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L'eccessivo (e sbagliato) uso degli antibiotici negli ultimi anni ha portato i batteri a resistere ai farmaci che dovrebbero eliminarli. Con conseguenze potenzialmente gravi per tutti.
L’antibiotico resistenza è un problema. Lo è dal punto di vista clinico, lo è dal punto di vista economico per la sanità pubblica e lo è per la diffusione del fenomeno. I dati del rapporto AR-ISS: sorveglianza nazionale dell’Antibiotico-Resistenza elaborato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), mostrano chiaramente che la minaccia resta concreta e diffusa, nonostante alcuni segnali incoraggianti.
Nel 2023, infatti, nei casi analizzati si osservano percentuali ancora elevate di resistenza per batteri comuni come Klebsiella pneumoniae ed Escherichia coli. Più di un quarto delle Klebsiella è risultata resistente ai carbapenemi, antibiotici considerati di ultima linea, mentre E. coli mostra resistenze superiori al 60% per penicilline e oltre il 30% per i fluorochinoloni.
Il quadro complessivo conferma come l’Italia sia non solo il Paese europeo con i più alti livelli di resistenza antimicrobica, ma anche quello – come riportato dal Notiziario Chimico Farmaceutico – nel quale ci sono circa 10.000 morti correlati all’antibiotico resistenza. Un numero la cui portata può essere meglio compresa se si considera che è un terzo di tutti i decessi legati all’antibiotico-resistenza in tutta Europa.
L’antibiotico resistenza è quel fenomeno, spiega il portale Salute Lazio, nel quale alcuni microrganismi diventano capaci di sopravvivere e proliferare nonostante l’azione degli antibiotici. Questo avviene per l’uso sbagliato di questi farmaci che non è raro vengano assunti per infezioni virali, nelle dosi non prescritte dal medico e in circostanze in cui non sono efficaci. Il fenomeno, che interessa sia gli esseri umani che gli animali, ha portato nel corso del tempo allo sviluppo di batteri in grado di resistere ai farmaci sviluppati per contrastarli.
Tutto questo si traduce, innanzitutto, nel prolungamento della durata delle malattie causate da questi microrganismi con il rischio che provochino gravi complicanze per l’assenza di una terapia farmacologica efficace. Inoltre, l’antibioticoresistenza può portare a vanificare procedure mediche salvavita come i trapianti d’organo, le terapie intensive e le chemioterapie, così come gli interventi chirurgici oggi di routine. Non va sottovaluto infine come questo fenomeno determini l’aumento di infezioni difficilmente trattabili con il rischio di ritornare in cui le malattie batteriche non sarebbero più curabili, aumentando il numero dei decessi.
La principale forma di prevenzione per l’antibiotico resistenza è l’educazione. Gli antibiotici, infatti, devono essere utilizzati esclusivamente per le infezioni batteriche. Non è raro, però, soprattutto in età pediatrica, che i genitori somministrino senza valutazione medica antibiotici ai propri figli per curare infezioni che non sono batteriche. Come evidenziato dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS), la maggior parte delle infezioni pediatriche è di tipo virale. Gli antibiotici, quindi, non vanno dati a ogni raffreddore, mal di gola, febbre o reazione cutanea.
Un elemento allarmante, come riportato in questo documento, è che alla base dell’errata assunzione degli antibiotici nei bambini (che si stima sarebbero evitabili in più del 50% dei casi) c’è non solo l’errata gestione da parte dei genitori, ma anche la difficoltà per i medici di distinguere molte infezioni batteriche da quelle virali e la leggerezza con cui alcuni pediatri li prescrivono per ridurre il numero delle visite.
La cura delle infezioni causate da batteri resistenti è molto complessa. Generalmente si tenta il ricorso ad antibiotici alternativi, che però oltre essere più costosi sono anche responsabili di effetti collaterali più gravi. Per questo la ricerca scientifica sta esplorando strade nuove, tra cui l’impiego di anticorpi monoclonali.
Una delle prospettive più promettenti riguarda proprio lo sviluppo di terapie innovative contro superbatteri come Klebsiella pneumoniae NDM, considerata una delle minacce sanitarie più urgenti a livello globale. Uno studio del 2025 dell’Università di Pisa e dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana pubblicato su Nature, ha dimostrato come un gruppo di anticorpi monoclonali umani si è rivelato efficace nel neutralizzare questo patogeno resistente a tutti gli antibiotici disponibili.
Questi anticorpi sono stati isolati dal sangue di pazienti guariti e hanno mostrato un’elevata capacità di protezione, sia in vitro che in modelli animali, contro infezioni del sangue anche causate da ceppi particolarmente aggressivi e diffusi in aree diverse del mondo. In futuro, potrebbero essere utilizzati non solo per curare le infezioni più gravi, ma anche per prevenirle in soggetti fragili o già colonizzati, offrendo una nuova arma contro la crescente minaccia dell’antibiotico resistenza.
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