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In un mondo di "primipare attempate" (che sono solo mamme dai 35 in su), uteri inospitali e orologi biologici, è possibile rivoluzionare il vocabolario della maternità e della genitorialità? C'è una campagna che ci sta provando e forse potrebbe riuscirci.
Le parole contano e non c’è un ambito della vita nel quale non abbiano peso. Ce l’hanno soprattutto nella sfera delicatissima che incrocia temi come il diventare genitori, l’essere madri o padri, il cercare un figlio e trovarlo; ma anche in quella dei suoi contraltari, ovvero l’infertilità e l’aborto.
Usare un vocabolario comprensibile e variegato, inclusivo e realistico, è necessario. Ma anche utopistico, perché la lingua comune, così come quella della scienza, è frutto di consuetudine e come tale difficilmente sradicabile.
Ci ha provato – riuscendoci in modo brillante – la campagna virale dell’app Peanut che si chiama #RenamingRevolution.
Si tratta di glossario rivoluzionario negli intenti e nella pratica, ideato grazie alle testimonianze di decine di donne e fortemente voluto dalla modella e attivista Chrissy Teigen che ha ispirato la campagna. Teigen ha partecipato alla realizzazione del manuale dopo aver raccolto lo sfogo di una sua followers su Twitter che si diceva turbata dall’essere considerata “diversa e vecchia” e dall’essere stata attaccata solo perché aveva scelto di fare un figlio dopo i 35.
#RenamingRevolution è il prontuario linguistico che serviva. Uno strumento che auspicabilmente si diffonderà non solo online ma, in formato cartaceo, anche negli studi medici e nelle scuole. Ideato da un team di professionisti del settore sanitario e, appunto, linguistico, si poggia su un’app, Peanut, nata per essere il più inclusiva possibile rispetto all’esperienza della maternità e del diventare genitori. A Glamour, la linguista Amanda Montell che ha lavorato come esperto al progetto, ha detto che “Cresciamo usando il linguaggio in modo così naturale che spesso diamo per scontato il bias negativo sul quale si poggia“.
E quindi termini come “ovaio pigro“, “primipara attempata” , “utero inospitale” e “orologio biologico” sono entrati nell’uso comune. Li usiamo sin da quando la ginecologia moderna è diventata un faro in ambito medico e scientifico e non sono mai cambiati nonostante le evoluzioni sanitarie e linguistiche degli ultimi decenni.
Sono termini che sfruttiamo nei dialoghi che parlano di genitorialità, gravidanza e parto senza pensare al loro peso, appunto, e al fatto che potrebbero essere usate altre parole per definire una donna che fa un figlio dopo i 35 anni, un utero il cui muco cervicale rende difficile il passaggio degli spermatozoi, una scelta ponderata di coppia che porta (oppure no) verso il desiderio di avere un figlio.
Un termine che usiamo senza pensare a quanto possa fare male a chi sterile lo è per davvero. E che potrebbe essere trasformato in un più delicato “sfide riproduttive” secondo il glossario di #RenamingRevolution.
Tra le cause di infertilità femminile l’utero cosiddetto ostile (al transito degli spermatozoi a causa di un’anomala consistenza del muco cervicale) è forse la più diffusa. E quindi la più pronunciata a livello verbale dagli specialisti. Il termine ostile apre scenari semantici legati alla lotta, quasi bellici, in cui non si intravede speranza o possibilità di cambiamento. Ed è per questo che dovrebbe essere cambiato: gli esperti di #RenamingRevolution suggeriscono “Difficoltà nell’impianto a causa del rivestimento uterino”.
E se, invece di usare un termine così forte parlassimo di difficoltà nella riproduzione, per alleggerire il peso (anche attraverso le parole) di chi davvero le sta vivendo sulla propria pelle?
This is the #RenamingRevolution 🚨 ‼️
— Peanut (@peanut) March 23, 2021
We’re reclaiming outdated terms and creating an entirely new glossary with help from @chrissyteigen, top linguists, and medical professionals. Why? To create a culture that values and empowers women. Because right now, that’s not happening. pic.twitter.com/ZXvxNv2LTD
La stessa Chrissy Teigen, con il marito John Legend, ha vissuto l’esperienza dell’aborto spontaneo in uno stadio avanzato della gravidanza. L’ha raccontata sui social in un modo così doloroso, vero e impattante da aver fatto la storia. Rivoluzionare il glossario di tutti i termini legati alla perdita e a un lutto di questo tipo (perché proprio di lutto stiamo parlando) è necessario per provare ad alleggerire l’esperienza. “Perdita di una gravidanza” potrebbe essere una soluzione.
Così viene definita la paziente che sperimenta da tre perdite di una gravidanza consecutive a salire. Secondo il glossario di #RenamingRevolution, il vocabolo alternativo potrebbe essere “aborto ricorrente”.
Sofferenza fetale è un termine che, in modo quasi automatico, si associa alla sfera del dolore e della sofferenza fisica. Certamente è uno dei rischi maggiori che possono occorrere durante il parto, con pesanti conseguenze sul benessere del neonato. Resta il fatto che il peso di certi termini acuisce la sofferenza di chi se li sente dire, soprattutto nei momenti concitati del parto. “Il bambino sperimenta difficoltà con l’ossigeno”, sebbene più lungo, potrebbe essere una soluzione linguistica per aggirare l’universo di significati del termine medico in uso comune.
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