La campagna di terrore contro i medici che eseguono gli aborti, anche quelli che salvano bimbe di 10 anni

È passato meno di un mese dal ribaltamento della sentenza Roe v. Wade, voluto dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Alcuni repubblicani stanno minacciando gli operatori sanitari, con lo scopo di spaventarli e indurli a non praticare interruzioni di gravidanza, anche negli stati in cui è ancora legale.

A meno di un mese di distanza dal ribaltamento della storica sentenza Roe v. Wade – che per anni ha garantito a livello federale il diritto all’aborto negli Stati Uniti – alcuni repubblicani stanno cercando di spaventare i medici che eseguono le interruzioni di gravidanza nei paesi in cui queste sono ancora legali. Lo scopo di questa vera e propria campagna di terrore sarebbe quello di indurli a smettere di praticarle.

È quello che è accaduto alla dottoressa dell’Indiana, Caitlin Bernard, che ha eseguito l’aborto su una bimba di 10 anni dell’Ohio (dove non è più legale), vittima di stupro.

Todd Rokita, il procuratore statale, ha affermato in diretta televisiva che la dottoressa Bernard, in passato, non avrebbe denunciato gli aborti praticati (la legge in Indiana richiede che gli aborti vengano denunciati). E che, quindi, se si fosse comportata così anche in questo caso, il suo sarebbe stato un comportamento criminale. A quanto pare, tuttavia, queste affermazioni sembrano essere completamente infondate e la dottoressa sarebbe stata ingiustamente accusata di comportamento illegale dal procuratore generale del suo stato.

Minacciare i medici, spaventarli con conseguenze legali, sembra essere diventato il metodo preferito per impedire che gli operatori sanitari eseguano l’aborto.

Bernard non è stata a guardare: ha mosso i primi passi per avviare una causa di diffamazione ai danni di Rokita, le cui affermazioni sono sembrate ad alcuni un segnale di avvertimento rivolto a tutti quei medici che legalmente praticano le interruzioni di gravidanza, i quali potrebbero effettivamente essersi spaventati.

Del resto, anche negli stati in cui interrompere la gravidanza è vietato, salvo casi eccezionali (ad esempio quando la persona incinta rischia di morire), non è chiaro (legalmente, non a livello sanitario) come stabilire quando un aborto può salvare la vita. E ciò causa enormi passi indietro da parte dello staff sanitario, sempre più preoccupato dalle ripercussioni che può subire.

Gli operatori sanitari devono essere in grado di eseguire l’aborto, ove ancora legale, senza temere di essere minacciati, puniti o diffamati per aver fornito un servizio medico. In questo senso, la risposta della dottoressa Bernard è stata assolutamente necessaria.

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  • Aborto