Dei 6,6 milioni di bambini che ogni anno muoiono prima di aver compiuto 5 anni, quasi la metà – 2,9 milioni – sono quelli che hanno perso la vita nel periodo neonatale, entro cioè i primi 28 giorni dalla nascita. Tra questi, 1 milione di bambini muore nel primo giorno di vita, spesso il più pericoloso, a causa di nascite premature e complicazioni durante il parto – come ad esempio travaglio prolungato, pre-eclampsia ed infezioni – e spesso perché le loro madri – ben 40 milioni ogni anno – partoriscono senza aiuto qualificato. Un altro milione e 200mila bambini nascono già morti ogni anno perchè il loro cuore smette di battere durante il travaglio. 2 milioni di donne sono completamente sole quando danno alla luce il loro bambino.

Questi alcuni dati diffusi oggi in tutto il mondo da Save the Children con il rapporto “Ending Newborn Deaths”, nell’ambito della campagna globale Every One, per dire basta alla mortalità infantile, a cui oggi ha aderito anche la nota attrice in dolce attesa, Eva Riccobono.

Nell’ultimo decennio sono stati compiuti enormi passi avanti per contrastare la mortalità infantile, passata da 12 milioni a 6,6 milioni, grazie a un intervento globale che ha visto come protagonisti le vaccinazioni, i trattamenti per polmonite, diarrea e malaria, così come la pianificazione familiare e la lotta alla malnutrizione. Ma questo percorso è ormai giunto ad una fase di stallo, se non si interviene immediatamente per contrastare la mortalità neonatale”, ha dichiarato Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children.

Se in Europa 1 neonato su 1000 muore nel periodo neonatale, in Africa o in alcune parti dell’Asia, il rapporto è almeno 5 volte tanto. Il Pakistan è il paese con il più alto tasso di neonati che muoiono il primo giorno o durante il travaglio (40,7 su 1000 nati), seguito dalla Nigeria (32,7) e dalla Sierra Leone (30,8).

Il rapporto di Save the Children evidenzia come l’assistenza specializzata durante il travaglio e il parto e la tempestiva gestione delle complicazioni, da sola, potrebbe prevenire circa il 50% della mortalità neonatale e il 45% di bambini nati morti intra-partum. Nell’Africa Subsahariana, il 51% dei parti non è assistito e nell’Asia sudorientale la percentuale è del 41%.

La percentuale di parti che avvengono alla presenza di personale specializzato, inoltre varia molto tra aree rurali e aree urbane, con percentuali che si attestano rispettivamente al 40 e al 76%. In Etiopia, ad esempio, solo il 10% delle nascite avvengono in presenza di personale specializzato, mentre in alcune aree rurali dell’Afghanistan c’è solo 1 ostetrica per 10.000 persone. In India, mentre il tasso di mortalità neonatale riferito al 20% più abbiente della popolazione è di 26 neonati morti ogni 1000 nati, quello riferito ai più poveri è di 56 su 1000. In paesi come la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica Centrafricana le madri devono pagare per le cure di emergenza legate al parto, che spesso hanno lo stesso costo del cibo per un mese. In alcuni casi, alcune madri sono state trattenute fino a quando non sono state in grado di pagare per il loro taglio cesareo urgente.

Il primo giorno della vita di un bambino è il più pericoloso. Sentiamo storie orribili di madri che camminano per ore durante il travaglio per cercare un aiuto, madri che partoriscono da sole, sul pavimento della loro casa o in un cespuglio senza l’aiuto di nessuno che possa salvare la loro vita e quella del loro bambino. Tutte storie che troppo spesso finiscono in tragedia. Tutto questo è assurdo e ognuno di noi deve sentire l’imperativo morale di fare qualcosa. Molti di questi decessi potrebbero essere evitati se solo ci fosse qualcuno per assicurare che la nascita avvenga in modo sicuro e che sappia cosa fare in caso di emergenza“, ha commentato Eva Riccobono, nota attrice che ha aderito, anche come futura mamma, alla campagna globale di Save the Children per combattere la mortalità infantile.

I nuovi dati diffusi oggi rivelano per la prima volta il reale impatto della mortalità neonatale”, continua Valerio Neri. “Le soluzioni esistono e sono conosciute, ma c’è bisogno di una reale volontà politica per dare a questi bambini una possibilità di sopravvivere, che agisca innanzitutto sulle disuguaglianze. Senza azioni immediate e mirate, il percorso per abbattere la mortalità infantile si arresterà”.

Il fatto che alcuni Paesi abbiano compiuto significativi miglioramenti nella riduzione della mortalità neonatale testimonia che esistono delle strade percorribili per arrestare questa strage silenziosa: tra il 1990 e 2012, Egitto e Cina sono riusciti a registrare un declino delle morti neonatali del 60%, mentre in Cambogia, una delle nazioni più povere del mondo, si è avuto un decremento del 51%.

Nel tentativo di salvare milioni di vite di neonati, Save the Children invita i Governi, i grandi donatori e il settore privato ad impegnarsi nel 2014 su un programma volto ad apportare un cambiamento reale, basato su cinque impegni per combattere la mortalità neonatale:
• assumere un impegno chiaro con obiettivi verificabili, che consenta di salvare ogni anno oltre 2 milioni di neonati e dei 1,2 milioni di bambini che muoiono durante il travaglio;
• impegnarsi affinché, entro il 2025, ogni nascita sia seguita da operatori sanitari formati ed equipaggiati che possano offrire interventi sanitari essenziali ai neonati e alle loro madri;
• aumentare la spesa destinata alla salute per arrivare all’obiettivo di almeno $60 a persona previsto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
• investire nella formazione, l’equipaggiamento e il sostegno di operatori sanitari, assicurare la gratuità dei neonati e ai bambini, così come quelle materne gli interventi ostetrici di emergenza.
• il settore privato, comprese le società farmaceutiche, dovrebbe contribuire ad affrontare i bisogni insoddisfatti, sviluppando soluzioni innovative e aumentando la disponibilità, per le madri, i neonati e i bambini più poveri, dei prodotti già esistenti e ideandone nuovi.

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