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Tra controindicazioni e necessità , parliamo senza pregiudizi dell'uso degli antidepressivi in ​​gravidanza.
Si parla spesso di depressione, postpartum o in gravidanza, ma quasi esclusivamente con quell’atteggiamento tipico di scarsa empatia nei confronti di persone che soffrono. Con l’aggravante, in questo caso, che si tratta di donne, in gravidanza e con problemi di salute mentale. Per questo si tende a focalizzare l’attenzione solamente sugli esiti avversi della depressione, nella speranza che parlarne possa risultare utile per prevenire questa malattia. Se il tentativo di aiutare le donne in gravidanza e le neomamme a non cadere in depressione è lodevole e necessario, è altrettanto importante non stigmatizzare o ignorare coloro che ricorrono all’uso degli antidepressivi in gravidanza. Un argomento delicato e che inevitabilmente intercetta la sofferenza di tante persone, ma che proprio per questo merita un’attenzione particolare.
La prevalenza dei disturbi depressivi durante la gravidanza è tra l’8% e il 10% e circa il 13% delle donne soffre di questi disturbi durante l’anno successivo il parto. Questi i dati dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) che fotografa un fenomeno tutt’altro che marginale, anche considerando i molti casi che non vengono riconosciuti per lo stigma sulla depressione e la difficoltà per le donne di trovare il supporto adeguato.
Anche perché i sintomi della depressione in gravidanza sono spesso confusi o in alcune parti sovrapponibili ai fisiologici cambiamenti che avvengono durante la gestazione. Stanchezza, ansia, maggiore irritabilità , disturbi del sonno o dell’appetito sono tutte esperienze comuni alle donne in gravidanza. La preoccupazione intorno alla depressione in gravidanza è legata, come spiegato dalla Rivista di Psichiatria, dalle problematiche che questa condizione può causare sia nelle donne che sullo sviluppo del feto.
Per le donne, una depressione non trattata aumenta il rischio di ricadute oltre a renderle più vulnerabili a complicanze ostetrico-ginecologiche. I dati riportano come nei Paesi ad alto reddito il suicidio è la prima causa di morte materna per le donne in gravidanza e nel primo anno dopo il parto. Per il feto, come riportato in uno studio pubblicato su Nature, la depressione materna può incidere sia come conseguenze delle complicanze, sia per l’aumento del rischio di aborto spontaneo, travaglio precoce, ritardo di crescita intrauterino e alterazioni dello sviluppo quali ipotonia e alterazione dei movimenti.
Uno dei punti più delicati quando si affronta l’argomento della depressione in gravidanza è il ricorso ai farmaci antidepressivi. Questi sono uno degli strumenti per trattare la depressione e, come indicato dal Manuale MSD, per essere efficaci devono essere assunti per diverse settimane e per un periodo di tempo non inferiore a 6-12 mesi per evitare recidive. Considerando che alcuni antidepressivi, spiega l’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI), aumentano la probabilità che i neonati possano essere ricoverati in unità di terapia intensiva neonatale, la loro prescrizione deve essere valutata caso per caso pesando il rapporto rischi e benefici.
In generale, come riportato in questo documento, l’indicazione è di ricorrere a strategie non farmacologiche (psicoterapia cognitivo-comportamentale o psicoterapia interpersonale) nei casi di sintomi lievi o moderati, ovvero quelli nei quali il sonno e l’appetito non siano compromessi. Si ricorre agli antidepressivi quando la depressione è grave o quando la sola psicoterapia non si è rivelata efficace. Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (a eccezione di paroxetina), riferisce il portale Farmacovigilanza, sono il trattamento di prima scelta e considerati come un trattamento sicuro.
Se è vero che i farmaci antidepressivi assunti in gravidanza possono avere un effetto teratogeno, le ultime ricerche scientifiche evidenziano due elementi molto importanti. Da una parte che questo rischio è simile a quello dei bambini le cui madri non hanno assunto antidepressivi; quindi gli antidepressivi non aumentano in modo significativo il rischio di malformazioni rispetto alla popolazione generale.
Dall’altra che spesso gli esiti avversi sono da attribuire alla depressione sottostante che i farmaci tentano di curare, non agli antidepressivi stessi. Inoltre, gli studi indicano che tra le donne con depressione, chi assume antidepressivi in gravidanza presenta una probabilità leggermente più alta di partorire prima del termine o di avere un neonato che necessita di cure intensive subito dopo la nascita, rispetto a chi non segue una terapia farmacologica.
L’assunzione degli antidepressivi è quindi una strategia da valutare con maggiore fiducia per offrire un beneficio sia alla donna che al feto. Da questo punto di vista è importante anche ricordare come una depressione non trattata è associata non solo alle complicanze della gravidanza (preeclampsia, parto pretermine, basso peso alla nascita), ma anche a una serie di effetti a medio, breve e lungo termine sulla salute del bambino.
Da questo punto di vista le donne che soffrono di depressione possono avere maggiori difficoltà a instaurare una relazione affettiva stabile con il bambino, mostrando talvolta atteggiamenti di distacco o, al contrario, di eccessiva intrusività . Queste dinamiche possono compromettere la qualità dell’attaccamento e influenzare negativamente la crescita emotiva e comportamentale del bambino.
Le ricerche hanno evidenziato che i figli di madri depresse tendono ad avere punteggi più bassi nelle scale di sviluppo infantile e una maggiore vulnerabilità a problemi cognitivi, disturbi dell’umore e difficoltà di adattamento. L’esposizione prolungata alla depressione materna, sia durante la gravidanza che nei mesi successivi, aumenta inoltre il rischio di sviluppare ansia o depressione nell’adolescenza e nell’età adulta.
Il mancato trattamento della depressione può anche favorire una cronicizzazione del disturbo, estendendone gli effetti nel tempo. Diversi studi hanno mostrato che oltre il 30% delle donne presenta ancora sintomi depressivi a due anni dal parto, con un impatto evidente anche sul benessere dei figli, che risultano più predisposti al sovrappeso durante l’infanzia e l’adolescenza.
Senza dimenticare che in alcuni casi, se la depressione assume forme gravi o psicotiche, la compromissione del legame madre-bambino può sfociare in comportamenti pericolosi, come trascuratezza o, raramente, episodi di violenza. Questo per avere la piena consapevolezza di una realtà più complessa di tante facili semplificazioni e di come la malattia possa avere conseguenze più gravi di quelle legate alla sua cura.
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