È sicuramente un quesito cui è difficile dare una risposta: qual è il numero giusto di figli che una famiglia dovrebbe avere?

Troppe variabili intervengono a farci capire che non è possibile trovare una risposta univoca alla domanda: in primis, bisognerebbe capire quanti figli si desiderano; se si dà o meno peso ad alcune condizioni che, se per alcuni possono essere di minore impatto, per altri invece possono essere importanti fattori da valutare, come la stabilità economica, lavorativa, personale; bisogna capire se si possono avere altri figli dopo il primo, che magari è arrivato dopo una gravidanza a rischio o in condizioni che non permettono di progettare una nuova gestazione.

Insomma, al di là delle mere considerazioni statistiche, o dei discorsi sull’importanza di fare figli per non incorrere nel calo demografico, stabilire se esiste un numero “giusto” di figli è praticamente impossibile.

Alcuni sostengono che fermarsi al figlio unico permetta di “gestirlo” meglio, ma d’altro canto non smuove il grafico demografico; altri, dopo due figlie femmine o due figli maschi, presumibilmente potrebbero pensare a una terza gravidanza per colmare la lacuna del “genere mancante” (senza alcuna certezza di riuscirvi, ovviamente). Molti hanno potuto provare con mano, durante il periodo del lockdown e della quarantena, come gestire due o più bambini sia tutt’altro che semplice.

La verità è che parliamo di situazioni troppo soggettive per essere inquadrate in dati e cifre universalmente validi, eppure diversi studi, negli anni, hanno provato a rispondere all’interrogativo. Una ricerca norvegese, ad esempio, ha scoperto che il numero di bambini in una famiglia gioca un ruolo relativamente irrilevante nel determinare il livello di istruzione o il QI, almeno tra i ragazzi, e che i figli unici non hanno maggiori probabilità, da adulti, di trovare impieghi con salari più alti. Insomma, da questo punto di vista non ci sono differenze.

Idem si può dire per ciò che riguarda i tratti della personalità: un articolo del 1987, che riassume 140 studi, ha indicato che non esistono differenze tra figli unici e bambini con fratelli per quanto riguarda caratteristiche come, ad esempio, l’estroversione. Gli stessi risultati sono arrivati da una ricerca condotta in Cina, Paese che ha lungamente adottato la politica del figlio unico, dove non sono state rilevate diversità nei tratti della personalità citati rispetto ai bambini con fratelli.

A contare, semmai, sembra essere l’ordine di nascita: i primogeniti, indipendentemente dal fatto che abbiano fratelli o meno, ottengono risultati leggermente migliori nei test del QI, proseguono più spesso con gli studi e sono destinati a ottenere guadagni più alti nella vita. Per quanto gli studiosi non sappiano spiegarsi con esattezza i motivi, potrebbe dipendere dal fatto che i genitori dedicano al primo figlio molto tempo per insegnarli a comunicare, a leggere e a scrivere, incoraggiandone lo sviluppo del linguaggio.

Per il resto, la scelta di quanti figli avere è e deve essere esclusivamente della famiglia, per ragioni che solo mamma e papà devono conoscere e che, certamente, non devono giustificare a nessuno.

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