
Per "violenza ostetrica" si intendono le forme di violenza fisica e psicologica subite dalle donne, durante il travaglio e il parto, da parte del p...
Il parto medicalizzato è un insieme di atteggiamenti e procedure che rischia di ignorare le necessità di ogni donna. Per questo l'Organizzazione Mondiale della Sanità è intervenuta con 56 chiare raccomandazioni per ripristinare il rispetto dei diritti delle donne.
Non si tratta certo di fare del romanticismo contrapponendo la natura alla medicina, anche perché l’una non esclude l’altra, essendo la scienza medica fondamentale per tutelare la donna e il bambino nelle delicate fasi del parto.
Parlare di parto medicalizzato significa, come vedremo, porre l’attenzione anche sulla medicalizzazione dell’intera gravidanza. Ci sono dati che mostrano una chiara tendenza che deve far riflettere su come viene vissuta e considerata la gravidanza.
Non si vuole ovviamente esprimere giudizi di alcun tipo sulle scelte delle coppie né fare analisi che richiederebbero profonde competenze su materie molto diverse tra loro per spiegare le ragioni di tale cambiamento, ma è indubbio che oggi il parto sia diverso rispetto al passato. E che ci sia una tendenza a un’eccessiva medicalizzazione, tanto che è intervenuta la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità a richiamare con una serie di raccomandazioni su come deve essere il parto.
Possiamo definire il parto medicalizzato come quell’insieme di attività inappropriate a livello ostetrico-ginecologico che condiziona la donna (e il partner) a livello fisico e psicologico, ma anche la salute a breve e lungo termine del bambino.
Il parto diviene medicalizzato nel corso degli ultimi decenni durante i quali la nascita dei bambini si è spostata dagli ambienti domestici e familiari a quelli ospedalieri. Tale spostamento è stato indubbiamente benefico perché ha ridotto i tassi di mortalità infantile e materna, così come ha migliorato l’esito di molte gravidanze che altrimenti avrebbero avuto una tragica evoluzione.
Allo stesso tempo si è arrivati a definire il parto come un insieme di protocolli e misure mediche che hanno standardizzato eccessivamente una situazione che è invece molto personale e intima. Un processo che, come anticipato, non riguarda solo il parto in sé, ma che a ritroso ha coinvolto tutta la durata della gravidanza.
Secondo i dati dell’Istat, infatti, c’è un eccesso dei controlli ecografici così come il ricorso alla rottura artificiale delle membrane, la somministrazione dell’ossitocina e il ricorso al taglio cesareo. Tutti interventi che non sono sempre necessari e che ha provocato una serie di conseguenze, tutte riassumibili nell’espressione – esagerata ma che ben comunica il senso – che la gravidanza sia una malattia da curare o comunque da trattare.
In realtà, salvo casi limite che anche statisticamente sono molto marginali, la gravidanza è un evento fisiologico e naturale. Questo significa che di per sé la donna è in grado di portare a termine il parto e che ancora oggi la maggior parte delle donne che partoriscono sono sane.
La medicalizzazione del parto ha generato un aumento dell’ansia nelle donne in gravidanza che, anche dal punto di vista biologico, determina criticità per la gestazione. Per quanto comprensibili, i controlli e gli interventi medici che “regolarizzano” l’evento della gravidanza e del parto, hanno tolto alla donna in primis, ma anche alla coppia di genitori, il ruolo di protagonisti di un evento del quale possono e devono avere un maggiore controllo.
Dalle ricerche condotte emerge come l’Italia sia il Paese europeo con il maggior numero di ricorsi al taglio cesareo. Circa un terzo delle donne partorisce in questo modo, ma il cesareo dovrebbe essere una soluzione di emergenza, considerando gli alti rischi, non un’opzione tra le tante. La modalità, quindi, dovrebbe essere quella che oggi viene chiamata parto dolce, quando in realtà dovrebbe essere il “parto normale”.
Il parto, qualunque esso sia e ovunque venga praticato, deve partire innanzitutto dalla consapevolezza che gli attori in gioco sono, pur con tutte le differenze dei ruoli, tre: il bambino, la madre e il partner. Qualsiasi tipo di squilibrio che ecceda verso uno dei tre rompe l’armonia dell’evento. I partner, per esempio, non sono semplici spettatori cui è possibile fare a meno, ma contribuiscono attivamente alla serenità della donna che vive l’esperienza del parto non come un qualcosa di estraneo all’intimità della coppia.
Inoltre il parto medicalizzato è stato per molto tempo (e molto lo è ancora oggi) un evento traumatico per le donne. La narrazione cinematografica, per quanto possa essere a tratti esasperata, racconta perfettamente qual era la concezione del clima vissuto in sala parto. Urla, manovre pericolose e invasive, un ambiente freddo e anonimo e un approccio da parte del personale sanitario che non considera la dignità e la personalità di ogni donna (e di ogni bambino).
Come già detto il parto è un’esperienza unica che richiede rispetto. Un rispetto per i tempi, le sensibilità e la percezione del dolore di ogni protagonista del parto che deve essere sempre tenuta in considerazione e messa al primo posto.
La medicalizzazione, invece, tende a livellare tutto, riducendo il dolore, i tempi di dilatazione, il modo di vivere la serenità e la privacy a numeri e statistiche da seguire alla lettera. I protocolli medici sono fondamentali per tutelare i pazienti, ma non possono sostituirsi a essi come priorità.
Purtroppo ancora oggi molte donne raccontano di trattamenti gravissimi ricevuti in sala parto, dalla banalizzazione del loro dolore all’impossibilità del partner di essere presente durante tutte le fasi del parto, per non parlare delle manovre ostetriche invasive, dolorose e pericolose.
Questo è il complesso di situazioni tipica del parto medicalizzato contro cui proporre un’alternativa positiva e che non crei il terreno fertile per maturare un vero e proprio terrore del parto, con tutte le conseguenze negative sia per il bambino che per la mamma.
Per "violenza ostetrica" si intendono le forme di violenza fisica e psicologica subite dalle donne, durante il travaglio e il parto, da parte del p...
Anche per far fronte a tutto questo, quasi a voler redigere una sorta di “carta dei diritti in sala parto”, le linee guida OMS propongono e ripropongono una serie di raccomandazioni sul travaglio e sul parto la cui applicazione promuove non solo la sicurezza del parto in sé, ma anche che questa sia un’esperienza positiva per le donne e la famiglia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità non va per il sottile e parla di rispetto dei diritti umani, a conferma di come parliamo di una realtà drammaticamente seria che richiede di essere affrontata in maniera vigorosa.
Sono ben 56 (di cui 26 nuove rispetto a precedenti documenti) le raccomandazioni (positive o negative) che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha esposto nelle linee guida per affrontare il problema (perché tale è considerato) del parto medicalizzato.
Secondo l’OMS, infatti, la “medicalizzazione dei processi del parto tende a minare le capacità della donna di partorire”. Inoltre ha un impatto negativo sull’esperienza del parto ed è un tipo di realtà che aumenta ulteriormente il divario di equità sanitaria tra le persone.
Questo è l’elenco riassuntivo (e liberamente tradotto) delle raccomandazioni; per le evidenze e le motivazioni scientifiche si rimanda alle linee guida dove sono esposti tutti i dati e le relative spiegazioni.
Quanto qui riportato permette di comprendere quel sia la condizione cui molte donne nel mondo si trovano a partorire, tanto da aver portato le autorità sanitarie internazionali a esprimersi così duramente contro il parto medicalizzato.
Cambiare la narrazione del parto si può. Trasformandola da "patologia" a momento da ricordare (e non solo per il risultato finale).
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