Spesso pensiamo che i neopapà, dopo il parto, non subiscano gli stessi cambiamenti che invece affronta la neomamma; questo perché partiamo dal presupposto che la madre sia colei che stabilisce il legame più forte con il neonato fin da quando si trova nella sua pancia, e che prosegue con l’allattamento, e riteniamo perciò naturale sia una diversa attitudine alla nuova esperienza della genitorialità, sia il cambiamento, che quest’ultima sperimenta a livello fisico e ormonale durante e dopo la gravidanza.

Appurato che i padri sono tutt’altro che “semplici comprimari” e che, nel loro nuovo ruolo di genitori, sono tempestati da dubbi e interrogativi proprio come ogni neomadre (“Sarò un bravo padre? Sarò capace?”), dobbiamo anche sfatare il mito dell’istinto materno e della biologicità della genitorialità. Insomma, nessuno nasce madre o padre.

A questo si aggiunge il fatto che, per quanto meno evidenti rispetto a quelli femminili, perché non esternamente visibili, anche gli uomini sperimentano cambiamenti ormonali e cerebrali una volta compiuta la transizione verso la paternità. A dirlo è la scienza.

Il ruolo del testosterone

Il testosterone è l’ormone tipicamente maschile che, ad esempio, spinge gli uomini a trovare una partner e che, secondo alcuni studi, li rende più o meno attraenti verso l’altro sesso. Diventare un compagno e un padre, quindi essere inserito in una famiglia, dovrebbe tenere lontano un uomo dall’impulso di cercare un’altra partner; in effetti, uno studio pioneristico durato cinque anni, pubblicato nel 2011, condotto dal dottor Lee Gettler, un antropologo americano, ha seguito un gruppo di 624 uomini single senza figli nelle Filippine dai 21 ai 26 anni, scoprendo che, escludendo i normali cali di testosterone legati all’età, i 465 uomini che sono diventati papà durante quel periodo di cinque anni hanno sperimentato un calo più significativo – una media del 34%– rispetto a quelli rimasti single o sposati senza figli.

Molti studi hanno confermato questa ricerca, mostrando come il livello del testosterone si abbassi dopo la nascita del primo figlio. Pare ci sia una correlazione anche tra livello del calo e assistenza al bambino: il dottor Gettler sostiene infatti che, maggiore è il calo, più importante è il livello di cura e di occupazioni domestiche legate alla nascita del bambino da parte del neopapà.

Se pensate che il calo del testosterone rappresenti una “demascolizzazione”, sappiate che gli stessi studi suggeriscono anche che instaurare un rapporto forte con il proprio bambino e interagire con lui svilupperebbe invece l’aumento di altri ormoni, come ossitocina – il cosiddetto ormone dell’amore – e dopamina. Una vera e propria”ricompensa neurochimica” che fa sentire appagati i papà.

Anche il cervello cambia

Ma anche il cervello dei papà pare subisca importanti cambiamenti una volta entrati nel mondo della genitorialità. Nel 2014, il dottor Pilyoung Kim, neuroscienziato dello sviluppo presso l’Università di Denver, ha sottoposto 16 neopapà a risonanza magnetica, inizialmente nel periodo compreso tra le prime due o quattro settimane di vita del loro bambino, e successivamente tra 12 e 16 settimane. Lo studio ha portato alla luce cambiamenti cerebrali che rispecchiavano quelli precedentemente osservati nelle neomamme: alcune aree all’interno di parti del cervello legate all’attaccamento, alla cura, all’empatia e alla capacità di interpretare e reagire in modo appropriato al comportamento di un bambino mostravano di aver immagazzinato più materia grigia e bianca tra le 12 e le 16 settimane di quanto avessero fatto in precedenza.

Il dottor Kim ritiene che questo ingrossamento del cervello rifletta un aumento delle abilità associate alla genitorialità – come nutrire e comprendere i bisogni del bambino -.

Un altro studio del 2012, condotto dai neuroscienziati dell’Università di Bar-Ilan, in Israele, ha invece suggerito che le parti del cervello che si modificano sono differenti per ciascun genitore. Per le mamme, si attiverebbero maggiormente le regioni più vicine al nucleo del cervello, che consentono loro di prendersi cura, nutrire e rilevare i rischi, mentre nei papà quelle collocate sulla superficie esterna del cervello, dove si trovano le funzioni cognitive più alte e più consapevoli, come il pensiero, l’orientamento agli obiettivi, la pianificazione e la risoluzione dei problemi.

Culturalmente, i ruoli di mamma e papà sono diversi: la mamma è colei che accudisce, il papà colui che gioca, nell’immaginario collettivo. I cambiamenti a diverse zone del cervello potrebbero essere la risposta che spiegano il perché di questa visione, suffragata anche da uno studio del 2010 condotto su 112 madri e padri, che ha scoperto come i picchi di ossitocina (e per associazione, dopamina) nelle madri ci fossero nel momento dell’allattamento e, più in generale, della pappa, mentre nei papà quando hanno preso parte a giochi. Poiché il cervello dei bambini piccoli sembra imitare gli stessi livelli di ossitocina dei genitori, è presumibile pensare che avranno picchi di ossitocina quando giocano con papà e quando sono nutriti da mamma.

Naturalmente, ci sono ancora molte domande a cui rispondere nel campo, relativamente nuovo, della biologia della paternità. Ma è bene cominciare a sfatare qualche vecchio stereotipo.

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