Secondo i dati Istat la popolazione pediatrica italiana (tra 0 e 14 anni) è di circa 8,5 milioni, circa il 14% dell’intera popolazione; attualmente in Italia gli esami TC eseguiti annualmente sono circa 7 milioni, di cui 180mila riguardano gli esami pediatrici.

Periodicamente vengono pubblicati su autorevoli riviste scientifiche diversi studi epidemiologici sul rischio di sviluppo di tumori indotti nei bambini e adolescenti sottoposti ad indagini TC.

Ad esempio, secondo un recente studio condotto dal gruppo di biostatistica dell’università di Washington e pubblicato su Jama Pediatrics che ha analizzato i dati delle Tac effettuate negli ultimi 15 anni sui bambini americani al di sotto dei 14 anni, i 4 milioni di esami compiuti ogni anno in età pediatrica negli USA potrebbero comportare un incremento di 4870 nuovi futuri tumori.

Come spiega la dottoressa Sabina Strocchi dell’U.O. di Fisica Sanitaria dell’Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi di Varese nonché membro del Comitato Direttivo AIFM Lombardia

In realtà non è mai possibile fornire un dato certo di rischio di induzione di tumore, bensì solo una stima dell’aumento della probabilità di incidenza rispetto a quella naturale. Infatti la dose che un paziente assorbe durante un esame è molto variabile e dipende da diversi parametri, alcuni tecnologici, altri anatomici (età del paziente, peso, altezza, distretto anatomico esaminato ecc.)  per cui la stima della dose efficace per singolo paziente non può che essere personalizzata.

Per ridurre al minimo la dose di radiazioni erogata ai bambini nelle procedure radiologiche è necessario:

  • eseguire l’esame solo quando sussiste un evidente beneficio;
  • impiegare la minima quantità di radiazioni necessaria a un’adeguata visualizzazione, adattandola alle dimensioni del bambino;
  • limitare l’esame al solo distretto anatomico da esaminare;
  • utilizzare se possibile metodiche alternative (come ecografia e risonanza magnetica).
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