avere più rimanere incinta. L’assenza dell’utero, infatti, preclude anche qualsiasi forma di fecondazione assistita. Nei casi di isterectomia nei quali le ovaie non vengono eliminate può capitare che i rapporti sessuali dopo l’intervento possano portare a una gravidanza; parliamo però di eventi rarissimi (la letteratura medica registra una ventina di casi) e che comunque, come nel caso delle gravidanze extrauterine, non possono proseguire positivamente. L’utero è infatti essenziale per una gravidanza.

Una prima alternativa per diventare madri dopo un’isterectomia può essere quella di ricorrere alla gestazione per altri, per quanto parliamo di una pratica attualmente non consentita in Italia e che presenta una serie di controversie che è doveroso affrontare prima di decidere di intraprendere questo percorso.

Il desiderio di maternità può inoltre essere vissuto in maniera positiva intraprendendo la strada dell’adozione. Certamente parliamo di un’alternativa differente all’esperienza della “maternità genetica” e di una gravidanza ed è importante maturare la consapevolezza che l’adozione non è un sostituto della gravidanza, ma una scelta responsabile e di grande amore verso bambini che vivono situazioni di difficoltà o vengono da esperienze drammatiche e che hanno bisogno di una famiglia e dei genitori che si prendano stabilmente cura di loro.

La maternità può assumere diverse forme e, seppur con tutte le differenze del caso, anche nell’adozione si crea un profondo e meraviglioso legame tra madre e figli.

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