Mater semper certa, pater nunquam. La nota espressione latina, che possiamo tradurre come “è sempre certa la madre, non chi sia il padre”, indica come la paternità sia per sua natura incerta. O, meglio, che la maternità è stata storicamente considerata certa in quanto associata a colei che partorisce il bambino.

Sebbene oggi questa associazione non sia più così solida (basi pensare alle altre forme di maternità come quella prevista dalla gestazione per altri), resta valida la necessità in diversi casi di ricorrere a un test di paternità. Esso è il frutto della volontà di ricercare la paternità biologica quando questa non è certa e la sua identificazione può avere importanti ripercussioni di tipo legale.

In cosa consiste il test di paternità?

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Fonte: iStock

Il test di paternità, quindi, altro non è che un esame di laboratorio con il quale, dal punto di vista prettamente scientifico, determinare se un uomo è il padre biologico di un bambino. Esistono diverse tipologie di test di paternità. L’American Pregnancy Association ne descrive tre: il NIPP, l’amniocentesi e il prelievo dei villi coriali.

Il Non-Invasive Prenatal Paternity (NIPP) è un test prenatale non invasivo che utilizza il DNA del feto presente nel flusso sanguigno materno per determinare la paternità di un soggetto in relazione a quel bambino. Ha un’accuratezza del 99,9% e può essere svolto mediante semplice prelievo di sangue dalla madre e dal presunto padre a partire dall’ottava settimana di gravidanza.

L’amniocentesi, invece, prevede l’analisi del liquido amniotico prelevato mediante un ago e può essere effettuata nel secondo trimestre tra la quattordicesima e la ventesima settimana di gestazione.

Similmente, il prelievo dei villi coriali (o villocentesi) prevede il prelievo di piccoli pezzi di tessuto attaccati alla parete dell’utero (i villi coriali appunto), in quanto questi hanno lo stesso corredo genetico del feto, provenendo entrambi dallo stesso ovulo fecondato. La villocentesi può essere eseguita tra la decima e la tredicesima settimana di gravidanza e insieme all’amniocentesi sono considerate invasive per il rischio (anche se minimo in percentuale) di danneggiare il feto e provocare un aborto spontaneo.

In uno studio pubblicato sulla rivista AIAF dell’Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minori vengono considerate idonee per l’attribuzione della paternità di un soggetto le indagini ematologiche e l’esame del DNA. Questi sono oggi considerati un mezzo ordinario di prova e non più uno strumento eccezionale, anche considerando come l’evoluzione delle ricerche in campo biologico ha consentito di raggiungere levati grado di probabilità quasi a sfiorare il limite della certezza assoluta.

Quando si può effettuare il test di paternità?

Il ricorso al test di paternità solleva diverse questioni, sia di natura medica che etica e giuridica. In un documento della Società Italiana di Genetica Umana (SIGU) si legge come i problemi di natura etica sorgono innanzitutto per la liceità di eseguire questi esami con finalità diverse rispetto a quelle legate alla determinazione di natura genetica. Per questo motivo per eseguire il test per l’accertamento della paternità biologica deve essere presente un consenso espresso in forma libera e informata.

Ci sono poi questioni legate all’opportunità di svolgere test di paternità prenatali per il figlio non ancora nato e che, in quanto nascituro, non ha ancora ottenuto lo status di figlio legittimo per l’ordinamento giuridico. A questo proposito l’ordinamento italiano, dopo aver superato nel 2013 con il Decreto Legislativo 154 la distinzione tra figli legittimi e figli naturali, prevede che la prova della filiazione possa essere fornita o mediante l’atto di nascita, con il cosiddetto possesso di stato (la considerazione comune che quella persona sia figlia legittima di quei genitori) o tramite testimoni.

Per l’ordinamento italiano, se il figlio nasce all’interno del matrimonio la denuncia di nascita può essere resa indistintamente da uno dei genitori. In caso in cui il bambino nasca da genitori non uniti in matrimonio, è necessario che entrambi riconoscano la maternità e la paternità tramite un atto di riconoscimento o a seguito di una dichiarazione giudiziale emessa dal Tribunale a partire da un procedimento attivato da una delle parti.

Nel caso in cui il figlio sia riconosciuto da un solo genitore, è possibile in futuro ottenere il riconoscimento anche da parte dell’altro genitore, ma se il bambino ha compiuto 14 anni deve prestare il suo consenso al riconoscimento.

Un uomo può rifiutarsi di eseguire un test di paternità ma la Corte Costituzionale (sentenze 54/1986 e 238/1996) considera legittimo l’esame coatto del DNA. Inoltre, i giudici possono dedurre che il rifiuto di sottoporsi al test sia un tacito riconoscimento della paternità.

L’importanza di accertare la paternità biologica è legata al riconoscimento della paternità che consente di ottenere lo status di figlio naturale riconosciuto che è legato al godimento di una serie di diritti (come quelli di mantenimento ed ereditari). Ci sono anche ragioni mediche, come evidenziato dal Cleveland Clinic, alla base della necessità di accertare la paternità biologica in quanto alcune condizioni genetiche ed ereditarie possono influire sulla salute di un individuo.

In quali casi è richiesto e obbligatorio

Come anticipato, non vi è l’obbligo di sottoporsi a un test di paternità e nessuno può costringere un soggetto a sottoporvisi, ma il rifiuto ingiustificato ha un valore indiziario molto elevato che, seppur non costituisce una prova, può risultare un elemento sufficiente per i giudici per dedurre la paternità di quell’individuo.

Risultati, tempi e costi

Il test di paternità consente la determinazione del profilo genetico. Dopo la raccolta dei campioni biologici dei soggetti interessati si procede all’isolamento del DNA e poi alla sua amplificazione, ovvero alla produzione di copie di quel DNA con l’obiettivo di renderlo analizzabile. Quindi vengono individuate specifiche regioni del genoma andando a confrontare le sequenze di DNA del presunto padre con quelle del bambino.

Le regioni analizzate sono prevalentemente i cosiddetti marcatori genetici, ovvero regioni del DNA che variano tra gli individui e vengono ereditati dai genitori. Si procede quindi al confronto per valutare e verificare se esiste una relazione genetica tra il bambino e il presunto padre. Il test dà un esito positivo se i marcatori genetici corrispondono.

I tempi e i costi per lo svolgimento di questi test variano dalla tecnica utilizzata e possono richiedere da pochi giorni a diverse settimane con un costo indicativo dai 250€-300€ in su.

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