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Prima o poi, capita a tutti i genitori: dover sopravvivere ai perché dei bambini e alle loro domande a raffica. Per cavarsela, ognuno ha le sue tattiche, più o meno ortodosse!
Qualcuno comincia ben prima dei tre anni, altri invece ci arrivano alle soglie della scuola primaria. Ma, tempistiche soggettive a parte, tutti i bambini prima o poi entrano nella fase dei “perché” e delle domande a raffica. E non è detto che ne escano fino alla preadolescenza.
Come fare, allora, per sopravvivere a tanta genuina e incontenibile curiosità infantile? Per non finire travolti dal gorgo dei perché? Ogni genitore ha la sua tattica, più o meno efficace. Oppure ricorre a una combinazione di strategie e mezzucci acquisiti con l’esperienza sul campo, magari con i figli precedenti. Io, con due bambini in piena fase del “perché”, di tattiche ne ho messe a punto tantissime, non sempre ortodosse ma talvolta risolutive. E le condivido volentieri con voi.
È una delle mie preferite: consiste nel rispondere ai perché dei bambini con dovizia di particolari e rigore scientifico, proprio come se si stesse conducendo una puntata di Superquark (o di Ulisse, per citare l’Angela figlio). L’obiettivo è, in buona sostanza, quello di tramortire i bambini, ma anche fornire loro qualche rudimento tecnico-scientifico, sperando che da grandi diventino fighi anche solo la metà dell’Alberto nazionale.
Altrimenti detta dello scaricabarile. Viene applicata soprattutto quando i perché dei bambini tendono a concentrarsi ossessivamente su sessualità, riproduzione, concepimento e affini. E devo dire che spesso funziona purtroppo a parti invertite, dal momento che molti papà sembrano essere campioni del “Chiedi a tua madre”. Gli esiti sono del tutto imprevedibili: è questione di fortuna, per dirla con la massima eleganza.
Che poi, in parole povere, significherebbe fingersi morti. O non udenti, o anche solo profondamente addormentati. Ci si può accasciare istantamente sul divano, oppure tentare di mimetizzarsi nella tappezzeria della cameretta. Oppure, semplicemente, inscenare una fine subitanea e indolore, o, per farla meno drammatica, un’afonia improvvisa.
Devo ammettere che coi miei figli niente di tutto questo ha mai funzionato neanche solo lontanamente, ma magari va meglio a voi, fatemi sapere!
Brevettata da me medesima, che in effetti da piccola sono stata una campionessa mondiale di domande a ripetizione e di “perché”. Questa tattica, però, va accuratamente evitata con bimbi suscettibili o iperattivi, perché potrebbero offendersi a morte oppure stimolarsi ancora di più.
Consiste nel rispondere a una domanda con un’altra domanda, dirottando l’attenzione del bambino su un altro perché a cui lui non aveva (incredibilmente!) ancora pensato. In pratica è una specie di supercazzola di famiglia, destinata a risolversi in una grassa risata oppure nel delirio insanabile.
Ovvero rispondere “non lo so” a tutti i perché dei bambini. Richiede molta costanza e concentrazione, basta una risposta sensata per mandare a monte tutto quanto. Effetto collaterale: la totale disistima da parte dei figli, ma vuoi mettere la pace dei sensi quando finalmente, convinti della tua ignoranza suprema su ogni questione degna di nota, smetteranno del tutto di farti domande?
Solo quattro parole: tappi per le orecchie. Ovvero: se non puoi silenziare tuo figlio, puoi sempre silenziare il tuo apparato uditivo. Il rischio è che l’amabile creatura, accortasi dell’improvvisa durezza d’orecchie del genitore, non faccia altro che ripetere i suoi perché a volume più alto, coinvolgendo progressivamente l’intero vicinato (altro che il rumore bianco per farlo addormentare quando era piccolo).
O che li scriva, se è già in grado di farlo. Insomma, più che una tattica di sopravvivenza ai perché dei bambini, questo è giusto un sistema per guadagnare un po’ di tempo, per concedersi una momentanea tregua dalla travolgente curiosità dei propri figli. Il che, a volte, può salvare la vita a un povero genitore stremato.
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