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A te, figlia mia che ormai sei grande e appartieni al mondo più che a me voglio dire quel poco che mi illudo di aver imparato sull'essere donna, nel bene e nel male.
A te che ormai sei grande, ma sei ancora abbastanza piccola da fidarti incondizionatamente di tua madre. Da perdonarmi, e addirittura dimenticare i torti che, più o meno consapevole, non posso fare a meno di infliggerti.
A te, che ormai sei grande e che ancora hai voglia di somigliarmi, di imitare i miei gesti e il mio tono di voce. Che ancora credi ciecamente in quello che ti dico, nel poco che so e in quello che mi illudo di aver capito della vita.
A te, che ormai sei grande ma resterai per sempre la mia piccolina, chiedo di avere fiducia in te stessa. Che non vuol dire sentirti invincibile, straordinaria o “migliore degli altri”, e nemmeno convincerti di avere sempre ragione, e di poter attraversare la vita senza l’aiuto o l’appoggio degli altri.
Ma vuol dire, letteralmente, sentire che puoi fidarti di te, di quello che provi, di quello che desideri, di quello in cui credi. Che puoi ascoltarti con attenzione e prendere le tue decisioni cercando di fare la cosa che sia giusta, ma che lo sia prima di tutto per te, per il tuo avvenire, per la tua felicità.
A te, che ormai sei grande, dico che presto scoprirai cosa vuol dire, nel bene e nel male, essere donna. Scoprirai che la femminilità si porta dietro, in un angolo remoto e silenzioso della tua coscienza, la consapevolezza silenziosa e costante che se un maschio – familiare o sconosciuto, recidivo o insospettabile, amato o detestato – dovesse all’improvviso decidere di farti del male, probabilmente ci riuscirebbe (a meno che tu non sia armata, eccezionalmente prestante o segnatamente allenata a difendere te stessa).
Che ancora, essere donne, vuol dire troppo spesso finire additate anche quando si è vittime, biasimate per cose che nei maschi si perdonano, o addirittura si incoraggiano. Essere giudicate male per una cosa e per il suo esatto contrario: ti diranno che sei sciatta e trascurata, oppure che sei troppo frivola e provocante, che sei troppo sentimentale o troppo arida, troppo “femminile” o eccessivamente “mascolina”.
Che sei troppo vestita o che sei vestita troppo poco, che lavori troppo e che “ti fai mantenere”. Ti diranno che fai troppo sesso, che sei “facile” e laida. E che ne fai troppo poco e dovresti rimediare, perché sei nevrotica e inacidita.
Ti diranno, forse, che quello che vuoi non va bene, che si tratti di un uomo, di una donna, di un lavoro, di un bambino, di cinque bambini o di nessun bambino affatto. Cercheranno di convincerti che quello che vuoi non è sano, che non è naturale, che “non va bene”, pretendendo di leggere i tuoi desideri e i tuoi intimi bisogni con il filtro dell’omologazione e dello stereotipo.
Ma tu, figlia mia che ormai non sei più “mia”, ricordati che è la tua natura quella a cui devi rispondere, e che l’unico confine entro il quale dovrai sempre muoverti pur di riuscire a realizzarti davvero è il rispetto. Di te stessa e del tuo prossimo.
Sei nata per uno scopo preciso, mia adorata bambina, che è quello di essere felice. So di non avere molti strumenti per tracciare la strada, per insegnarti come ti fa. Non sono un buon esempio, da questo punto di vista, perché a mia volta non ho avuto molti strumenti per riuscire a perseguire la mia felicità.
Ma una cosa l’ho imparata e voglio dirtela, ora che ormai “sei grande”: per essere felice devi essere vera. Fedele a te stessa, autentica e libera. Ed è questo che ti auguro, amore mio: non mentirti mai, non tradirti, guardati dentro senza ignorare mai la tua voce.
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