Quello del parto è un momento particolarmente delicato che deve essere gestito in maniera eccellente, tanto per il bambino quanto per i genitori. È doveroso porsi fin da subito in una prospettiva che coinvolga entrambi i genitori e non solamente la madre; sebbene sia coinvolta in maniera evidentemente maggiore, anche il partner ricopre un ruolo non secondario e per questo da non ignorare o sottovalutare.

In questo senso nel corso degli ultimi anni si è iniziato a parlare e a diffondere la pratica del rooming in, una realtà che intercetta le necessità e i diritti dei genitori e dei bambini, ma anche l’impegno, le responsabilità e il lavoro degli operatori sanitari.

Cos’è il rooming in?

Quando si parla di rooming in, si fa riferimento alla condivisione della stanza da parte della madre e del neonato (e anche del partner) nelle ore e nei giorni successivi al parto. Nonostante sia una prassi non ancora radicata e non sempre diffusa (anche a livello culturale, prima ancora che pratico e di disponibilità delle strutture ospedaliere) oggi può apparire scontata e ovvia, ma non è così.

Il modo di partorire e gestire le prime fasi dopo la nascita è, ovviamente, cambiato nel tempo. Fino alla metà del XX secolo, infatti, era comune partorire in casa e solo da quel momento si iniziò a rivolgersi alle strutture ospedaliere. Oggi è normale scegliere l’ospedale dove partorire, ma fino a qualche decennio fa era abituale che il parto avvenisse tra le mura domestiche.

Il ricorso agli ospedali ha avuto il grande merito di tutelare la salute della donna e del bambino, riducendo significativamente i tassi di morbilità e mortalità, ma ha anche creato delle conseguenze negative. Oltre tutti i rischi denunciati dall’OMS sul cosiddetto parto medicalizzato, inizialmente (e ancora oggi spesso è così) dopo il parto madre e bambino venivano separati.

Il fine era sano: consentire il riposo e il recupero materno affidando la cura del neonato nelle prime ore di vita a del personale dedicato. L’esperienza ostetrica e gli studi scientifici condotti hanno però evidenziato come il rooming in, ovvero il trascorrere tutto il tempo, dall’uscita dalla sala parto fino alle dimissioni dall’ospedale, nella stessa stanza, abbia una serie di benefici di cui non è possibile privare né il bambino né i suoi genitori.

Cosa serve a un neonato nelle sue prime ore?

La pratica del rooming in nasce dalla necessità e volontà di promuovere l’allattamento al seno il più precocemente possibile. Questa è solo una delle realtà di cui il bambino ha più bisogno. Nei parti vaginali nei quali tutto è andato regolarmente e né il bambino né la mamma necessitano di cure specifiche è importantissimo che i genitori condividano le prime ore di vita.

Oltre a quanto già noto sul contatto pelle-a-pelle dei primi istanti dopo il parto (indispensabili per regolare la temperatura corporea, il battito cardiaco, il respiro e la calma del bambino), il rooming in ha l’obiettivo di creare un ambiente familiare nel quale tanto il bambino quanto i suoi genitori possano vivere la novità di un legame appena iniziato e già così profondo e forte.

Il neonato non è una macchina che necessita di assistenza alimentare, igienica e rilassante, ma è un essere umano che ha bisogno dei genitori che lo nutrono, lo accudiscono e lo cullino. Al di là del romanticismo e dell’aspetto emotivo che indubbiamente si innesta in queste pratiche, c’è la consapevolezza anche dal punto di vista medico-scientifico che questo tipo di approccio è fondamentale tanto per il bambino quanto per i suoi genitori; nessuno subisce traumatiche separazioni e tutto viene condotto in maniera più tranquilla e dolce, consapevoli dell’utilità di questi comportamenti anche dal punto di vista fisico che psicologico.

I benefici e l’importanza del rooming in

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Fonte i Stock

Come anticipato, quella del rooming in è una pratica benefica tanto per il bambino quanto per i genitori. Il neonato è generalmente più sereno e piange meno, si attacca al seno meglio e più facilmente, ha livelli più bassi dell’ormone dello stress, una glicemia più stabile e una migliore qualità del sonno.

Per i genitori il rooming in è vantaggioso in termini di migliore qualità del sonno, riduzione del rischio di depressione post-partum, capacità di comprendere meglio le risposte fisiologiche ed emotive del neonato e maggiore fiducia nelle proprie capacità genitoriali.

A differenza della separazione forzata, inoltre, il rooming in consente una maggiore possibilità di scelta e di gestire liberamente ogni necessità. Laddove la madre non riuscisse a dormire o avesse bisogno di aiuto per allattare il bambino potrebbe richiedere l’assistenza dell’ostetrica di turno, non ritrovandosi mai da sola e potendo contare su un aiuto professionale e a disposizione, senza imposizioni ma sempre a completa disposizione.

Rooming in: perché deve essere un diritto

L’etimologia della parola diritto lo indica come qualcosa di giusto e ragionevole e il rooming in è proprio tutto questo: una pratica legittima e utile per tutti coloro che ne sono coinvolti. Per questo motivo diversi punti nascita e strutture sanitarie si stanno adeguando, anche dal punto di vista strutturale, per predisporre stanze, ambienti e servizi adeguati a consentire il rooming in.

Nel momento della scelta della struttura dove partorire valutare la presenza del rooming in non è da sottovalutare, considerando i benefici, l’assenza di controindicazioni e la capacità di rendere l’esperienza del parto più serena e meno traumatica. Ed è proprio per questo che il rooming in può essere a tutti gli effetti considerato un diritto del bambino e dei genitori e come tale essere offerto, tutelato e garantito.

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