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Uno studio ha rivelato come il cervello delle donne durante la gravidanza presenti livelli preoccupanti di stress e ansia. La soluzione? Un supporto sociale valido.
I risultati di un recente studio psicologico mostrano preoccupanti livelli di stress materno nel cervello delle donne incinte. Per rompere questo schema il sostegno sociale sembrerebbe la soluzione migliore ma non sempre è così facile trovare supporto tra chi ci circonda.
Con l’inizio della pandemia da Covid-19, poi, la situazione sembra essere peggiorata: maggiore ansia materna e stress percepiti dalle future mamme per il rischio di infezione e le possibili conseguenze. Ma non solo, la confusione derivata dalla situazione di crisi sanitaria mondiale ha portato disequilibrio anche nel gestire la gravidanza e il post-parto.
Gli operatori sanitari sanno che le future mamme sperimentano aumenti prevedibili dei livelli di ansia prima della nascita dei bambini. La salute mentale materna si è così costantemente deteriorata in particolare tra le donne appartenenti alle categorie di minoranze e nelle fasce di povertà.
La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica theconversation, suggerisce che la preoccupazione della donna durante la gravidanza può avere un impatto a lungo termine sul modo in cui il cervello comunica, ma anche che potrebbero esserci alcuni semplici passaggi che potrebbero aiutare a frenare gli effetti negativi di un pensiero stressante.
Lo studio si è concentrato su cosa realmente succede quando le donne iniziano la gravidanza già preoccupate o ansiose e quali sono gli indizi che permetterebbero di capire come aiutare sia loro stesse che i loro bambini.
Questo stress che durante la gravidanza si sviluppa maggiormente è dipeso in gran parte dagli “avvertimenti” a cui le future mamme sono costantemente sottoposte circa i rischi sulla salute propria e del bebè. Gli appelli a “avere molta paura” sono, allo stesso tempo, controbilanciati da altrettanti forti avvertimenti per le donne in stato interessante di non preoccuparsi troppo, per timore che ciò porti nel tempo a esiti negativi per loro e i loro bambini.
Questi avvertimenti hanno, però, una base di verità poiché gli ormoni materni dello stress attraversano la placenta e colpiscono il feto. Quindi, l’esposizione fetale al cortisolo – ovvero l’ormone dello stress – è stata collegata a una serie di esiti negativi, tra cui:
Inoltre, il team di ricercatori confermano che le madri ansiose tendono ad avere figli altrettanto ansiosi. Questo fenomeno molto comune negli ultimi decenni e sempre più in aumento è probabilmente dovuto a numerosi fattori, sia prima sia dopo il parto.
Il cervello della donna incinta si modifica durante la gravidanza preparandosi ai cambiamenti che seguiranno dopo la nascita del neonato. Questa modificazione del modo di pensare è innata nelle madri e rappresenta l’istinto materno di salvaguardare la prole dai possibili pericoli esterni.
L’esperienza di stress durante la gravidanza può però dirottare un periodo di cambiamento inteso ma che comunque dovrebbe essere positivo verso problemi legati all’ansia e quindi negativi.
Il team di studiosi ha sottoposto a EEG (elettroencefalografia) un campione di donne incinte in modo da poter monitorare la loro attività cerebrale naturale durante l’esposizione visiva a delle immagini emotive e non emotive. I ricercatori hanno così registrato e analizzato le reazioni neurali delle future mamme.
I risultati hanno evidenziato come, nella maggior parte delle donne incinte, il cervello mostrava più attività quando veniva presentata loro un’immagine o un suono negativo, (es. il pianto di un bimbo) rispetto a un’immagine o un suono neutro.
Inoltre, ha specificato il team:
Per alcune donne nel terzo trimestre di gravidanza questo effetto è stato interrotto: invece di reagire più fortemente a un’immagine negativa, il cervello delle future mamme ha mostrato la stessa risposta a immagini negative e neutre.
Fondamentalmente queste future mamme non distinguevano, a livello neurale, le immagini neutre da quelle negative.
Non possiamo essere sicuri che ciò che abbiamo osservato fosse il cervello di queste donne che reagiva a immagini neutre come se fossero negative, o a immagini negative come se fossero neutre. Ma abbiamo visto che la differenza tra le due categorie emotive era minore rispetto a quanto ci saremmo aspettati.
In questo contesto sembrerebbe che la risposta all’ansia delle future mamme abbia un esito molto più negativo del previsto poiché queste donne correrebbero il rischio di rispondere a informazioni non minacciose come se fossero, invece, tali. A livello neurale, il confine tra cosa è preoccupante e cosa non lo è si offuscherebbe maggiormente portando, nel tempo, a danneggiare anche la futura relazione tra mamma-bambino.
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Dallo studio effettuato si è notato che le donne incinte con maggiori livelli di stress erano coloro le quali avevano una rete di supporto sociale molto bassa.
Sempre nel corso della ricerca è stato donato alle mamme un elenco con nominativi di persone con cui potersi confrontare circa la loro situazione. I risultati ottenuti hanno mostrato che le donne soddisfatte delle relazioni avute avevano diminuito i loro livelli di stress, registrando anche un’attività neurale migliore con una netta distinzione tra informazioni negative e neutre.
Lo studio, dunque, suggerisce che un adeguato supporto sociale calma le risposte del corpo allo stress. Ne consegue, quindi, che cambiare la percezione di una futura mamma di avere un supporto sociale sufficiente può cambiare il modo in cui il suo cervello elabora le informazioni emotive per renderle più simili alle tipiche funzioni salutari.
Il team ha così concluso:
Il nostro lavoro identifica il supporto sociale come un passaggio specifico e facilmente mirato per proteggere le donne in gravidanza in modi che possono influenzare la funzione neurale durante un periodo delicato di riorganizzazione.
Un supporto adeguato è negli occhi di chi guarda.
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