La perdita di un figlio, anche quando non ancora nato, porta con sé molteplici effetti non solo sul fisico della donna che la subisce ma anche della psiche della coppia. E nonostante si tratti di un’eventualità non infrequente, spesso chi sperimenta il lutto perinatale non riceve un supporto adeguato.

Un passo avanti è stata l’istituzione della Giornata mondiale della consapevolezza lutto perinatale, che si tiene il 15 ottobre. Eppure di lutto perinatale si parla ancora poco. Esistono però diversi modi efficaci per affrontare la perdita, che può accadere per un aborto spontaneo nelle prime fasi della gravidanza, o in seguito a un aborto terapeutico, o ancora per complicazioni durante il parto o subito dopo la nascita.

Abbiamo parlato con la psicologa Daria Russo delle possibili implicazioni a carico del vissuto della donna e della coppia che perde un figlio non ancora nato o appena venuto al mondo e delle possibili azioni da intraprendere per affrontarlo.

La consapevolezza del lutto perinatale

“Quando si parla di lutto perinatale – spiega la dottoressa Russo – è importante partire dal presupposto che si parla di una perdita che può avvenire in diversi momenti della gravidanza o subito dopo il parto. Anche l’epoca in cui si verifica ha un impatto diverso sulla coppia e sulla donna, fisicamente e psicologicamente”.

Il lutto perinatale attraversa la vita di chi lo subisce lasciando solchi anche profondi, che vanno riconosciuti per affrontarli in modo efficace: la consapevolezza del lutto perinatale è fondamentale per iniziare a elaborare il lutto e superare il trauma. Spiega Daria Russo:

Ogni coppia dovrebbe in primo luogo poterne parlare. È una cosa a cui si fa riferimento molto raramente, di solito una donna che perde un bambino durante la gravidanza non ne parla. Se la perdita avviene nei primi tre mesi di gestazione non ne parla proprio, perché nessuno è ancora al corrente della gravidanza e si tende a minimizzare il problema. Si dice “è successo, ma ci riproviamo”. Se la perdita avviene dopo i primi tre mesi è più complesso perché lo si è detto, quindi non c’è solo la problematica legata al proprio lutto ma anche al fatto che bisogna dirlo alle persone, si sente il dispiacere e la pena degli altri oltre al proprio. Ci si sente quasi in dovere di dare delle giustificazioni. Il terzo momento, quello del parto, è il più doloroso: perdere un figlio nel momento in cui lo si mette al mondo è devastante, senti di avere “quasi” dato la vita ma si è trasformata in morte.

Un dolore immenso, che non viene però adeguatamente preso in considerazione: “È molto raro trovare donne che si incontrano in uno spazio terapeutico in cui condividono la propria esperienza”, continua l’esperta.

Come elaborare il lutto perinatale

La perdita è della donna, ma anche della coppia: “È importantissimo il problema della coppia – spiega la dottoressa Russo – eppure non viene quasi mai evidenziato. La coppia tende a dividersi nei momenti di sofferenza, si tende sempre a cercare un proprio spazio o a incolpare l’altro perché mancano altri strumenti o vie di fuga. Ecco perché una terapia può essere di grande aiuto in questi momenti: offre un supporto che possono essere il dialogo, l’approccio psicodinamico o quello terapeutico comportamentale”.

Uno dei metodi utilizzati per l’elaborazione del lutto perinatale è il metodo EMDR, “Eye Movement Desensitization and Reprocessing” e si basa sulla desensibilizzazione e rielaborazione del lutto attraverso i movimenti oculari, come spiega l’esperta:

Attraverso la desensibilizzazione con i movimenti oculari si lavora proprio sugli aspetti traumatici e si rientra in contatto con il momento in cui si è vissuto il trauma, favorendo così l’elaborazione di questo dolore. Attraverso il movimento oculare si è infatti riscontrato che quando viviamo un trauma le emozioni vengono “trattenute” nella parte neurale del cervello. Questo trattenimento nella vita di tutti i giorni riaccende quel dolore e riattiva quel blocco: è come se il cervello non si muovesse più e rimanesse bloccato in quello stato. Con l’EMDR si sblocca, e avviene un’associazione quasi logica rispetto a quello che succede normalmente. Si creano ricordi e associazioni con il presente e il passato, cosa che nel trauma non avviene perché il cervello è “bloccato” e impedisce quelle associazioni.

Come funziona il metodo EMDR per il lutto perinatale

Ogni terapeuta, spiega ancora Russo, procede nel modo che ritiene più opportuno a seconda del trauma e del paziente:

Con l’EMDR non elimini la sofferenza, ma lavori sui pensieri anche irrazionali che ti avvolgono, come senso di colpa, incapacità, paura e ansia, che portano ad esempio a non volere altri figli per il timore di una nuova gravidanza. Si lavora per comprendere meglio quello che è successo e fare così una giusta e sana associazione rispetto a quanto è avvenuto anche di irrazionale: le motivazioni che spesso ci diamo per andare avanti spesso infatti non sono razionali.

Ma come funziona, nella pratica, una terapia basata sull’EMDR? Spiega la psicologa:

Al paziente si richiede di entrare in contatto con il ricordo traumatico e di seguire il movimento delle dita, che è bilaterale, da sinistra a destra. Si fanno 30 movimenti avanti e indietro, a seconda del terapeuta, poi si chiede cosa è venuto in mente, a cosa si è pensato in quel momento. Quindi si chiede al paziente di rimanere con quel pensiero e con quell’emozione e si riprende il movimento. In questo modo si sblocca e si riporta il cervello a fare movimenti del tutto naturali.

La terapia, conclude Daria Russo, solitamente è abbastanza breve. Si inizia instaurando un rapporto con il paziente, poi ci sono circa 6 o 7 incontri con la tecnica EMDR per ciascuno strato: “Più strati ci sono più incontri sono necessari. Per questo nel caso dei traumi, compreso il lutto perinatale, è fondamentale intervenire il prima possibile: se il trauma diventa cronico il lavoro sarà maggiore”.

Ogni trauma, conclude Russo, è infatti formato da diversi “stadi”, che si stratificano uno sull’altro: la perdita è seguita da un’immediata negazione, ci si ripete “non è possibile, non è successo”, è come uno shock.

Poi compaiono il dolore e il senso di colpa, uno strato sull’altro. “Più si formano questi strati più è importante entrare in ciascuno di loro per aiutare il paziente a rielaborare gli schemi che si formano e arrivare alla fase dell’accettazione e quindi riorganizzarsi”.

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