Tirosinemia: sintomi e trattamento di una malattia metabolica congenita da conoscere
Una rara malattia genetica per la quale vi è la degradazione dell'amminoacido costitutivo della maggior parte delle proteine. Ecco cosa c'è da sapere.

Una rara malattia genetica per la quale vi è la degradazione dell'amminoacido costitutivo della maggior parte delle proteine. Ecco cosa c'è da sapere.
Nei soggetti con tirosinemia l’organismo non è in grado di metabolizzare completamente la tirosina i cui sottoprodotti si accumulano, dando origine a una serie di sintomi. È una condizione particolare che in alcune forme può essere gestita, ma solo se diagnosticata tempestivamente, evitando l’insorgenza dei sintomi.
Il portale MedlinePlus definisce la tirosinemia come una malattia genetica caratterizzata da problemi di degradazione della tirosina, che è un amminoacido costitutivo della maggior parte delle proteine. Se non trattata, la tirosina e i relativi sottoprodotti si accumulano nei tessuti e negli organi, causando seri problemi di salute.
Come anticipato si tratta di una condizione genetica, quindi permanente, da distinguere dalla cosiddetta tirosinemia transitoria. La forma transitoria consiste in un temporaneo aumento dei livelli di tirosina che si verifica in 1 neonato su 10, probabilmente per una carenza di vitamina C o per un fegato immaturo di un bambino nato pretermine.
L’origina di questa malattia metabolica è genetica e a essere coinvolti sono il gene FAH, il gene TAT e il gene HPD. Il primo ha il compito di fornire istruzioni per la produzione di un enzima che si occupa di una delle ultime fasi della degradazione della tirosina. Il gene TAT, invece, è coinvolto nelle prime fasi del processo, mentre il gene HPD fornisce le istruzioni per la produzione dell’enzima che si occupa della seconda fase.
Il processo di scomposizione della tirosina avviene di norma in cinque fasi e le anomalie a carico di questi geni interferiscono su queste attività, causando l’accumulo della tirosina e dei sottoprodotti a un punto tale da danneggiare e uccidere le cellule del fegato, dei reni, del sistema nervoso e di numerosi altri organi.
La tirosinemia è una malattia metabolica a trasmissione autosomica recessiva, per cui entrambe le copie del gene devono avere una variante per causare la malattia. Per questo motivo, solitamente, i genitori non ne sono affetti e sono ignari di essere portatori di questa condizione.
Come riportato dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, a seconda del gene coinvolto si distinguono tre tipi di tirosinemia:
La differenza tra le tre tipologie di tirosinemia incide sulla gravità dei sintomi e, quindi, sulla terapia disponibile.
La tirosinemia tipo I è in Italia oggetto dello screening neonatale allargato nei centri nascita che fanno riferimento al Policlinico Umberto I (mentre in Canada, dove è molto diffusa, viene previsto uno screening neonatale di massa). La diagnosi prenatale utilizza il liquido amniotico e le colture di amniociti o villi coriali. Questi i sintomi più comuni:
La forma acuta si manifesta entro i primi mesi di vita con ittero, diarrea, ipoglicemia e grave insufficienza epatocellulare. La forma subacuta compare tra 6 e 12 mesi con sintomi solitamente meno evidenti, mentre la forma cronica compare dopo il primo anno di vita. In questa tipologia è maggiore il rischio di cancro al fegato, motivo per cui spesso i bambini necessitano di trapianto al fegato. La conferma diagnostica si basa sia sui test genetici che sulle analisi del sangue, delle urine e una biopsia del fegato.
Questa tipologia spesso inizia nella prima infanzia e interessa la pelle, gli occhi e lo sviluppo mentale. Tra i sintomi e i segni più comuni rientrano:
Si può inoltre andare incontro a complicanze quali astigmatismo, ambliopia, diminuzione dell’acuità visiva e glaucoma.
La tirosinemia tipo III è la forma più rara e i suoi tratti caratteristici includono convulsioni, perdita di equilibrio e coordinazione, tremori, microcefalia e disabilità intellettiva.
La gestione della tirosinemia dipende, ovviamente, dalla causa e, quindi, dalla tipologia. Nella tirosinemia tipo I si prevede un trattamento basato sull’uso del nitisinone (NTBC) che determina la normalizzazione della disfunzione renale ed epatica con la soppressione entro pochi giorni del succinilacetone.
L’azione dell’NTBC è tale da “trasformare” la tirosinemia tipo I in una di tipo III nella quale non vi sono alterazioni epatiche e renali ma aumenta la tirosina e la fenilalanina che possono causare danni cutanei, oculari e neurologici, motivo per cui la sua assunzione è associata a una dieta ipoproteica. Se la terapia inizia entro i 2 anni si riducono nettamente i rischi associati alla progressione della malattia.
Per la tirosinemia tipo II e quella tipo III si prevede una dieta a basso contenuto di fenilalanina e tirosina.