Il sonno dei bambini è un vero e proprio incubo per i genitori. Tra lo stress perché dormono poco (con annesse indicazioni non richieste fondate il più delle volte su luoghi comuni, vecchie abitudini e scelte educative di altri) e le preoccupazioni se dormono troppo, i genitori sono spesso in balia dell’improvvisazione.

Da qui la necessità di cercare soluzioni che permettano, da una parte, ai genitori di riposare durante la notte e, dall’altra, di educare i bambini ad addormentarsi da soli e a riprendere sonno nel caso si dovessero svegliare durante la notte. Si parla infatti di addestramento del sonno dei bambini e uno dei sistemi più noti e discussi è quello del cosiddetto metodo Ferber.

Parliamo di un argomento delicato che riguarda la crescita sana del bambino e le scelte educative dei genitori. È quindi una materia molto spinosa, anche perché il sonno dei bambini non è un “fastidio da risolvere”, ma un aspetto della loro vita fondamentale cui prestare la massima attenzione.

Anche perché in maniera sempre più marcata si registrano bambini con disturbi del sonno che hanno appreso e maturato cattive abitudini. È quindi dovere dei genitori far riposare correttamente i propri bambini e il metodo Ferber mira proprio a questo obiettivo.

Conosciamolo meglio, scoprendo cos’è, come funziona e quali sono gli aspetti più dibattutti, anche alla luce delle ricerche scientifiche condotte sull’argomento.

Cos’è il metodo Ferber?

Il metodo Ferber prende il nome dal dottor Richard Ferber che lo ha sviluppato e che da diversi decenni insegna ai genitori come educare i propri bambini ad addormentarsi da soli e a riprendere sonno autonomamente quando si svegliano durante la notte.

Metodo Ferber per bambini: la tecnica

Il metodo Ferber, a differenza delle tradizionali strategie per far addormentare i bambini, si basa sul principio che il bambino non debba essere immediatamente consolato e preso in braccio. Ma, di conseguenza, vada lasciato piangere. Questo deve essere fatto in maniera strategica e calcolata, seguendo una precisa tempistica articolata nel corso di più giorni.

Sostanzialmente il metodo Ferber invita i genitori a mettere a letto i propri bambini (iniziando a farlo quando sono svegli ma stanchi) e non intervenire quando piangono se non dopo un intervallo di tempo che aumenterà con il passare dei cicli di sonno e dei giorni.

Il primo giorno di metodo Ferber, per esempio, dopo aver messo giù il bambino, non lo si cullerà né calmerà prima di tre minuti. Durante il secondo riposino l’intervallo sale a 5 minuti, quindi a 10 e così per i giorni successivi fino ad arrivare anche a mezz’ora di attesa.

La tecnica del metodo Ferber prevede anche di seguire un “rito della buonanotte” fatto di abitudini che il bambino impara ad associare al momento nel quale si va a letto in modo che, acquisendole con il tempo, gli diventi poi normale addormentarsi da solo.

L’altro elemento caratteristico di questo metodo è quello, quando finisce il tempo di attesa, di non prendere immediatamente in braccio il bambino, ma di provare a consolarlo lasciandolo nel lettino in quanto la presenza e la vista della mamma o del papà sarebbe sufficiente per tranquillizzarlo e farlo riaddormentare. L’indicazione è quella di intraprendere questo percorso non prima dei quattro mesi.

Il metodo Ferber e il sonno dei bambini

Per capire (e quindi scegliere) l’efficacia di qualsiasi metodo e nel nostro caso del metodo Ferber è importante capire il funzionamento del sonno del bambino. Questo è profondamente diverso da quello degli adulti e qui è necessario sottolineare due aspetti chiave.

Il primo è che i risvegli notturni nei bambini sono fisiologici e, a differenza di quanto accade negli adulti, non indicano dei disturbi. Parallelamente bisogna ricordare come ogni bambino ha un proprio sviluppo neurologico e fisiologico e che questo è alla base della regolarizzazione del sonno e della capacità di addormentarsi e riaddormentarsi da soli.

L’argomento è molto importante e articolato e, coinvolgendo diversi aspetti, ci sono numerosi studi e ricerche che affrontano questo o quell’aspetto. Ci sono, per esempio, diversi studi e ricerche che mostrano i benefici dell’addestramento del sonno. È stato infatti individuato come i livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) sono più bassi nei bambini educati ad addormentarsi da soli.

Sulla stessa linea i pediatri italiani che segnalano come l’”accorrere subito e a prendere in braccio il bambino sia all’addormentamento che durante i risvegli e l’abitudine alla condivisione del letto dei genitori, il cosiddetto cosleeping” siano un comportamento sbagliato alla base di cattive abitudini nel sonno dei bambini.

In realtà questi studi pongono anche l’attenzione sull’esistenza di una vasta gamma di metodi che insegnino al bambino ad addormentarsi; metodi anche più dolci rispetto a quelli di lasciar piangere il bambino. Questa pratica può in alcuni casi creare problemi nella crescita dei bambini, alterando i loro ritmi dell’allattamento al seno.

Viene infatti fatto notare come lo smettere di piangere non significa che i bambini hanno imparato a calmarsi da soli o ad addormentarsi, ma che hanno rinunciato a sperare che qualcuno li vada a consolare.

Anche perché il pianto non è necessariamente il “metodo” migliore per insegnare qualcosa a un bambino e per quel che riguarda il sonno non ci sono evidenze scientifiche che leghino la durata del pianto all’apprendimento di un’abitudine. In questo senso vale quanto detto parlando dell’educazione dei bambini nei primi mesi di vita per la quale fino circa ai nove mesi i bambini vanno assecondati.

Bisogna poi ricordare come ogni bambino è diverso e che la stragrande maggioranza degli studi condotti fino a oggi non misura quanto il bambino dorma effettivamente, ma si basa sulle rilevazioni dei genitori che possono essere inficiate o influenzate da diversi fattori. Inoltre i risultati ottenuti con questo o quel metodo sono temporanei, per alcuni mesi, non definitivi.

Sicuramente l’attenzione verso lo sviluppo di pratiche comportamentali ben definite da parte dei genitori determinano un significativo miglioramento sia nella capacità di addormentarsi che nel risolvere i problemi legati ai risvegli notturni dei bambini.

Dall’attenzione che si dedica al sonno dipende anche la qualità del legame che si crea tra bambini e genitori. È stato infatti dimostrato come le madri che rispondono prontamente alle richieste dei bambini che si svegliano durante la notte (prenderli in braccio, consolarli, eccetera) hanno favorito lo sviluppo di un legame made-figlio più stabile e sicuro.

Il metodo Ferber funziona? Pro e contro

Alla luce di questa lunga e articolata panoramica sugli studi in materia sul sonno dei bambini è possibile valutare l’efficacia del metodo Ferber.

Da una parte, infatti, c’è indubbiamente la capacità di creare una regolarità e una serie di abitudini tali da migliorare il riposo e ridurre il numero dei risvegli. Di contro c’è il rischio che quella regolarità recepita da alcuni bambini sia da altri sviluppata come senso di abbandono (e non è un rischio minimo).

Questo perché, come già detto, ogni bambino ha una sua crescita e il sonno notturno è anche un effetto dei cambiamenti che di settimana in settimana il bambino vive nei suoi primi mesi di vita. C’è quindi la possibilità che il metodo Ferber non solo si riveli non efficace, ma anche controproducente, generando nel bambino traumi e sensazioni spiacevoli che potrebbero rimanere a lungo nel suo immaginario.

Va poi anche considerato come spesso si valutano i metodi di educazione al sonno solamente nell’ottica del bambino. Se è vero che è lui il protagonista, è altrettanto vero che gli attori coinvolti sono, almeno, due: il bambino e i suoi genitori. Questo significa che per la riuscita di un metodo serve anche (e non solo) che i genitori siano pronti e disposti a sopportare quella che è a tutti gli effetti una scelta stressante.

Sentir piangere il proprio bambino e non consolarlo non è propriamente una scelta facile da seguire, anche considerando che il bambino non piange solo perché si sveglia e lasciarlo senza consolazione potrebbe significare anche ignorare problemi di altra natura. Vanificando di fatto l’intento educativo dell’addestramento al sonno e trascurando problemi e fastidi che invece richiederebbero attenzione e intervento.

Se è vero che il metodo Ferber non si basa solo sul “lasciar piangere il bambino” a intervalli di tempo prestabiliti, ma che è possibile consolarlo senza prenderlo in braccio e favorendo la creazione di un clima e di una routine legata al prendere sonno, è altrettanto vero che la scelta, al netto della mancanza di conferme univoche dal punto di vista scientifico, spetta a ogni genitore.

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