Sono cresciuta negli anni ’80 e ’90, quando anche solo essere sospettati razzismo era considerata dalla maggioranza delle persone una vergogna senza possibilità di redenzione.

Erano gli anni della caduta del Muro e della liberazione di Nelson Mandela, gli anni della fine dell’apartheid, gli anni dell’orrore per i genocidi su base etnica che ancora si consumavano nel mondo, a cominciare dalla vecchia Europa.

Erano gli anni dell’Erasmus, dell’interrail e dei Giochi senza Frontiere. Erano gli anni in cui la Coca Cola sceglieva un coro ecumenico e multietnico per la sua pubblicità televisiva di Natale. Gli anni in cui i confini tra i popoli e i paesi sembravano destinati a diventare un concetto obsoleto, una sovrastruttura inutile.

Gli anni in cui, in qualche modo, si poteva sperare in un futuro libero dal razzismo e dalle discriminazioni. Trent’anni dopo, il clima sociale mi sembra purtroppo cambiato, e non in meglio. Sentimenti di preconcetto, di discriminazione razziale e diffidenza sembrano in qualche modo essere stati sdoganati, soprattutto dietro il filtro dei social network, che a volte finiscono col liberare gli istinti più beceri delle persone.

Eppure, oggi come allora, il razzismo fa male ai nostri figli, e a noi con loro. Fa male non solo a chi ne subisce l’onta e le conseguenze, ma anche a chi lo respira, a chi lo vive di riflesso. E a chi lascia che il razzismo gli avveleni l’anima.

Il razzismo è sintomo di grande ignoranza

Le razze, semplicemente, non esistono. Si tratta di un concetto privo di qualsiasi fondamento scientifico e biologico (e suona anche paradossale scriverlo, in effetti).

Esiste un’unica “razza”, se così vogliamo definirla, ed è quella umana. Non esiste alcuna argomentazione a sostegno della presunta “superiorità” di un gruppo etnico su un altro, e la condizione di vantaggio sociale ed economico di alcune popolazioni rispetto ad altre non dipende da meriti naturali, bensì da cause storiche e ambientali.

Il razzismo impoverisce la vita

Al di là della sofferenza che causa a chi ne è vittima, il razzismo danneggia in modo irreversibile la vita di chi se ne rende colpevole. La diversità, sotto tutti i punti di vista possibili (antropologico, culturale, spirituale etc), è la forma di ricchezza più straordinaria e preziosa su cui possiamo contare.

L’incontro con storie diverse dalla nostra, l’apertura a tradizioni, costumi, sapori e sensibilità che sono distanti da quelle a cui siamo abituati, non fa che rendere la nostra esistenza più interessante, più intensa, più stimolante.

Ci permette, in qualche modo, di vivere anche vite “altre”, di vivere di più, di vivere più forte. Negarsi questa possibilità è un delitto perpetrato contro se stessi, oltre che verso i destinatari dei propri pregiudizi.

Il razzismo rende più soli

Impedirsi di amare (in ogni senso possibile) e di essere riamati da qualcuno solo perché proviene da un mondo lontano dal nostro, perché ha la pelle di un’altra tonalità o prega un dio che noi non conosciamo, non è altro che un modo per negarsi una preziosa opportunità. Per rinunciare di fatto a una parte di mondo e di umanità, col carico di meraviglie che porta con sé.

Il razzismo ti si ritorce contro, prima o poi

“Si è sempre meridionali di qualcuno”, diceva il professor Bellavista nel celebre film del compianto Luciano De Crescenzo. Una battuta di poche parole, che però racchiude in sé una profonda verità.

Il pregiudizio alligna dovunque, e ve lo dice una che con certi stereotipi (sui napoletani, nella fattispecie) si confronta con fatica e con dolore da quando era piccola. Il punto di vista di una persona razzista è parziale e relativo: e verrà il giorno, prima o poi, in cui sarà lei stessa a essere oggetto di discriminazione.

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