Decidere quando un aborto può salvare la vita non è affatto chiaro

Con l'abolizione della sentenza Roe v. Wade, in alcuni stati degli USA è concesso interrompere la gravidanza solamente in casi eccezionali, ad esempio quando la persona incinta rischia di morire. Ma stabilire i casi limite è tutt'altro che semplice.

Come conseguenza dell’abolizione della sentenza Roe v. Wade da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti, una dozzina di stati, tra cui Arkansas, Missouri e South Dakota, hanno vietato (o vieteranno presto) l’aborto, anche se al momento alcuni provvedimenti sono bloccati in tribunale. In genere, queste leggi consentono solamente eccezioni limite, ad esempio nel caso in cui la vita della persona incinta è a rischio. Ma decidere quando un aborto salva la vita non è sempre chiaro.

Come si legge sulle pagine del Time, un primo esempio lo si osserva se si considera una paziente con la preeclampsia, una complicanza caratterizzata da ipertensione che si manifesta solitamente dopo la 20esima settimana e può progredire fino a diventare – in rari casi – fatale. In questo caso, quando dovrebbe intervenire un medico? Quando teme che la situazione possa diventare pericolosa o quando la condizione è già critica?

O ancora, le gravidanze extrauterine sono soggette alle leggi sull’aborto (dal momento che non danno mai luogo a nascite vitali)? Chi stabilisce che un aborto sia necessario dal punto di vista medico? Pazienti, medici, avvocati o legislatori? Al momento, non ci sono risposte chiare a queste ed altre domande. Chi pratica l’aborto potrebbe potenzialmente incorrere in sanzioni legali o pesanti multe se la sua decisione risultasse in contrasto con quella del proprio stato.

La dottoressa Tammi Kromenaker, direttrice dell’unica clinica abortiva del North Dakota (in cui dal 28 luglio 2022 praticare un aborto può comportare una condanna a 5 anni di carcere) ha affermato:

I medici dovrebbero utilizzare la loro formazione e il loro giudizio per prendersi cura del paziente. Non dovrebbero tirare fuori la legge per vedere cosa possono o non possono fare. Questo ritarda infatti la cura del paziente e ne mette a rischio la salute.

Il dottor David Turok, professore associato all’Università dello Utah ha sottolineato:

Ci troviamo ora nella condizione di cercare di capire ciò che i legislatori e gli avvocati hanno escogitato con un linguaggio che in realtà non è correlato alla pratica medica. Quanto grave deve essere la condizione medica per intervenire? Il modo in cui la legge è scritta potrebbe significare cose diverse per persone diverse. Chi decide? Non dovrebbe essere il paziente? Credo di si.

Al di là dei casi in cui la vita del paziente è clamorosamente a rischio, esiste tutta una zona grigia molto ampia, in cui le decisioni da prendere potrebbero non essere così immediate (come invece nei casi di gravidanze ectopiche) e in cui entrano in gioco la discrezionalità dei medici, ma anche il potenziale contrasto con le leggi dello stato in cui si opera. “Potresti venire accusato di un crimine. Ti potrebbero revocare la licenza. Questo è il tuo intero sostentamento, la cosa per cui hai lavorato tutta la vita“, ha affermato il dottor Taylor Nichols della California.

La responsabilità di praticare un aborto, inoltre, non grava solamente sul medico, come ha aggiunto la dottoressa Maria Rodriguez, professoressa di ostetricia e ginecologia presso la Oregon Health and Science University School of Medicine. La procedura salvavita potrebbe infatti richiedere anestesisti, ostetriche/i, personale medico interessato, che deve anch’esso fare i conti con la legge.

Se un medico è costretto a verificare se un paziente soddisfa i criteri legali per abortire, la sua situazione rischia di peggiorare. Alcune condizioni richiedono, infatti, decisioni rapide per prevenire complicazioni devastanti. “Il problema di queste leggi è che non ci permettono di agire per impedirci di arrivare al punto in cui è chiaro che è in gioco la vita di qualcuno“, ha dichiarato la dottoressa Louise Perkins King della Harvard Medical School. Chi pratica l’aborto è quindi potenzialmente costretto a prendere decisioni importanti con un paziente davanti che potrebbe morire da un momento all’altro.

Un altro discorso riguarda la salute mentale delle madri: il suicidio è una delle principali cause di mortalità materna postpartum, ed eseguire un aborto al fine di alleviare un grave disagio psicologico potrebbe salvare la vita alla persona incinta. Ma naturalmente parliamo di situazioni ambigue, in cui i medici non dovrebbero mai essere lasciati soli ad agire, come sottolinea ancora Rodriguez.

Abbiamo bisogno che gli avvocati, gli amministratori e la direzione degli ospedali riflettano ora su questi problemi e comunichino chiaramente ciò che i loro team possono e non possono fare.

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  • Aborto