
Passare dal lettone al proprio lettino non sempre è semplice, ma è una tappa fondamentale per l'autonomia del bambino. Ecco 5 consigli per abitua...
Pick up e put down: il metodo Tracy Hogg promette di rendere l'addormentamento "E.A.S.Y". Ma funziona davvero?
Secondo il metodo Tracy Hogg, invece, tutto questo è “EASY”, facile: il trucco sta nel comprendere il linguaggio segreto dei piccoli e aiutarli a trovare il benessere (e il sonno) grazie alla routine.
Il metodo di Tracy Hogg, che promette di insegnare ai genitori i segreti su come sintonizzarti con il proprio bambino, leggere i suoi segnali e usare queste abilità per soddisfare i bisogni suoi bisogni, si basa sull’acronimo E.A.S.Y.
Ogni lettera corrisponde a una fase della routine che i piccoli dovrebbero rispettare: Mangiare (Eat, latte o, in seguito, solidi); Attività (Activity, gioco). Sonno (Sleep). Tu (You: mentre il bambino dorme il genitore deve fare qualcosa per se stesso). Le giornate dovrebbero essere quindi ripartite secondo questo schema, che dovrebbe ripetersi in maniera costante.
L’idea alla base del metodo Hogg, che l’autrice scomparsa nel 2004 ha riassunto nel libro Il linguaggio segreto dei neonati, è che la routine assicuri che il bambino sia nutrito e riposato in tempo per una buona notte di sonno, permettendo a mamme e papà di recuperare anche il tempo per sé.
Per quanto riguarda la fase dell’addormentamento, Hogg consiglia di utilizzare il suo metodo “pick up put down”, che consentirebbe anche ai piccoli che hanno problemi a dormire di abbandonarsi tra le braccia di Morfeo.
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Il metodo Tracy Hogg per far dormire i bambini è molto semplice, racchiuso nei due verbi “pick up” (tirare su) e “put down” (mettere giù). Secondo Hogg si tratta di un metodo a metà strada tra quello del sonno condiviso (anche conosciuto come metodo Sears) che prevede di dormire insieme nel lettone e il cosiddetto approccio della “risposta ritardata” (o metodo Ferberizing) il cui obiettivo è insegnare al bambino ad addormentarsi da solo: i i genitori devono mettere il bambino nella culla quando è ancora sveglio e, se piange, lasciarlo piangere per periodi sempre più lunghi.
Si tratta dell’approccio ripreso anche da Estivill, detto anche “dell’estinzione graduale” del pianto.
Come funziona? Quando il bambino piange, il genitore va da lui e cerca di tranquillizzarlo con parole calme e ponendo una mano sulla sua pancia e leggere pacche (shush-pat). Se sta ancora piangendo, il genitore lo prende in braccio per confortarlo (pick up), ma nel momento in cui smette e si calma, rimette il piccolo nel lettino (put down) e uscire dalla stanza.
Se ricomincia a piangere può quindi confortarlo di nuovo con parole o carezze gentili e riprenderlo in braccio se necessario, ma è importante non farlo addormentare in braccio. È possibile ripetere il pick up/put down tutte le volte che è necessario per fare addormentare il bambino.
L’idea è che si senta sicuro sapendo che mamma o papa sono lì e che risponderanno al suo pianto, ma alla fine dovrà imparare ad addormentarsi da solo.
È comune che i bambini si sveglino di notte. Secondo gli studi, quello dei risvegli notturni è un fenomeno che riguarda il 25% dei bambini con meno di 5 anni (successivamente la percentuale si abbassa a 10-12%).
Le cause possono essere diverse – caratteriali, comportamentali e ambientali – ma è fisiologico che nei primi anni di vita i piccoli si sveglino più volte a notte a causa dei cicli del sonno più brevi di quelli degli adulti. Il problema, se così vogliamo definirlo, è l’incapacità di riaddormentarsi da soli.
È normale, insomma, che il sonno in età pediatrica possa essere “disturbato”: quello che i genitori possono fare è aiutare i piccoli facendoli dormire in un ambiente confortevole (temperatura intorno ai 20°, buio, senza rumori eccessivi) e aiutandoli a prepararsi al sonno grazie a una routine della nanna, avendo cura di evitare gli schermi prima di andare a dormire.
Come ogni genitore sa, o scopre molto presto, è che quando si parla di bambini (e di sonno) non ci sono regole universali. Quello che funziona per un bambino potrebbe non funzionare per un altro e qualsiasi metodo, anche il più accreditato, non è mai risolutivo.
Quello che è altrettanto vero, infatti, è che il sonno dei bambini cambia assieme a loro e può avere delle regressioni o dei cambiamenti a seconda delle fasi e delle condizioni del piccolo: dagli 8 ai 12 mesi, ad esempio, come spiega l’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù è comune che i bambini abbiano difficoltà a dormire a causa dell’ansia da separazione.
Il sonno dei bambini non è sempre uguale. Cambia, a seconda del soggetto, ovvio. Ma cambia anche mese dopo mese e anno dopo anno. Vediamo come.
Se una routine è importante per permettere al bambino di sapere cosa succederà e di prepararsi (in questo caso alla nanna) è altrettanto vero che una routine rigida come il metodo E.A.S.Y. e il pick up/put down potrebbe non essere facile da rispettare. Pur asserendo che è necessario rispettare le esigenze del neonato – che Hogg ci ricorda essere una persona – infatti, impone una routine standardizzata che non può essere adatta a tutti.
Va ricordato, inoltre, che il metodo Hogg non ha basi scientifiche e che condivide in parte alcuni principi dell’estinzione graduale del pianto, un approccio ormai sconfessato dagli esperti.
I metodi che promettono di far dormire i bambini sono tantissimi. Quali sono quelli validi? Come abbiamo visto, è impossibile trovare una risposta valida per tutti. Quello che è possibile individuare, però, sono delle best practices che possono aiutare a favorire il sonno dei piccoli e insegnargli a gestire i risvegli notturni imparando a riaddormentarsi da soli:
Discusso e criticato, ma anche definito efficace da chi l'ha provato: parliamo del metodo Estivill per l'estinzione graduale del pianto.
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