Il cosleeping, per me, non è mai stata un’opzione. Consentire ai figli di dormire nel “lettone” mi sembrava semplicemente esecrabile. La quintessenza delle scelte diseducative, lassiste, deleterie. Un atto di resa, il vizio dei vizi.

Senza contare le conseguenze pratiche (notti insonni, mal di schiena, materasso rovinato), i pericoli per i neonati (SIDS, cadute, schiacciamenti) e la morte subitanea della vita di coppia. Insomma, per farla breve, ero una di quelle non-madri che non solo giurava e spergiurava che “mai i figli nel nostro letto”, ma addirittura si sentiva in diritto di criticare, magari tra le righe, chi aveva fatto una scelta diversa.

La mia resa sul cosleeping

cosleeping figli nel lettone

Tutto questo, come avrete già capito dal titolo, era prima che nascesse il mio primo figlio. Il quale ha mostrato fin da subito una grande necessità di contatto fisico e calore umano, specie nel momento della nanna. Per qualche mese ho cercato in tutti i modi di mantenere il punto sul mio principio: nonostante allattassi al seno in via esclusiva e a richiesta, mi imponevo di rimettere Davide nella sua culla ogni santa volta.

E di riprovarci insistentemente se, come spesso accadeva, l’operazione ne causava il risveglio. È stato estenuante. E il fatto che fosse inverno, e io mi trovassi ad alzarmi dal letto cento volte per notte, mezza nuda (mentre mio figlio restava al calduccio nel suo bel sacco nanna), di certo non aiutava.

Una volta è successo addirittura di appisolarmi mentre ero semi-seduta nel letto, con Davide ancora attaccato al seno che succhiava. Decidere di mollare sul fronte del cosleeping, di abbandonare la mia rigidità e lasciarmi un po’ andare mi è costato moltissimo. Mi sembrava di cedere a una mia debolezza, di fare il male di mio figlio, di favorire la sua dipendenza da me e di arrendermi alla scelta più facile, come se questo, per una madre, fosse di per sé sbagliato.

Per fortuna, nel frattempo, avevo cominciato a leggere dei libri sul tema del cosiddetto “alto contatto“, in cui si spiegava che non tutti i bambini hanno le stesse esigenze e che è del tutto naturale, per molti di loro, “pretendere” una maggiore vicinanza fisica con i genitori. È stato questo, probabilmente, che mi ha salvato, concedendo a me stessa di cambiare opinione e di fare un tentativo.

Allattare e riposare, una conquista

cosleeping

Dormire con mio figlio mi ha salvato, si può dire. Potevo allattarlo sdraiata, evitando che rischiasse di cadere e riposando meglio. Potevo scivolare insieme a lui dalla veglia al sonno, senza alzarmi, senza raffreddarmi, senza neanche svegliarmi del tutto a ogni poppata. E lui riposava di più e meglio, sentendo accanto a sé sua madre e suo padre.

Quando è nata sua sorella, neanche due anni dopo, non ho avuto esitazione: cosleeping anche per lei, fin da subito. Una scelta che si è rivelata fondamentale per riuscire ad allattare a lungo anche lei, sempre a richiesta. Per garantire la qualità del sonno a tutti, e soprattutto per non recedere in sicurezza (la morte in culla è una cosa seria, ricordatelo sempre!) noi abbiamo deciso di aggiungere un letto singolo al nostro matrimoniale.

In questo modo, abbiamo potuto condividere il sonno, ma facendo in modo che ognuno avesse il proprio spazio, e che si evitassero i rischi legati al surriscaldamento, allo schiacciamento e alle cadute, dal momento che il letto di mio figlio era sistemato tra il nostro lettone e l’angolo tra due pareti. So che non tutti hanno abbastanza spazio in camera, ma esistono comunque soluzioni più piccole, come le culle che si agganciano al lettone o che consentono di rimuovere una delle sponde.

Prima o poi dal lettone ci escono!

cosleeping bambini

A distanza di un po’ di tempo, posso dire con serenità che il mio primogenito – che si appresta a compiere sei anni – dorme felice nella sua stanza, e che da quando ha deciso, autonomamente, di fare “il grande passo”, non ha mai sentito la necessità di tornare nel lettone, neanche dopo un brutto sogno.

Con questo non voglio dire che il cosleeping favorisca l’autonomia e la sicurezza, come pure ho letto in giro (anzi, mio figlio è un tipo piuttosto insicuro), ma solo che avergli consentito di condividere il nostro letto così a lungo non è stato di impedimento per la conquista di una nanna “indipendente”. Con sua sorella stiamo ancora lavorando sulla questione, ma sinceramente non c’è fretta!

E per quanto riguarda il rapporto di coppia, di certo ha aiutato avere una casa con una stanza in più. Sappiate che quando mio figlio aveva solo un anno, aspettavamo già la sua sorellina! A parte gli scherzi, come su tante altre cose io non credo che esista una regola universale: istinto, buon senso ed esperienza sono i soli ingredienti possibili. E per il resto, si naviga a vista!

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