Sebbene l’alimentazione abbia un ruolo centrale sull’andamento della gravidanza e sulla salute della gestante, in realtà il fabbisogno dei macronutrienti non si discosta di molto da quello di una donna non gravida. Difatti per una donna in gravidanza il 50-55% del fabbisogno energetico totale deve essere rappresentato dai carboidrati complessi (meglio se a basso indice glicemico), il 20% dalle proteine e il 25-30 % dai grassi.

La qualità dei grassi deve essere elevata, questo significa che l’assunzione dei grassi saturi deve essere limitata a meno del 10% dell’energia totale. Gli acidi grassi essenzialipolinsaturi (PUFA) devono rappresentare il 5- 10% dell’energia totale, di cui 4-8% daPUFA n-6 e solo 0.5-2% da PUFA n-3.Tra i grassi polinsaturi della serie n-3 (altrimenti noti come Omega-3) di grande importanza è l’acido docosaesaenoico o DHA, componente fondamentale delle membrane cellulari, specialmente del cervello e della retina. Questo grasso ha quindi un ruolo molto importante per il corretto sviluppo del sistema nervoso centrale del feto, per questo il suo apporto non deve assolutamente mancare durante la gravidanza.

Tra tutti gli alimenti il pesce è in assoluto quello con maggiore contenuto di DHA preformato. Secondo le fonti dei LARN 2014, per la donna in gravidanza si raccomanda di raggiungere un apporto nutrizionale di 100-200 mg/die di DHA (intervallo di riferimento RI). Tale fabbisogno sembra essere ben coperto dall’assunzione di almeno 2 porzioni di pesce grasso a settimana. Se da un lato il pesce offre un’ottima fonte di grassi omega-3, dall’altro è incriminato di essere la fonte principale di interferenti endocrini, ovvero di contaminanti pericolosi per lo sviluppo fetale. L’interferente endocrino più pericolosopresente nel pesce è il Metil-mercurio (MeHg), il cui effetto neurotossico fu scoperto nel 1956 in Giappone, nell’area di Minamata.

Il MeHg (sottoprodotto della produzione industriale diacetaldeide) fu scaricato direttamente nella baia di Minamata e la popolazione locale, che aveva consumato una grande quantità di pesci e molluschi contaminati con MeHg, sviluppò gravi sintomi di tossicità da MeHg. L’effetto neurotossico sul feto fu invece scoperto grazie all’antica tradizione della popolazione giapponese di conservare i cordoni ombelicali dei propri figli come ricordo. Dall’analisi dei cordoni ombelicali si evidenziarono elevate concentrazioni di MeHg (≥1 μg/g) nei nati tra il 1947 e il 1968, con valori massimi (≥2 μg/g) nel periodo tra il 1955 ed il 1959, quando si osservarono i primi nati con la malattia di Minamata.

I bambini, nati da madri esposte ad alte concentrazioni di mercurio, presentavano la malattia di Minamata già alla nascita, caratterizzata da paralisi cerebrale infantile e grave degenerazione neuronale. In realtà, quasi tutti i pesci sono contaminati con il mercurio, essendo normalmente presente nell’ambiente sotto forma di mercurio inorganico. Una quota di mercurio bivalente inorganico può trasformarsi in MeHg con la luce solare e, quando contamina gli animali acquatici, i batteri lo trasformano in una forma più pericolosa, il metil-mercurio, che si accumula nei tessuti grassi del pesce.

Il metil-mercurio è in grado di oltrepassare la barriera ematoencefalica e può determinare danni al Sistema Nervoso Centrale (SNC). In ragione dei gravi effetti che il metil-mecurio potrebbe apportare sul corretto sviluppo del sistema nervoso centrale del feto, l’EFSA (European Food Safety Authority) raccomanda ai singoli Stati membri di esaminare i modelli nazionali di consumo di pesce e di valutare il rischio per i diversi gruppi della popolazione pur mantenendo i benefici per la salute derivanti dal consumo di pesce.

Sempre secondo i dati EFSA per raggiungere un valore ottimale di DHA in gravidanza è necessario consumare almeno 3-4 porzioni di pesce a settimana. Tuttavia, per evitare di raggiungere la dose settimanale tollerabile (TWI) di metil-mercurio, si consiglia di non superare mai la dose di 2 porzioni a settimana di pesci di grande taglia come il pesce spada, tonno, merluzzo, luccio.

Quindi il pesce non deve essere assolutamente escluso dall’alimentazione della donna in gravidanza, in quanto è utile sia alla gestante sia allo sviluppo del neonato: contiene infatti proteine di alta qualità, è un ottima fonte di iodio, di vitamina B12 e di acidi grassi polinsaturi Omega-3. Molti studi hanno infatti riportato una relazione positiva tra un più alto consumo di pesce da parte delle gravide e un ridotto rischio di parto prematuro, di basso peso alla nascita, un miglioramento cognitivo e visivo.

Pesce crudo in gravidanza: sì ma solo dopo congelamento preventivo

Durante la gravidanza un’attenzione particolare va posta alle abitudini alimentari. Ciò è dovuto ai rischi legati alle infezioni in genere, ma in particolare alle infezioni alimentari come la toxoplasmosi e la listeriosi.

La listeria monocytogenes è infatti un batterio in grado di resistere alle basse temperature e alcune volte anche al congelamento. Al contrario è facilmente inattivato dalle alte temperature (> 70° C). A ragione di ciò si sconsiglia di mangiare pesce crudo o poco cotto, come il pesce marinato o sott’olio e affumicato. Il pesce sotto sale invece è sicuro solo se la salatura è stata eseguita con concentrazioni di sale da cucina (cloruro di sodio) superiori al 6% per tempi prolungati.

Secondo il Ministero della Salute, tuttavia, il consumo di pesce crudo o poco cotto può avvenire in totale sicurezza solo dopo un congelamento preventivo di almeno 96 ore (4 giorni) ad una temperatura di -18° C in congelatore domestico contrassegnato con 3 o più stelle dalla casa produttrice.

Questo significa che se la gestante è toxo-negativa (non ha mai contratto la toxoplasmosi) ma ha una grande voglia di alici marinate potrà mangiarle solo dopo un congelamento preventivo, in grado di inattivare anche la presenza di eventuali larve di anisakis, un parassita che infetta crostacei e pesci e in ultima istanza l’uomo per ingestione di prodotti ittici contaminati crudi o poco cotti (pesce marinato, sotto sale, sott’olio). Discorso a parte va fatto per il tonno in scatola o lo sgombro: in questo caso il pesce, prima di essere inscatolato, viene cotto al vapore. La cottura quindi lo rende sicuro per la donna in gravidanza, che potrà assumerlo in tutta tranquillità.

Sebbene il tonno sia un pesce di grande taglia il metodo di preparazione prevede un allontanamento dei grassi (principale tessuto di accumulo del mercurio). Tuttavia si consiglia sempre di consumarlo con parsimonia, cercando di non superare il consumo di 2-3 scatolette da 50 gr. alla settimana.

Pesce surgelato in gravidanza: un’ottima alternativa al pesce fresco

Il pesce surgelato conserva le stesse proprietà nutritive del pesce fresco. Il surgelamento è infatti un metodo di conservazione degli alimenti che permette un raffreddamento fino al cuore del prodotto in modo rapido. I prodotti raggiungono in brevissimo tempo la temperatura di -18°C, e la rapidità di raffreddamento determina la formazione di micro-cristalli di acqua che non danneggiano la struttura biologica degli alimenti. Questo metodo, a differenza del congelamento, permette di conservare le proprietà organolettiche degli alimenti, come il valore nutritivo, il sapore e il colore.

Il surgelamento, inoltre, consente di uccidere gran parte dei batteri o dei parassiti che potrebbero minacciare la gravidanza. In virtù di tali affermazioni, la gravida potrà scegliere in tutta libertà di consumare pesce surgelato, senza rinunciare al gusto del suo alimento preferito.

Pesce fritto in gravidanza: sì, ma con parsimonia

Discorso a parte va fatto per il pesce o frutti di mare surgelati ma panati. La panatura industriale è infatti di scarsa qualità e ricca di grassi saturi. Proprio per questo, se si ha voglia di una frittura, è bene farla in casa. Quindi sì alla frittura, ma deve essere di qualità e consumata solo sporadicamente.

Se si utilizzano oli non idonei alle alte temperature, i grassi contenuti nell’olio possono subire delle degradazioni a una forma nociva per la salute, come lipoperossidi, isroperossidi, chetoni e aldeidi. La frittura determina inoltre la formazione di composti derivati dal trattamento ad alte temperature della matrice alimentare, come l’acrilammide, ad azione cancerogena. Gli oli più appropriati per le fritture sono l’olio di oliva e di arachidi, da escludere totalmente l’olio di girasole e di soia. Accettabile invece l’uso dell’olio di mais.

La frittura, se ben fatta, ha però il vantaggio di conservare le proprietà nutritive degli alimenti. Essendo infatti un tipo di cottura senza acqua, intrappola i nutrienti all’interno della panatura, impedendo a quest’ultimi di disperdersi verso l’esterno. Dunque una buona frittura di pesce ci permette di assumere una buona dose di vitamine. Ricordiamoci però che parte dell’olio di cottura sarà assorbito dall’alimento, rendendo quest’ultimo ricco in colesterolo. Dunque via libera alla frittura, ma solo in modo sporadico.

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