Parlare di depressione non è mai facile, tra il rischio di banalizzare e quello di spaventare, ma è spesso doveroso per poterla gestire correttamente, specie quando si tratta di riconoscerne le prime avvisaglie. È quello di cui si occupa la Scala di Edimburgo, un test che permette di individuare la presenza di fattori di rischio che, se trascurati, possono sfociare in una depressione patologica.

La gravidanza prima e il parto poi rappresentano per le donne un insieme di profondi cambiamenti (fisici, psicologici e sociali) che possono essere il terreno fertile per lo sviluppo di sentimenti di tristezza e stanchezza. Una condizione per certi aspetti fisiologica, come può essere il cosiddetto baby blues, ma il cui confine verso qualcosa di più serio e pesante è sempre molto labile.

Spesso si rischia di dare troppo per scontata la depressione post-partum, come se fosse un rischio necessario da pagare per mettere al mondo un figlio. In realtà, nonostante i pericoli, è un fenomeno che può essere riconosciuto ed è ciò che contribuisce a fare anche la Scala di Edimburgo, uno strumento di screening utile per individuare i fattori di rischio della depressione post-partum (e non solo).

Vista l’importanza dell’argomento abbiamo intervistato la Dottoressa Rachele Battiston, specializzata come Personal Trainer Ostetrico e Operatore Olistico Materno Infantile, che ci ha spiegato nel dettaglio cos’è e come funziona la Scala di Edimburgo e cosa fare per prevenire la depressione post-partum.

Cos’è la scala di Edimburgo?

Dottoressa Battiston, cos’è la Scala di Edimburgo?

La scala di Edimburgo è una scala di autovalutazione che viene somministrata in linea di massima, soprattutto a livello ospedaliero, alle mamme dopo che hanno partorito. Nel caso in cui dal test risultasse qualche fattore di rischio, la donna verrebbe indirizzata verso la figura professionale più adeguata a fornirle il supporto necessario. Questo test non è diagnostico, nel senso che ci offre l’opportunità di cogliere dei fattori di rischio, ma per diagnosticare un’eventuale depressione post-partum è necessaria una visita con uno specialista.

Scala di Edimburgo e depressione post-partum

Come è strutturato questo test per individuare i fattori di rischio della depressione post-partum?

La scala di Edimburgo è un auto-test nel quale la donna barra con le crocette la casella con la risposta che secondo lei è più inerente al periodo che sta vivendo e, in base al punteggio che esce, si valuta l’attivazione dell’assistenza territoriale.

Il risultato del test è esplicito nell’individuare i rischi legati a una depressione o va interpretato?

In linea di massima ogni volta che le risposte sono “sì spesso” o “sì qualche volta” si cerca di indirizzare la donna verso una figura in grado di fornire un sostegno psicologico, ma comunque è lo specialista che decide se il caso che sta analizzando è di una depressione, se c’è un rischio serio o se sono stati solamente dei giorni particolarmente negativi ma che non destano preoccupazione. Ogni volta che il test viene somministrato viene poi anche discusso e c’è quindi una valutazione per capire se ci sono, e quali sono, dei fattori di rischio e l’assistenza da attivare viene sempre concordata con la donna stessa.

Scala di Edimburgo: come funziona il questionario?

Dottoressa Battiston, com’è articolato questo test?

Ci sono dieci domande a risposta multipla con domande molto generiche che valutano i sentimenti che la donna ha provato nelle ultime settimane. Le risposte ci danno indice di come può essere una persona in quel periodo. Di solito si dà nel post parto perché è la fase dove c’è il crollo ormonale ed è più probabile che insorga un senso di tristezza che può sfociare poi in una depressione, ma in alcune donne il test può essere somministrato anche quando, dalle anamnesi e dai colloqui con i professionisti, sorge qualche dubbio. Può essere svolto anche prima, nei giorni a ridosso del parto.

Il test viene suggerito o può essere fatto autonomamente?

Di solito non è un test del quale si conosce l’esistenza, quindi viene consigliato dalle strutture che lo utilizzano e viene proposto dal personale ospedaliero se sospetta che ci possa essere un fattore di rischio, per esempio se vedono che la donna piange o è particolarmente triste. Può inoltre essere somministrato dal personale del consultorio qualora la donna si rivolgesse a loro dopo il parto per problematiche di vario tipo, come quelle per esempio legate all’allattamento, ma poi dal colloquio emerge anche altro e quindi il personale può utilizzare la scala di Edimburgo per valutare la situazione.

Non esistono, quindi, risposte giuste e risposte sbagliate, ma dipende da soggetto a soggetto.

Sì, il risultato è variabile e questa scala può essere anche somministrata più volte. Se infatti dal primo test non emergono chiaramente dei fattori di rischio ma lo specialista mantiene dei sospetti, invita la donna a tornare la settimana successiva e a ripetere il test per vedere se è cambiato qualcosa o se quel sentimento di tristezza non era passeggero ma qualcosa di più serio.

Consigli per prevenire la depressione post-partum

Dottoressa, anche sulla base della sua esperienza professionale, quali consigli possiamo dare per prevenire i rischi di una depressione?

La prima risorsa che le donne devono avere è quella di circondarsi di un sostegno valido, sia dal punto di vista familiare che professionale. Molte donne per esempio entrano in depressione perché si sentono inadeguate o incapaci come madri e hanno bisogno di avere qualcuno accanto che le aiuti ad essere madri e di un professionista che le convinca che stanno facendo bene.

Uno dei fattori maggiori che causa la depressione post-partum è che le donne a livello territoriale si sentono spesso abbandonate. Durante la gravidanza sono bombardate di visite e non si sentono mai sole, mentre dopo, una volta che hanno partorito, non sono più programmate visite, non è più necessario che torni in ospedale e anzi dopo la visita di controllo di routine se non ci sono problemi la donna non viene più seguita. Quindi questo sentimento di tristezza che è caratteristico del post partum, che si chiama sindrome baby blues, può diventare patologico.

L’ambiente familiare spesso può rivelarsi più un peso che una risorsa per le donne che hanno appena partorito; è così?

Una volta c’era una sorta di clima di sorellanza per il quale quando una donna partoriva le donne della comunità o della famiglia andavano a casa della neomamma per aiutarla con le faccende in modo che la mamma potesse, almeno per i primi quaranta giorni, occuparsi esclusivamente del bambino e riposarsi.

Oggi fare dei figli è un po’ visto dalla comunità come qualcosa per cui bisogna arrangiarsi da soli; anzi sono sempre di più le persone che vanno a trovare a casa la donna che ha appena partorito e le dicono “ti tengo io il bambino mentre tu ti puoi occupare delle faccende domestiche”, ma questo non è un supporto valido perché le donne hanno bisogno di qualcuno che permetta loro di fare ed essere delle madri.

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