La violenza ostetrica nelle sale parto italiane e nel mondo

Storie e testimonianze drammatiche di ciò che avviene durante le visite ginecologiche o in sala parto. Parliamo delle diverse forme di violenza subita dalle donne durante la gravidanza e cosa fare per tutelarsi.

Una ricerca Doxa lancia l’allarme: la violenza ostetrica non è una rarità. Secondo l’indagine, infatti, il 21% delle donne intervistate ha riferito di aver vissuto un’esperienza del parto che è stata lesiva della loro dignità. Una realtà sulla quale, come troppo spesso accade, si fa ancora fatica a parlare, sia per effetto di strascichi culturali di modalità di approccio che in passato venivano considerate normali, sia per la vergogna di chi subisce una violenza di denunciarla.

Eppure la violenza ostetrica è una realtà non lontana dai nostri ospedali o centri nascita e non è un fenomeno che riguarda solamente Paesi economicamente arretrati. Come evidenziato dall’indagine Doxa, infatti, quasi 1 donna su 4 riferisce di aver avuto un’esperienza traumatica del parto, motivo per cui è importante rivolgere a questa condizione l’attenzione che merita.

L’obiettivo è quello di fare chiarezza andando a comprendere anche quali sono le cause di un fenomeno serio, ma di difficile inquadramento, tanto che sono diverse le voci, anche tra i medici e gli operatori sanitari, che si interrogano su come riconoscere e risolvere questo tipo di condizione.

Cos’è la violenza ostetrica?

Come anticipato, definire la violenza ostetrica non è semplice. Si può considerare come l’insieme di atti e comportamenti, fisici, verbali e psicologici, che incidono negativamente sulla gravidanza, il parto e il periodo del puerperio. È evidente che si tratta di una definizione un po’ vaga che non consente di comprendere chiaramente, caso per caso, quando questa violenza si concretizza e, di conseguenza, quando riconoscere le responsabilità e prevedere le eventuali conseguenze del caso.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, che spesso è intervenuta nel ribadire linee guida rispettose della donna, del suo corpo, della sua dignità e libertà, si è pronunciata anche in materia di violenza ostetrica ponendo l’attenzione sull’intenzionalità dell’operatore che la commette. In realtà questo aspetto è critico, come evidenziato in un apposito studio, nel quale si evidenzia come la violenza è tale a prescindere dall’intenzionalità di chi la pratica e che una comprensione del problema non può prescindere dalla conoscenza di ciò che alcune donne possono sperimentare durante la gravidanza, il parto e il puerperio.

Senza dimenticare come spesso gli episodi di violenza ostetrica incidano negativamente anche sulla salute fisica stessa della partoriente, risultando un vero e proprio problema di salute pubblica.

Per avere tutti gli elementi necessari per comprendere il fenomeno è doveroso accogliere anche le precisazioni effettuate dall’Associazione degli Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI) che evidenzia la criticità dell’accostamento dei termini violenza e ostetrica che determina un grave effetto denigratorio per i vari professionisti del settore. L’AOGOI fa presente come nell’indagine Doxa:

sono riportate gravissime espressioni offensive che evocano deplorevoli comportamenti ascrivibili al profilo professionale ostetrico (ostetriche, medici e personale sanitario), mai tenuti e mai provati, inducendo nella mente del lettore una ingiusta ed intollerabile completa distorsione della realtà sanitaria italiana ed in particolare dell’assistenza ostetrica e al parto, conseguendo un risultato gravemente diffamatorio e lesivo della reputazione dei professionisti.

Come si manifesta

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Fonte: iStock

Sono diverse le modalità con cui si può manifestare la violenza ostetrica ed è, come anticipato, una realtà complessa e articolata. Le pratiche più diffuse in questo senso sono:

  • l’utilizzo dell’episiotomia senza informare preventivamente le donne;
  • l’uso del clistere;
  • la depilazione;
  • l’obbligo di rispettare alcune posizioni durante il travaglio;
  • la rottura delle membrane;
  • la manovra di Kristeller;
  • il taglio precoce del cordone ombelicale;
  • l’abuso (in passato molto praticato) del ricorso al taglio cesareo;
  • l’impedire alla madre di vivere il contatto con il neonato negli istanti successivi al parto.

È importante allargare il quadro della situazione precisando che la violenza ostetrica può verificarsi (e si verifica) anche durante una visita, prima o dopo il parto. Non si tratta solamente di episodi che avvengono durante il travaglio o in sala parto, ma in qualsiasi momento della gravidanza o comunque in qualsiasi momento in cui il corpo della donna è oggetto di valutazioni mediche.

È quanto emerge dalla risoluzione del Consiglio d’Europa per cui:

Nella privacy di una visita medica o del parto le donne sono vittime di pratiche violente o che possono essere percepite come tali. Questo include atti inappropriati o non consensuali, come episiotomia e palpazione vaginale effettuata senza consenso, pressione sul fondo uterino o interventi dolorosi senza anestesia. Si riportano inoltre comportamenti sessisti durante le visite mediche.

In molti casi si tratta di pratiche standardizzate da protocolli medici non aggiornati che costituiscono un trauma per le donne che le subiscono. Molte di esse, inoltre, riferiscono di non aver ricevuto un’adeguata assistenza. Quando si parla di violenza ostetrica, quindi, non ci si riferisce necessariamente a “comportamenti violenti” delle ostetriche, delle infermiere o dei medici, ma a tutto quel complesso di situazioni per cui il corpo femminile, specie durante la gravidanza e il parto, non viene considerato per la sua dignità, ma solo come un’incubatrice dalla quale estrarre il bambino.

La violenza ostetrica, quindi, è a volte un comportamento irrispettoso e lesivo della dignità perpetrato dagli operatori sanitari, ma molto più spesso è l’effetto dell’inefficienza delle strutture sanitarie, di protocolli medici che si applicano senza richiedere il consenso delle donne e senza informarle di ciò che andranno a vivere.

La comprensione del fenomeno è molto delicata, anche perché se la violenza in molti casi è un atto oggettivo, in altri rappresenta una percezione soggettiva di ogni donna. Questo non significa che tutto può essere ascritto a una violenza, ma che non sempre le necessità della donna, intesa come donna e non solo come madre, sono riservate le giuste attenzioni.

In questo senso, infatti, vanno considerate anche le condizioni ambientali in cui le donne si trovano a partorire, la solitudine, l’assenza del partner o di una figura di riferimento, la condivisione forzata della stanza con altre donne (che magari stanno vivendo situazioni diametralmente opposte) e l’atteggiamento di alcuni operatori sanitari che ignorano (consapevolmente o meno) l’esperienza a volte dolorosa e difficile che le donne sperimentano una volta entrate in ospedale per partorire.

Non a caso, spesso abbiamo posto l’attenzione sul cosiddetto parto dolce e su un’esperienza del parto che tenga conto di tutti gli attori coinvolti (non solo il neonato, ma anche la donna e il suo partner). Ed è per questo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è più volte espressa contro l’eccessiva medicalizzazione del parto. Non sono da ignorare le componenti di discriminazione di genere, sessiste e razziali che in un contesto di questo tipo possono trovare una loro espressione.

Proprio perché il problema è reale e non soggettivo, nonostante a distanza di 12 anni il suo bilancio si è rivelato controverso, nel 2010 la Conferenza Stato Regioni ha approvato le Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo nelle quali sono poste le azioni da seguire a livello nazionale, regionale e locale.

La violenza ostetrica, quindi, non è un’accusa verso gli operatori del settore, ma una questione che riguarda tutto l’intero “sistema parto”, sia dal punto di vista medico che strutturale, istituzionale, politico e sanitario.

Violenza ostetrica: cosa dice l’OMS

Quello della violenza ostetrica è un problema globale, tanto che nel 2014 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un apposito documentoLa prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere” nel quale si specifica chiaramente come “ogni donna ha diritto al più alto livello di salute raggiungibile, che include il diritto a un’assistenza sanitaria dignitosa e rispettosa”.

Se l’OMS deve ribadire quello che appare ovvio è perché durante il parto molte donne subiscono trattamenti irrispettosi e abusivi. Un comportamento, questo, che non solo viola i diritti delle donne a un’assistenza rispettosa, “ma può anche minacciare i loro diritti alla vita, alla salute, all’integrità fisica e alla libertà dalla discriminazione”.

In questo documento l’OMS, precisando come “in molti casi non sono state adottate politiche per promuovere un’assistenza materna rispettosa, non sono specifiche, o non sono stati ancora tradotti in azioni significative” propone le 5 seguenti azioni per prevenire ed eliminare ogni forma di violenza ostetrica:

  1. Maggior sostegno da parte dei governi e dei partner di sviluppo per la ricerca e l’azione sulla mancanza di rispetto e sugli abusi;
  2. Avviare, sostenere e sostenere programmi volti a migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria materna, con una forte attenzione all’assistenza rispettosa come componente essenziale di un’assistenza di qualità
  3. Sottolineare i diritti delle donne a un’assistenza sanitaria dignitosa e rispettosa durante la gravidanza e il parto
  4. Sono necessari la generazione di dati relativi a pratiche di cura rispettose e irrispettose, sistemi di responsabilità e supporto professionale significativo
  5. Coinvolgere tutte le parti interessate, comprese le donne, negli sforzi per migliorare la qualità dell’assistenza ed eliminare le pratiche irrispettose e abusive.

Come denunciare

Una donna che subisce una violenza ostetrica o qualsiasi trattamento e condizione che risulta lesiva della sua dignità e dell’integrità psicofisica può denunciare l’accaduto. Innanzitutto presentando una segnalazione alla Direzione generale dell’ospedale nel quale ha partorito e contestualmente anche alla Direzione generale dell’Azienda Sanitaria Provinciale.

Nella segnalazione vanno riferiti più dettagli possibili, indicando nomi e cognomi di eventuali soggetti responsabili, il loro comportamento e quanto accaduto, in modo da restituire una testimonianza completa dell’accaduto.

Parallelamente o laddove si riscontrassero difficoltà ci si può rivolgere al comando di Polizia o la stazione dei Carabinieri più vicina presentando esplicita denuncia dei fatti subiti.

Violenza ostetrica: testimonianze ed esperienze

Leggere e conoscere le testimonianze di donne che hanno subito una violenza ostetrica è in molti casi utile per capire come questi eventi possano ledere l’integrità di una persona provocando strascichi e conseguenze anche molto gravi. È utile anche per avere degli esempi di riferimento di quanto può accadere in sala parto, non per aumentare l’ansia e la preoccupazione, ma per avere piena contezza di ciò che può accadere e anche sulla base di questi elementi fare una valutazione attenta nella scelta della struttura dove partorire.

Tramite la nostra pagina Instagram abbiamo avuto modo di raccogliere nel tempo diverse testimonianze di donne che hanno subito episodi di violenza ostetrica.

Marzia

Un caso eloquente è quello di Marzia (nome di fantasia per mantenere l’anonimato), una ragazza di 24 anni di Napoli che è stata seguita da una ginecologa che lavorava anche in ospedale e che, dopo segnalazione di un’amica, dopo averle chiesto se avrebbe avuto la possibilità di avere un parto naturale la dottoressa non le ha mai risposto.

A quel punto sceglie di cambiare ginecologa (era al sesto mese di gravidanza) facendo enorme fatica a trovarne un’altra. Un giorno a seguito di un forte mal di pancia si è rivolta al pronto soccorso; durante la visita ginecologica interna un’ostetrica (o un’infermiera) le ha detto, senza preavviso e senza chiedere il consenso, “ora ti faccio lo scollamento delle membrane”. Neanche il tempo di pensare che lo aveva già fatto. Durante tutta la visita l’operatrice sanitaria non ha mai risposto alle domande di Marzia, ma si rivolgeva solo a sua madre dicendole che una volta tornata a casa sarebbe stato normale avere delle perdite e delle contrazioni.

La sera sono iniziati i dolori e la mattina dopo si è recata in ospedale, ma è stata visitata solamente verso le 17. A quel punto è iniziato il travaglio e a Marzia era venuta la febbre. La ginecologa che l’ha assistita fino al parto le ha raccontato che nessun medico ha voluto visitarla per non prendersi la responsabilità della sua situazione.

Durante il travaglio, anche in questo caso senza dirle niente, la nuova ostetrica che aveva preso servizio le ha rotto il sacco, le hanno praticato l’episiotomia e, ancora, la manovra di Kristeller. Dopo la nascita del bambino hanno allontanato sua madre che era rimasta per tutto il tempo con lei e nel curarle le perdite di sangue hanno proceduto con poca delicatezza ignorando il suo dolore.

Solo dopo 8 mesi dal parto Marzia è riuscita a raccontare l’accaduto e a superare i dolori e i disagi fisici. Lo shock psicologico e il senso di vergogna hanno invece lasciato una traccia più profonda difficile da dimenticare e da superare.

Alessandra

Un’altra testimonianza è quella di Alessandra (anche in questo caso il nome è di fantasia) che racconta come, dopo la rottura delle acque, l’ostetrica non credesse alle sue esternazioni di dolore tanto che ha ignorato per ore le sue richieste di aiuto e si è beffata di lei con le altre compagne di stanza. Quando l’hanno poi finalmente visitata hanno scoperto che la bambina era in sofferenza cardiaca; il parto d’emergenza è fortunatamente andato bene, ma anche in questo caso le conseguenze fisiche (20 punti) e psicologiche sono difficili da spiegare e accettare.

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