Molte malattie hanno sintomi comuni tra loro, motivo per cui spesso la diagnosi, specie quella preventiva da parte dei genitori, può portare a sottostimare un fenomeno più grave. È il caso della cosiddetta malattia di Kawasaki, una patologia che può colpire i bambini nei primissimi anni di vita.

Questa malattia si presenta principalmente dal quinto mese fino ai primi cinque anni di vita del bambino. Essa si manifesta con la febbre alta per più di cinque giorni e che non si abbassa con la classica terapia antibiotica.

Colpisce bambini in tutto il mondo e l’incidenza maggiore si verifica durante la stagione invernale o primaverile. L’eziologia della malattia di Kawasaki è ancora sconosciuta, motivo per cui non esiste alcuna forma di prevenzione realmente efficace.

Ma di cosa stiamo parlando? La definizione della malattia di Kawasaki secondo le Linee Guida della Società Italiana di Pediatria è quella di una “vasculite acuta sistemica che colpisce i vasi di medio calibro di tutti i distretti dell’organismo”. Parliamo quindi di un’infiammazione che colpisce i vasi sanguigni.

È possibile suddividere il decorso della malattia in due fasi. Nella prima si può avere un’infiammazione delle coronarie (con diversi stadi di gravità). Nella seconda, invece, la coronaria tende a dilatarsi, potendo portare anche alla formazione di aneurismi.

Malattia di Kawasaki: le cause

Malattia di Kawasaki

L’eziologia della malattia di Kawasaki non è certa. Per questo motivo non è possibile stabilire una causa sicura che determina la sua formazione.

Malattia di Kawasaki: sintomi

La malattia di Kawasaki si manifesta con la febbre alta prolungata e accompagnata da almeno quattro di questi criteri clinici:

  • dolori articolari;
  • eritema della mucosa orale;
  • eritema delle labbra;
  • eruzione cutanea a rapida insorgenza (rash);
  • gonfiore dei linfonodi;
  • iperemia congiuntivale bilaterale;
  • linfoadenopatia cervicale;
  • rigonfiamenti alle mani e ai piedi.

Esistono anche altre forme di malattia di Kawasaki. Si parla di forma incompleta nel caso in cui, oltre alla febbre, non c’è un numero sufficiente dei criteri clinici. La forma atipica, invece, è quella per cui la malattia si manifesta in maniera diversa dal solito. In entrambi i casi la malattia si verifica contestualmente alle alterazioni coronariche.

Per diagnosticare la malattia di Kawasaki è necessario che siano presenti i criteri clinici suddetti  non esistono esami di laboratorio utili all’individuazione della malattia. Quelli che vengono generalmente prescritti (emocromo, esami colturali, esami del sangue, eccetera) servono ad escludere la presenza di altre patologie e a circoscrivere il campo d’indagine.

Saper riconoscere questo tipo di malattia, evitando di confonderla con il morbillo o la mononucleosi, è determinante per evitare l’insorgere di complicazioni e conseguenze.

Malattia di Kawasaki: complicazioni e conseguenze

Quali sono le principali complicazioni della malattia di Kawasaki? La Società Italiana di Pediatria spiega:

Maggiori difficoltà diagnostiche sono rappresentate dal fatto che alcuni bambini sviluppano complicanze coronariche senza soddisfare i criteri diagnostici e che manifestazioni cliniche diverse da quelle caratteristiche possono essere il primo sintomo.

La diagnosi precoce, quindi, resta essenziale “perché la prognosi della malattia è legata alla precocità del trattamento”. Le principali conseguenze di questa malattia, se non diagnosticata in tempo, sono molto pericolose. Possono riguardare problemi di natura cardiovascolare, accumuli di liquido, interessamenti polmonari con relativi versamenti pleurici.

Malattia di Kawasaki: trattamento

Il trattamento della malattia di Kawasaki è base di immunoglobuline (IVG) che va intrapreso il prima possibile per evitare le complicazioni tipiche di questa malattia.

La Società Italiana di Pediatria registra come il trattamento non debba essere eseguito prima del quinto giorno per evitare di rendere necessaria “un’ulteriore somministrazione di IVIG”. Per il trattamento della patologia coronarica, invece, bisogna intervenire in base alla gravità del fenomeno e alla sua estensione. In alcuni casi, invece, la malattia si risolve anche in maniera spontanea.

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  • Bambino (1-6 anni)