Abbiamo tutti nella mente le commoventi immagini di Robin Williams nei panni del dottor Patch Adams. Soprattutto quelle emblematiche parole: “Non possiamo promettere di guarire le persone, ma possiamo promettere di prenderci cura di loro”. Patch Adams è forse il promotore più noto della clownterapia, un metodo di approccio al dolore e alla sofferenza dei bambini.

Anche in Italia sono diverse le associazioni e le realtà che si occupano di clownterapia prestando questo servizio nelle corsie degli ospedali. È utile e interessante capire di cosa si tratta, cosa c’è di scientifico e come fare per diventare un volontario.

Clownterapia: cos’è?

La clownterapia si fonda sull’idea dell’importanza del buonumore, ovvero di come il sorriso e la serenità del paziente sia fondamentale per il trattamento della sua malattia.

Questo è utile soprattutto nei bambini, emotivamente più fragili e bisognosi di attenzioni. È stato infatti segnalato come i più piccoli, quando vengono ricoverati in ospedale, perdono i punti di riferimento.

Per questo l’Associazione Culturale Pediatri sottolinea: “Nei reparti di Pediatria devono essere messe in atto delle misure che rendano l’ospedale meno ostile: colorare le pareti, organizzare attività ludiche e leggere storie”. Questa la clownterapia e il ruolo svolto dai volontari.

Ma cosa c’è di vero e di scientifico? Diversi studi confermano come le endorfine siano responsabili, tra le altre cose, di aiutare a sopportare il dolore. Il cervello produce endorfine quando ridiamo e siamo sereni, per questo la sollecitazione del buonumore è considerata benefica per i bambini.

I benefici della clownterapia per i bambini

Entrando più nello specifico sono stati condotti test ed esami che hanno portato a conclusioni piuttosto sorprendenti. Solitamente, infatti, si pensa al ruolo del clown con il camice bianco come a quello di qualcuno che cerca di rendere più piacevole il ricovero in ospedale dei bambini.

Circolano frequentemente sui social video di ragazzi e ragazze che ballano e fanno ridere i bambini che si trovano nel letto di ospedale, anche quelli in condizioni molto gravi e con malattie incurabili.

Il ruolo della clownterapia è in realtà molto più profondo e articolato. I test condotti, infatti, hanno rilevato come in molti casi la terapia del buonumore sia stata utile per aiutare i bambini a sottoporsi a un esame chirurgico.

Con la clownterapia non è stato necessario somministrare dei farmaci contro l’ansia. Oltre a un maggiore relax a volte è possibile anche ridurre l’incidenza dei farmaci, con un conseguente beneficio anche sull’organismo dei bambini. Senza contare come con il sorriso e il buonumore, ma soprattutto con l’attenzione, si possa evitare la depressione sia per i bambini che per i loro cari.

Sia i bambini che i loro familiari rispondono in maniera positiva e si genera un effetto domino positivo che aiuta i medici a svolgere il loro lavoro. Il clima di tensione e preoccupazione, per quanto legittimo e comprensibile, non aiuta nessuno, sicuramente non il paziente.

È bene ricordare come la clownterapia non si sostituisce alla medicina, non è un’alternativa, ma un’integrazione, un supporto, un aiuto a volte molto importante.

Clownterapia: come si diventa volontari?

Nata negli Stati Uniti nel 1986, la clownterapia è oggi molto diffusa, anche se molto ancora potrebbe essere fatto. Sono infatti molti coloro che si domandano come fare per diventare volontari. È utile fare chiarezza, sia dal punto di vista professionale che umano.

I clown che si muovono nelle corsie degli ospedali sono sia professionisti che volontari. Questo, però, non vuol dire che tutti possono improvvisarsi clown. Esistono infatti corsi base e di aggiornamento con i quali imparare a fare il clown.

Anche se non servono dei titoli di studio è necessario apprendere delle abilità manuali (giochi di prestigio, magia, recitazione, eccetera). È doveroso anche saper gestire le proprie emozioni, timidezze e difficoltà. Così come a sapersi muovere in un ospedale con il rispetto dei regolamenti interni, delle procedure igieniche e della collaborazione con i dottori e il personale medico.

No, la buona volontà non è sufficiente. È doveroso ricordare le parole di Patch Adams con le quali abbiamo iniziato e parafrasare che la clownterapia non è una promessa di guarigione. Questo vuol dire che si può andare incontro a epiloghi non felici e che il lieto fine non è garantito.

Non si vuole spaventare gli aspiranti volontari, ma dargli la consapevolezza dell’onere e dell’onore di questa missione. Sì, una missione, perché quando non si ha certezza del risultato è corretto parlare di vocazione.

Stare a contatto con il dolore, anche tremendo, con l’angoscia di non sapere cosa accadrà e come evolverà quella malattia non è uno scherzo. La clownterapia è rivolta prevalentemente ai bambini, ma anche ai loro genitori. Coinvolgerli è più difficile, così come è più pesante confrontarsi con il dramma che stanno vivendo.

Anonimo

chiede:

Nonostante si avvalga di dinamiche ludiche la clownterapia non è un gioco, ma una cosa tremendamente seria. Un’attività di cui essere estremamente grati a chi la compie e alla quale prepararsi con tutta la formazione necessaria. Forse non si impara mai a vedere soffrire un bambino o piangere i suoi genitori, ma certamente non è una dinamica che si può improvvisare.

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