"Non c'è un solo modo di essere mamma, papà o senza figli": voci da Grembo - INTERVISTA

Genitori single, mamme over, chidlfree convinte, papà che reclamano il loro spazio: il podcast Grembo vuole dare voce a tutte le realtà che compongono o circondano la genitorialità, senza edulcorazioni o narrazioni idealizzate. Ne abbiamo parlato con la sua ideatrice, Anna Acquistapace.

Maternità, una parola così usata (e spesso abusata) nella nostra società da riuscire a catalogare le persone in base alla sua presenza o assenza. L'”essere madre” è, al di là di ogni ragionevole dubbio, esperienza totalizzante e complessa, ma non l’unica esperienza possibile che le donne possano fare, né, tantomeno, una tappa obbligata da raggiungere nella vita.

Di maternità si è parlato, tanto, e si parla tutt’ora, ma mentre un tempo la filosofia in merito era unica e unanimemente accettata come la sola possibile – le donne sono “fatte” per fare figli -, oggi anche voci e prospettive diverse reclamano, giustamente, il proprio spazio pubblico e il proprio posto: le childfree in primis, ovvero chi di figli non ne vuole, per scelta libera e consapevole, ma anche le mamme “non conformi”, come le single o le over. E i papà, spesso relegati – e non sempre per loro volontà – a figura di contorno nell’educazione dei figli e deputati a occuparsi solo del sostentamento economico familiare.

Di tutto questo, e di molto altro, racconta Grembo, racconti di pancia, podcast nato da un’idea di Anna Acquistapace, laureata in Storia della fotografia alla Sorbona, oggi tornata in Italia dopo un’esperienza in Cile per lavorare per l’agenzia di content marketing LUZ, selezionata nel 2022 tra i 300 partecipanti su oltre 4000 candidature alla prima edizione della scuola di podcasting “Chora Academy” e, fra le altre cose, mamma di due bambine, particolare, quest’ultimo, che le ha dato l’input per il podcast, nato non per essere un racconto edulcorato ed esaltativo della maternità, quanto un compendio delle diverse sfaccettature della genitorialità e non genitorialità.

La prima domanda, inevitabile, è allora perché qualcuno dovrebbe seguire proprio Grembo in un universo così fitto, e talvolta saturo, di narrazioni sulla maternità.

È la prima domanda che anch’io mi sono fatta prima di lanciarmi in questo progetto, e mi sono risposta abbastanza facilmente perché io stessa ero appena passata dalla maternità e non avevo trovato una voce che mi convincesse del tutto, per quanto riguarda i temi che mi interessavano. È vero, ci sono tantissime voci che parlano di genitorialità, ma nella mia ricerca non avevo trovato qualcuno che raccontasse la propria storia senza necessariamente metterci il proprio punto di vista. In quanto intervistatrice cerco di mettermi a lato e dare voce alla storia dell’altro senza per forza creare quel dialogo da cui deve uscire la mia opinione. Infatti faccio sempre un disclaimer iniziale in cui chiedo di essere gentile con la persona intervistata, perché dalle sue parole ognuno può prendere ciò che vuole e farlo proprio, oppure non condividerle affatto“.

Partiamo da uno degli ultimi episodi del podcast, dove hai ascoltato la voce di un padre. Molto spesso la paternità è ancora relegata a un ruolo di secondo piano, non per volontà dei padri, ma per paradigmi culturali davvero difficili da smantellare, e che si evidenziano in tantissimi aspetti della vita genitoriale, dal congedo di paternità così breve che abbiamo in Italia, fino all’assenza di fasciatoi nei bagni pubblici maschili. Tutte cose che fanno pensare che il carico dei figli ricada sulle madri, e che la funzione dei padri si esaurisca a una semplice questione di “contorno”. Cosa dobbiamo aspettarci da quello che ti ha raccontato Matteo Bussola?

È di qualche giorno fa la notizia dell’assistente materna, una parola che sta creando furore, e rappresenta bene secondo me il nocciolo della questione: c’è un problema culturale; i temi di assistenza e di accudimento sono ancora a carico delle donne, e il ruolo dei padri è dimenticato. Invece molti padri, oggi più che mai rivendicano il loro ruolo. Fulcro dell’intervista con Matteo è la sua rivendicazione: ‘Io sono un papà, non voglio essere un mammo’.

Ecco, finché la sola cosa che riusciamo a fare, rispetto a un ruolo di accudimento, è declinarla al femminile, quando invece esiste una parola perfetta al maschile, abbiamo un problema. Ascoltare la voce di un papà che può esprimere la propria gioia dell’essere padre, senza per forza farne una narrazione edulcorata, è bellissimo. Mi hanno scritto un sacco di papà dopo l’uscita dell’episodio del podcast, dicendomi ‘Che bello, finalmente avete dato spazio ai papà!’“.

Grembo, in generale, non è un podcast-inno alla maternità, ma un racconto quantomai sincero e distaccato della maternità a 360°, comprese problematiche di carattere fisico o psicologico: mi vengono in mente gli episodi sulla gestosi, ad esempio, ma anche i dubbi e le paure raccontate nell’episodio che ha per protagonista Gaia Rota. Inoltre, non è ancora socialmente accettato che la gravidanza non sia un bel momento per tutte, né che le donne possano viverla con paura, frustrazione, ansia, e non per forza come “i nove mesi più belli della loro vita”.

Abbiamo ancora questa visione estremamente edulcorata della maternità, dove per natura dobbiamo fare figli, e quando si entra in questo territorio, magari anche se abbiamo avuto difficoltà a generare un figlio, non puoi permetterti di avere paure o dubbi. E non puoi neanche chiedere aiuto, perché vieni travolta da persone che non fanno altro che domandarti ‘Ma sei felice?’, quindi non sono ammessi sentimenti che non siano felicità o entusiasmo alle stelle, altro che baby blues. Ecco, con questo episodio volevo proprio dare voce a tutte quelle donne che l’hanno passato, o che magari lo stanno passando ora, per farle sentire meno sole in questo periodo che comunque è uno stravolgimento della vita.

C’è anche un altro aspetto legato a questo tema, quello del pentimento, una fase fisiologica, che finché è temporanea ok, solo che a volte può degenerare. Ma non ne puoi parlare, non puoi dire ‘Io preferivo la mia vita di prima’. Non viene neanche dato tempo alle mamme di imparare a superarlo, senza sentirsi tremendamente in colpa. Altro aspetto ancora sono quelle odiose battute ‘Hai voluto la bicicletta, ora pedala’, che poi è uno po’ quello che guida anche il discorso delle cosiddette childfree zone. Fare figli non è un vezzo, un capriccio, è alla base della nostra società, anche solo in termini di sopravvivenza della specie, se vogliamo metterla così”.

A proposito di childfree zone, non pensi che, se da un lato viviamo in una società non ancora culturalmente pronta ad accettare l’idea che non tutte le donne vogliano figli, dall’altro ci sia invece un accanimento spesso ingiustificato contro i genitori? È frequente che mamme e papà si sentano giudicati in situazioni pubbliche anche se hanno bambini molto piccoli che piangono per necessità e per comunicare qualcosa.

Il problema delle childfree zone è proprio questo, emerge una sorta di intolleranza e di stigmatizzazione dei genitori. È la cattiveria che mi preoccupa, ma soprattutto, quando si parla di zone dedicate e divise, figli e non, perché non si pensa anche ad aree family friendly? Aree attrezzate, accoglienti per genitori e figli, anche perché, di fronte a un figlio che piange e agli sguardi giudicanti della gente, il genitore è il primo a stare male. Ci vuole tanto allenamento, una bella scorza, ed ecco perché mettere in circolo queste storie può aiutare“.

In una società che inneggia tanto alla famiglia cosiddetta “tradizionale” e pretende dalle donne che abbiano l’istinto materno a tutti i costi (per quanto anche diversi studi abbiano appurato che quest’ultimo non esista), spiccano due racconti: il primo di cui vorrei si parlasse è quello di Alice Siracusano, childfree convinta.Rispetto alle chidlfree, infatti, emerge un aspetto quantomai problematico, che si nota soprattutto nel mondo del lavoro: dalle donne senza figli ci si aspetta che facciano anche il lavoro di chi ha figli, che si fermino oltre l’orario di lavoro, che non abbiano problemi ad accettare compiti dell’ultimo minuto… E la motivazione è sempre la stessa, “Tanto tu non hai figli a casa”.

Sì, è proprio il rovescio della questione, perché anche qui rientriamo in un tema di categorizzazione. Non hai figli, automaticamente hai più tempo libero. Ma le persone, con o senza figli, non si possono incasellare. È questione di rispetto, rispetto per le scelte per gli altri, e soprattutto nel caso di Alice, emerge chiaramente che la maternità può stare anche in altre cose. Nell’accudimento di persone care, oppure nelle ambizioni lavorative. Vogliamo dire che essere madri passi solo e necessariamente per il ‘partorire con dolore’? Caratteristiche e qualità tipiche del mondo genitoriale si possono trovare anche in altre circostanze, senza per forza passare dai figli.

Viviamo costantemente sotto questa pressione per cui a un certo punto ci si aspetta che si facciano figli, tanto che le donne spesso si mettono in dubbio, mettono in dubbio le proprie idee e il fatto che avere un utero non implichi per forza di cose diventare madri”.

Altra storia interessante è quella di Chiara Mirelli, mamma sola grazie all’ovodonazione, che genera un altro interrogativo: ha ancora senso la definizione di mamme “over”, o, peggio ancora, di “primipare attempate”? Ed è davvero un atto egoistico essere una mamma single e attempata?

Potremmo parlarne per ore e sicuramente anche qui, pur non volendo dare giudizi, nel momento in cui scelgo una linea editoriale e la seguo è chiaro che sto già prendendo, a mio modo, una posizione. Per me, come Anna, c’è un problema quando si continua a usare paradigmi creati in momenti storici diversi, quando le donne si sposavano giovanissime e l’obiettivo principale era fare figli. Oggi parliamo di donne finalmente emancipate, inserite nel mondo del lavoro, questo significa che, prima di fare un figlio, una donna cerca di avviare una carriera. Nel caso di Chiara, è andata così: il suo lavoro di fotografa la portava in giro per il mondo e a non incastrarsi con il desiderio di maternità, assieme alla mancanza di compagni adeguati. Oggi abbiamo strumenti che ci permettono di diventare madri quando ci sentiamo davvero pronte, dovremmo solo attuare il cambiamento culturale per capirlo.

Ci sono sempre più donne che scelgono di diventare mamme dopo i 35, dovremmo accettare, forse, che questa sia la nuva normalità. La cosa bella, poi, è anche darsi l’opportunità di cambiare idea, invece le persone ragionano troppo spesso per compartimenti stagni”.

Se dovessi indicare un episodio non “preferito”, ma che secondo te vale la pena ascoltare?

È un episodio molto bello registrato insieme ad Annalisa Monfreda, giornalista, che ha una società che si chiama Rame che si occupa di scardinare gli stereotipi sul denaro, altro tabù femminile. Parla del carico mentale, un mondo che mi si è aperto parlando proprio con lei. È un qualcosa che riguarda tutte noi, e qua devo per forza parlare al femminile, e a lei ho chiesto proprio come si è liberata dal carico mentale. Per lei è stato un percorso partito durante la pandemia, e proprio lì ci siamo resi conto che anche nelle famiglie più ‘paritarie’ il famoso 50 e 50 non esiste. Ci sono meccanismi troppo ben radicati in noi, uomini e donne, così tanto interiorizzati che oggi è facile vedere video sul tema anche su social come TikTok, fatti con l’itento di far ridere, quando invece dovremmo solo fermarci a riflettere per capire quanto sia onnipresente nelle nostre vite“.

Seguici anche su Google News!
Ti è stato utile?
Non ci sono ancora voti.
Attendere prego...

Categorie

  • Storie