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Si possono fare radiografie in gravidanza e altri esami e trattamenti a base di radiazioni? Ecco perchè spesso sono sconsigliate e quali sono le basi scientifiche di queste indicazioni.
È importante occuparci delle radiazioni in gravidanza non solo per conoscere i rischi e capire come comportarsi in specifiche circostanze, ma anche per sollevare l’attenzione su situazioni nelle quali la gestazione si inserisce in un contesto, sia esso professionale o di salute, non lineare come siamo soliti immaginarlo.
Molto brevemente è utile spiegare che le radiazioni, energia sotto forma di onde o particelle, sono di due tipi: ionizzanti e non ionizzanti. L’International Agency for Research on Cancer dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) spiega come le radiazioni ionizzanti sono quelle che emettono una quantità di energia capace di rompere i legami chimici e creare ioni. Un fenomeno che è in grado di danneggiare il DNA di una cellula provocandone delle mutazioni.
Di per sé, le conseguenze sul feto delle radiazioni in gravidanza non si basano sulla ricerca scientifica vera e propria. Come evidenziato in questo studio, infatti, sono fondate sull’osservazione, in quanto per ragioni etiche non si procede a fare ricerche ed esperimenti sul feto. I dati a disposizione sull’impatto delle radiazioni dipendono dall’osservazione dei pazienti che sono stati vittime dei bombardamenti nucleari di Hiroshima o del disastro di Chernobyl.
Un documento del Centers for Disease Control and Prevention (CDC) sull’argomento concentra l’attenzione anche sul fatto che la possibilità di effetti gravi sulla salute dipende molto anche dall’epoca gestazionale. L’embrione/feto, infatti, è più sensibile tra la seconda e la diciottesima settimana di gestazione. In questo periodo anche dosi molto basse, insufficienti per far ammalare la gestante, possono essere pericolose per il nascituro.
Tra le possibili conseguenze vengono segnalati:
C’è anche da considerare come il danno ai tessuti dipende da numerosi fattori. Il Manuale MSD spiega come l’impatto delle radiazioni ionizzanti dipenda dalla dose di radiazione, dal tasso di esposizione, dal tipo di radiazione e dalla parte del corpo esposta. Durante la gravidanza il feto è protetto dall’utero e le dosi di radiazioni che lo raggiungono sono quindi inferiori rispetto a quelle emesse dalla fonte.
Le radiazioni sono pericolose in gravidanza e il CDC indica come “dosi elevate” quelle superiori alla dose ricevuta da 500 radiografie del torace. Una dose compresa tra 0,05 e 0,5 Gy (gray, l’unità di misura della dose di radiazione assorbita) è generalmente considerata sicura per il feto durante il secondo e il terzo trimestre, mentre è considerata potenzialmente dannosa durante il primo trimestre.
Siamo tutti costantemente esposti alle radiazioni ionizzanti in quanto queste provengono anche da fonti naturali come le radiazioni cosmiche, le radiazioni emesse dalla terra e il cibo (alcuni alimenti sono, per natura, radioattivi). Nel complesso questo tipo di esposizioni risulta non un motivo di preoccupazione per le donne in gravidanza; discorso diverso per le fonti artificiali.
Queste comprendono le sorgenti esterne e quelle interne utilizzate in ambito medico e professionale. In campo medico sono possibili fonti di radiazioni le indagini strumentali mediante raggi X (radiologia e tomografia computerizzata) così come la radiologia interventistica che prevede il ricorso a procedure diagnostiche e terapeutiche basate su metodiche radiologiche (come la fluoroscopia e l’ecografia). Rimanendo in ambito medico, rientrano tra le possibili fonti di radiazioni anche quelle impiegate dalla medicina nucleare, che inietta sostanze radioattive per la diagnosi o il trattamento di alcune patologie.
Passando all’ambito industriale e professionale, sono da considerare tutte quelle attività che regolarmente prevedono l’utilizzo di tecniche radiografiche, sorgenti di radiazioni alimentate elettricamente (tubi a raggi X e acceleratori di particelle) o strumenti e dispositivi per l’irraggiamento dei cibi e l’analisi dei materiali. Donne che lavorano in stabilimenti industriali, laboratori, studi medici e altri settori che prevedono l’utilizzo di radiazioni ionizzanti sono esposte a un rischio maggiore. E, quindi, a una possibile discriminazione.
È quanto evidenziato in un contributo pubblicato dall’Associazione Italiana Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC), che riporta come l’esposizione alle radiazioni ionizzanti è per le donne in età riproduttiva un ostacolo per intraprendere una carriera. Le donne che hanno un percorso professionale già avviato, invece, la gravidanza comporta l’allontanamento dalle sorgenti di esposizione per più di un anno (tra gravidanza, allattamento e congedo), andando incontro a importanti conseguenze sul loro percorso professionale.
A questo proposito esistono, tanto a livello nazionale quanto a livello internazionale, diverse normative a tutela della maternità. Per approfondire rimandiamo al documento Raccomandazioni per l’attività professionale della donna radiologo in gravidanza redatto dalla Società Italiana di Radiologia Medica ed Interventistica (SIRM).
C’è, infine, tutta la questione legata alla radioterapia, ovvero all’uso delle radiazioni ionizzanti per la cura di diverse patologie, specialmente i tumori. L’indicazione generale, come riportato in questo studio, è quella di evitare di iniziare una gravidanza se ci si deve sottoporre a sessioni di radioterapia. È pur vero che spesso chi si sottopone a queste terapie ha patologie che rendono difficile il concepimento, anche se questo non è escluso del tutto. Oltre alle preoccupazioni per il feto il ricorso alla radiografia in rappresenta un motivo di interesse anche per le donne.
La scelta di effettuare una radiografia in gravidanza dipende da caso a caso ed è valutata dal medico tenendo conto delle singole condizioni. Non è rara l’ipotesi che una donna si sottoponga a esami radiografici quando ancora non sa di essere incinta.
La Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) chiarisce come molti dei timori legati alle radiazioni in gravidanza sono infondati. Questo perché i reali effetti nocivi si hanno solamente a seguito dell’esposizione a dosi elevate, che non è quanto avviene durante un esame radiologico.
Il Ministero della Salute, tra i fattori ambientali potenzialmente responsabili di infertilità sia femminile che maschile, inserisce anche l’esposizione cronica per motivi di lavoro alle radiazioni. Lavoratrici e lavoratori delle aziende fitosanitarie, edili, chimiche, petrolchimiche e minerarie, così come quelli del settore agricolo, del settore edile, delle aziende tipografiche, i militari e il personale medico-infermieristico, sono le categorie professionali più a rischio.
Uno studio pubblicato sul Giornale italiano di Cardiologia riporta come la maggior parte degli studi in materia sia orientata sulle prestazioni riproduttive maschili, in quanto il tessuto testicolare è quello maggiormente sensibile alle radiazioni ionizzanti. Sebbene queste possano alterare la fertilità e l’esito della gravidanza, non ci sono evidenze scientifiche che indichino una relazione diretta di causa ed effetto, mentre i dati disponibili non evidenziano un aumento del rischio di malformazioni e neoplasie del feto o aborti nelle donne che lavorano all’interno dei laboratori di cardiologia interventistica.
Questo studio mostra invece le conseguenze sulla fertilità e il concepimento (ma anche sugli esiti neonatali) dell’utilizzo delle radiazioni per i trattamenti oncologici. Questi possono provocare un’interruzione del normale funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisi, causare danni uterini, insufficienza ovarica o anomalie dell’asse gonadico che possono condizionare la ricerca di una gravidanza.
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