L’eccesso di medicalizzazione della gravidanza ha, tra gli altri, l’effetto di ricercare ossessivamente fattori di rischio che andrebbero eliminati per assicurare una gestazione il più sana e lineare possibile. Se tale intento è evidentemente comprensibile per ridurre i fenomeni di mortalità e morbilità, sia materna che fetale, il rovescio della medaglia è quello di pensare che per mettere al mondo un bambino sia necessario essere perfettamente in salute o, meglio, rispondere a precisi canoni di benessere.

Senza nulla togliere alle evidenze scientifiche in materia (cui faremo ovviamente riferimento), non è possibile ignorare come spesso alcuni convincimenti culturali abbiano un forte impatto su ciò che è considerato buono e ciò che non lo è. L’obesità, per tanti motivi, non ottiene il placet da una società che invece di perseguire la salute individuando eventualmente le cause si preoccupa di condannare ed emarginare chi vive i sintomi di questa o quella condizione.

L’obesità in gravidanza è uno degli esempi più lampanti di questo atteggiamento; un’ossessione che si concretizza sia nell’esasperata attenzione all’aumento di peso durante la gestazione che ai rischi che le donne obese hanno nel ricercare e affrontare una gravidanza.

Obesità e concepimento

Si parla di obesità quando, utilizzando la definizione impiegata dall’Associazione dei Ginecologi Italiani: ospedalieri, del territorio e liberi professionisti (AOGOI), “la percentuale di grasso corporeo aumenta al punto di compromettere lo stato di salute e riduce l’aspettativa di vita” aggiungendo come “l’obesità può essere definita come un patologico accumulo di grasso, dovuto a un’alterazione del rapporto fra assunzione, utilizzo e deposito delle sostanze nutritive”. Per valutare, anche dal punto di vista medico, l’obesità si utilizza l’IMC, l’Indice di Massa Corporea (BMI, Body Mass Index).

Un indicatore che, come evidenziato anche dal Ministero della Salute, “non è in grado di valutare la reale composizione corporea, così come non permette di conoscere la distribuzione del grasso corporeo nell’individuo”. Eppure questo valore sembra essere il discriminante per giudicare e condizionare la gravidanza di una donna in stato di obesità, tanto che molte donne riferiscono (come riportato in questo approfondimento condotto da VICE) di sentirsi discriminate, oggetto di derisione, commenti e, anche da parte degli operatori medici, di un’esasperata attenzione sul peso da tenere, sul cibo da mangiare e sui chili da perdere.

Eppure la valutazione viene condotta su un indicatore, come l’IMC (o BMI) che richiede solamente il peso e l’altezza. Tale formula non tiene conto della conformazione del corpo, della distribuzione del grasso, dell’etnia, del tipo di grasso o dello stato di salute generale della persona. È un valore calcolato matematicamente e nulla di più.

Se in questo quadro inseriamo la constatazione di come il peso-forma sia per la nostra società occidentale una vera fissazione, si può intuire (e non forse realmente comprendere) l’impatto che una prospettiva di questo tipo può avere sulle persone e in modo particolare sulle donne in gravidanza che, di visita in visita, si sentono giudicate per quel chilo di troppo o quello “strappo alla regola” nella dieta da seguire rigorosamente. Giudizi che provengono dall’ambiente familiare, sociale e professionale, ma spesso anche medico.

Per entrare un po’ più nello specifico e analizzare il fenomeno non da una mera prospettiva numerica può essere utile partire da quanto dichiarato dal Royal College Obstetricians & Gyaecologists, che precisa che la maggior parte delle donne con un indice di massa corporea elevato ha una gravidanza semplice che porta a bambini sani. L’aumento del rischio di complicazioni c’è, come vedremo, ma è sempre tutto ricondotto al valore dell’indice di massa corporea.

Secondo quanto indagato e riportato in questo studio, vi è una riduzione della fertilità all’aumentare dell’indice di massa corporea. La Fondazione Umberto Veronesi riferisce che ciò può dipendere dall’immaturità degli ovociti nelle donne in stato di obesità. Ma non c’è certezza sulle cause e, quindi, la riduzione della fertilità potrebbe non essere da ricondurre all’aumento delle cellule adipose.

La fissazione sul peso implica anche l’idea che le madri grasse sono sbagliate e che il loro indice di massa corporea elevato sia un evidente segno della loro incapacità di prendersi cura di sé stesse. Quindi, si pensa di non essere delle buone madri. Questo pregiudizio di fondo porta a pensare, come detto, che per cercare una gravidanza bisogna essere in perfetta salute riducendo tutti i fattori di rischio.

Considerando il peso come tale, alle donne in stato di obesità viene raccomandato, per cercare un concepimento, di perdere peso aumentando i tassi di infertilità considerando come la riduzione della massa corporea non sia un risultato rapido e facile da raggiungere (ammesso che sia sempre possibile).

Va però ricordato come qualsiasi gravidanza, analizzata in questi termini, rappresenta un rischio, sia per la madre che per il feto. E che, aspetto non secondario, un atteggiamento grassofobico di questo tipo aumenta i livelli di stress che, anch’essi, sono un rischio serio per l’esito della gravidanza.

Come riferito da questo studio pubblicato su ScienceDirect la condivisione di stereotipi e comportamenti negativi (stigma) nei confronti del peso ha solo e soltanto un effetto controproducente. Questi stereotipi, infatti, provocano nelle persone che ne sono vittime una maggiore secrezione di cortisolo determinata da meccanismi comportamentali, emotivi e fisici che si possono tradurre in aumento di peso e una difficoltà a perderlo.

Come affrontare la gravidanza in caso di obesità?

La gravidanza, ogni gravidanza, deve essere vissuta nella libertà della consapevolezza di un evento cercato e accolto come tale. È fondamentale partire dall’evidenza che un bambino sano nasce da una madre sana ed è su di essa che, innanzitutto, bisogna partire.

Una salute che non è assenza di patologie e disturbi fisici, ma anche e soprattutto di serenità psicologica indispensabile per affrontare un’esperienza che determina profondi cambiamenti (alcuni anche irreversibili) che non devono essere gravati da ulteriori preoccupazioni.

I rischi che ci sono non vanno né sottovalutati né considerati un ostacolo in quanto rappresentano un’eventualità, non la certezza di un danno. Ecco quindi che si rivela necessario trovare un ginecologo che sappia accompagnare, al pari delle altre donne, la gravidanza in caso di obesità. Suggerendo, in relazione alla causa per cui si è in sovrappeso, consigli sull’alimentazione e accorgimenti da adottare perché la gestazione prosegua serena tanto per il feto quanto per la donna.

Obesità e gravidanza: ci sono rischi?

L’obesità presenta modificazioni fisiologiche simili a quelle della gravidanza come quelle cardiovascolari, respiratorie, metaboliche, gastro-intestinali e della funzionalità renale, tanto che la loro coesistenza determina diversi i rischi, anche gravi, sia per la donna che per il feto.

Come anticipato sin dall’inizio, l’obesità è associata all’aumento del rischio di diverse condizioni:

Per il feto vi è il rischio di ipoglicemia, ittero, spina bifida e altri difetti neuroassiali, difficoltà nella termoregolazione, rischio di disordini metabolici permanenti e traumi fetali.

Ecco quindi che l’obesità non va considerata di per sé un deterrente o un impedimento alla gravidanza ma certamente ricordato come sia
essa associata a un aumento di condizioni patologiche da non sottovalutare.

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