Conciliare famiglia e lavoro è una sfida che ogni giorno mette alla prova i genitori. A venire penalizzate sono spesso le donne, che si trovano a fare i conti da una parte con una nuova condizione genitoriale che rende la gestione della vita quotidiana senza dubbio più impegnativa, dall’altra sono alle prese con una pressione sociale fortissima e una mentalità che è ancora, in molti ambiti, maschilista.

Per questi motivi, oltre che per le implicazioni psicologiche, tornare a lavorare con soddisfazione dopo la maternità può essere particolarmente impegnativo. Per tutelare il rientro delle madri lavoratrici nell’ambiente lavorativo dopo il congedo di maternità la normativa in vigore prevede una serie di diritti volti a conciliare vita privata e vita professionale.

Nonostante questo, come mostrano anche gli ultimi report sulla situazione italiana delle mamme lavoratrici, non è sempre automatico (né semplice) conciliare l’una e l’altra sfera della vita di una donna. E la scelta non sempre è davvero libera.

I diritti delle mamme che lavorano

Le madri che lavorano possono beneficiare di una serie di diritti, garantiti dalla legge. Tra questi si trovano:

1. Divieto di licenziamento per la mamma lavoratrice

La legge italiana vieta al datore di lavoro di licenziare la lavoratrice dall’inizio della gravidanza fino al primo compleanno del bambino. Il divieto di licenziamento vale anche se il datore di lavoro, al momento del licenziamento, non era a conoscenza dello stato interessante della sua dipendente. Come spiegato nel Testo unico della maternità, il divieto di licenziamento non si applica nel caso:

  • di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
  • di cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;
  • di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;
  • di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione.

Va da sé che il licenziamento intimato durante lo stato di gravidanza e fino al compimento di un anno di età del bambino, oppure motivato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale o per malattia del bambino o, ancora, discriminatorio, è nullo e comporta la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro.

La reintegrazione è prevista in favore di tutte le lavoratrici, a prescindere che siano state assunte prima del 7 marzo 2015 – secondo l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori – o dopo – con applicazione del decreto legislativo 23/2015 attuativo del Jobs Act.

2. Diritto al mantenimento del posto di lavoro

Capita, purtroppo, che le donne che rientrano al lavoro dopo il congedo di maternità trovino un ambiente “ostile” o vengano demansionate. La legge però avverte:

Al termine dei periodi di divieto di lavoro previsti dal Capo II e III, le lavoratrici hanno diritto di conservare il posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate all’inizio del periodo di gravidanza o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino; hanno altresì diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti.

3. Astensione dal lavoro notturno

Secondo la normativa vigente, una donna non può essere impiegata in lavori notturni (dalla mezzanotte alle sei del mattino) a partire dall’inizio della gravidanza e fino al compimento di un anno di età del bambino. Non sono obbligate a lavorare di notte le mamme con figli di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il papà che convive con lei.

Se la lavoratrice (o il lavoratore) è l’unico genitore affidatario, il diritto di astensione dal turno di notte si estende fino ai dodici anni di età del bambino.

4. Riposi giornalieri della madre e del padre

La legge indica che durante il primo anno di vita del bambino il datore di lavoro deve consentire alle mamme che lavorano due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata (vengono chiamati anche “permessi per allattamento”). Il riposo è uno solo quando l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore:

I periodi di riposo […] hanno la durata di un’ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall’azienda. I periodi di riposo sono di mezz’ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell’asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.

Se la mamma è una lavoratrice autonoma, il papà ha il diritto di avvalersi dei riposi orari giornalieri. Lo stesso discorso vale anche nel caso in cui la madre, pur essendo una lavoratrice dipendente, scelga di rinunciare alla riduzione oraria e, secondo alcune recenti sentenze, se la mamma è casalinga.

I permessi per allattamento prevedono quindi la riduzione dell’orario di lavoro giornaliero di una o due ore a partire dal terzo mese di vita del bambino e fino al compimento del primo anno di età.

5. Maternità per le mamme adottive

Il congedo di maternità spetta alle lavoratrici che abbiano adottato un bambino, per una durata complessiva di cinque mesi, esattamente come avviene per le mamme che partoriscono. In caso di adozione nazionale, la lavoratrice può usufruire del congedo nei primi cinque mesi successivi all’ingresso del bimbo in famiglia.

Per l’adozione internazionale il congedo può anche cominciare prima dell’arrivo del bambino in Italia, durante la permanenza dei genitori (la durata complessiva resta di cinque mesi).

Anche i riposi giornalieri e il congedo per malattia previsti per i genitori biologici si applicano in modo analogo a quelli adottivi.

6. Sussidio di disoccupazione per le madri che si licenziano

Le madri lavoratrici che rassegnano le dimissioni entro il primo anno di vita del figlio hanno diritto all’indennità di disoccupazione, nonché all’indennità sostitutiva del preavviso, come se le dimissioni fossero rassegnate per giusta causa.

Visto il divieto di licenziamento entro il primo compleanno del bambino, infatti, la legge nazionale equipara la fattispecie delle dimissioni volontarie a quella del licenziamento, purché avvenga appunto entro questo preciso limite temporale.

7. Congedo parentale: a chi spetta?

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