Spesso si sente parlare di iperattività nei bambini, ma si può parlare di neonato iperattivo? Ne parliamo con la psicologa dell’età evolutiva Giulia Spina, che ci spiega le cause e i sintomi dell’iperattività, e come gestire un neonato vivace attraverso alcuni consigli per i genitori.

Quando possiamo definire un bambino iperattivo?

Dottoressa, in cosa consiste l’iperattività? Si può parlare di neonato iperattivo?

L’iperattività si riferisce a un disturbo neurobiologico a carico di determinate aree del cervello, strutture sottocorticali coinvolte nel controllo del movimento, che il bambino sviluppa nel corso della crescita. Queste aree sono deputate all’autoregolazione, alla gestione degli impulsi e dell’emotività, che in un neonato o in un bambino piccolo (0-3 anni) sono ancora in fase di sviluppo.

Per questo non ha senso parlare di “neonato iperattivo”, ma in alcune situazioni è possibile identificare delle caratteristiche che fanno pensare che l’infante possa essere “inquieto” o “agitato”.

L’iperattività non fa riferimento semplicemente a una vivacità del carattere; per ottenere una diagnosi, infatti, è necessario soddisfare dei criteri precisi, evitando di etichettare un neonato come iperattivo senza una valutazione.

Inoltre, prima dei 3 anni non si può diagnosticare un bambino come “iperattivo”; bisogna almeno aspettare il raggiungimento del settimo anno di età, quando è avvenuto l’ingresso alla scuola primaria e si è dato il tempo all’alunno di ambientarsi e integrarsi.

Infatti, l’iperattività è associata all’impulsività e alla disattenzione nel contesto scolastico, quando ai bambini viene richiesto un adattamento specifico; ad esempio stare seduto al proprio banco e svolgere le attività e i compiti propri dell’età con l’attenzione necessaria per quella specifica fase di sviluppo.

Quindi, le mamme di neonati o bambini piccoli ipercinetici o molto agitati non dovrebbero allarmarsi troppo, ma cercare di capire che cosa possa rendere inquieto il figlio e monitorare il suo stato psico-fisico. A volte le madri, specialmente nella prima gravidanza, possono sentirsi inadeguate oppure pensare che il bambino abbia qualcosa che non va; quindi sono spinte ad andare subito alla ricerca di spiegazioni, consultandosi con il pediatra o con altre figure professionali di riferimento.

In realtà il più delle volte si pensa al peggio, mentre spesso l’agitazione del neonato può dipendere da altre tensioni; per esempio quelle che respira in casa o nel rapporto con i genitori, che magari a loro volta hanno sperimentato vissuti traumatici nel rapporto con le figure genitoriali.

Le cause dell’iperattività nel bambino

Come ci spiega l’esperta, le cause dell’iperattività possono essere di natura genetica e neurobiologica o ambientale e relative all’attaccamento con le figure genitoriali:

Tra le prime si può considerare una familiarità per la sindrome da deficit di attenzione con iperattività, oppure le storie familiari di alcolismo.

Tra le cause ambientali-affettive possiamo includere la presenza di una madre con problematiche depressive; spesso per queste mamme poco reattive il figlio diventa un “antidepressivo”, un “attivatore”. Oppure possono esserci conflitti tra genitori e un clima di tensione che il neonato può respirare in casa; anche se molto piccolo, infatti, il bambino è in grado di recepire cosa avviene nell’ambiente circostante.

Un’altra causa può derivare da precedenti esperienze traumatiche, come lutti familiari o aborti. Infine, da situazioni di continui cambiamenti, come traslochi, cambi di lavoro, sbandamenti che non consentono al piccolo di crescere con la serenità e la sicurezza di cui necessita.

Ad ogni modo, le cause non devono essere vissute con sensi di colpa, ma possono essere un’occasione per comprendere alcune dinamiche familiari disfunzionali; a volte anche a livello transgenerazionale (che quindi appartengono a un passato traumatico che si riattualizza nel presente).

Di cosa può essere sintomo l’iperattività?

Quando è possibile diagnosticare l’iperattività e in cosa consiste la diagnosi?

La diagnosi di Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività e Impulsività (ADHD) è contenuta nella più recente edizione del DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) e può essere fatta da un neuropsichiatra infantile o da un neuropsicologo; è caratterizzata da specifiche manifestazioni che devono presentarsi prima dei 7 anni di età e che compromettono il rendimento scolastico e/o sociale.

Le 3 aree che possono essere più o meno coinvolte sono le seguenti:

  1. Disattenzione
    Il bambino non riesce a prestare e a mantenere l’attenzione o commette errori di distrazione nei compiti; sembra non ascoltare quando gli si parla; non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti; ha spesso difficoltà ad organizzarsi nei compiti e nelle attività; perde spesso gli oggetti; è sbadato e distratto.
  2. Iperattività
    Spesso agita o batte mani e piedi o si dimena sulla sedia, e in generale fatica a stare tranquillo; è spesso sotto pressione, agendo come se fosse “azionato/a da un motore”; spesso parla troppo.
  3. Impulsività
    Il bambino ha difficoltà nell’aspettare il proprio turno, agisce prima di pensare, interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti.

Come calmare o gestire un neonato vivace

Come calmare un neonato agitato o inconsolabile?

Visto che un neonato non può essere definito iperattivo, né gli può essere diagnosticato un disturbo di iperattività, i genitori di neonati agitati o inconsolabili possono mettere in atto delle strategie per calmare il loro disagio. Bisogna riuscire pian piano a distinguere il tipo di pianto o lamento, che può essere segnale di numerosi indicatori; per esempio stanchezza, fame, fastidio, mancanza di affetto, presenza di dolori fisici, come le coliche o il reflusso.

Prima di tutto, quando possibile, è fondamentale garantire ai propri figli piccoli la crescita in un ambiente calmo, caldo e tranquillo. Può essere utile girarli sul fianco o cullarli con movimenti dolci, riproducendo dei suoni rilassanti (rumori bianchi, suoni naturali o che richiamano quelli dell’acqua, cantare riproducendo suoni ripetitivi come ninna nanne lente e ritmate).

Oppure dondolarli, avvolgendoli in una abbraccio che rappresenta un contenimento affettivo e facilita un contatto fisico prolungato; fasciarli per simulare la sensazione di sicurezza che avevano quando si trovavano nel grembo caldo e confortevole della mamma; fare loro un bagno caldo in modo da alleviare le tensioni; offrire qualcosa da succhiare, come un ciuccio o un biberon; fare un massaggio dal tocco delicato e amorevole che coinvolga tutto il corpo.

Bisogna assolutamente evitare di scuotere i neonati perché si possono generare dei danni irreparabili a livello neuro-motorio. Se le mamme dovessero sentire il bisogno di sfogare le proprie tensioni sul figlio, è essenziale che chiedano aiuto psicologico.

I consigli per i genitori

Quali indicazioni può fornire alle mamme o ai genitori che dovessero sentirsi in difficoltà?

Avere a che fare con un bambino che si agita può essere davvero impegnativo e stressante per i genitori. Non esiste sensazione peggiore al mondo che vedere il proprio bambino agitato e non sapere come fare per migliorare la situazione. Ci si può sentire impotenti e incapaci di svolgere bene la propria funzione di genitori, anche quando si sono messe in atto le strategie indicate da altre persone di cui ci si fida: i propri genitori, il pediatra, l’ostetrica.

Quando i genitori avvertono il bisogno di un supporto o la necessità di comprendere e risolvere alcune dinamiche familiari disfunzionali, che possono agitare il bambino, possono rivolgersi a professionisti qualificati; per esempio gli psicologi dell’età evolutiva, i neuropsichiatri infantili oppure recarsi presso i consultori familiari.

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