
Coronavirus: parto in acqua e parto cesareo, cosa cambia e quali raccomandazioni
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Prevedere il peso alla nascita del bambino consente di diagnosticare un'eventuale macrosomia fetale. Lo screening prenatale si rivela essenziale anche in tal senso, al fine di agire nel migliore dei modi per prevenire ed esorcizzare conseguenze negative per mamma e piccolo.
Si parla di macrosomia fetale quando il feto alla nascita pesa più di 4 kg, mentre si fa riferimento alla macrosomia severa quando il peso supera i 4,5 kg.
Da cosa deriva la macrosomia fetale? La causa più ricorrente è il diabete della madre, sia gestazionale, sia mellito precedente alla gravidanza, dal momento che l’iperglicemia si trasmette alle cellule fetali e l’incremento di glucosio in esse determina un ingrossamento delle medesime cellule. In altri casi, la macrosomia fetale può dipendere da fattori che non riguardano la salute della madre, bensì sono riconducibili ad aspetti genetici ed etnici.
Quando si può parlare realmente di macrosomia fetale? Tendenzialmente quando, come detto sopra, il peso stimato al termine della gravidanza risulta essere superiore ai 4,5 kg. Tuttavia, esistono svariate correnti di pensiero, nonché metodi e valori da far scendere in campo per valutare al meglio la biometria fetale, ovvero l’insieme dei parametri che definiscono la grandezza del bambino, come ad esempio la circonferenza addominale o la lunghezza del femore. Tali ‘rilevamenti’ si ottengono mediante un’ecografia che viene eseguita intorno alla 34esima settimana di gravidanza (al massimo entro le 36esima settimana).
Un’altra procedura impiegata per realizzare le valutazioni in esame è rappresentata dalla misura della distanza sinfisi-fondo, cioè la distanza che c’è tra il punto più alto dell’utero (fondo) e il punto d’inizio del pube (sinfisi pubica). Tale distanza viene rilevata manualmente.
Conoscere preventivamente il peso alla nascita del bambino costituisce un’informazione determinante al fine di prevenire complicazioni. La condizione di macrosomia fetale, in particolare nella forma definita severa, comporta un aumento del rischio di mortalità infantile perinatale, ma solitamente non è fonte di problemi futuri per il bambino.
Per quanto concerne il momento del parto, durante un parto vaginale la mamma può correre il rischio di lesione del perineo e di danni al pavimento pelvico, con conseguente incontinenza fecale e urinaria e prolasso uterino e vaginale. Pertanto, in caso di macrosomia fetale aumentano le probabilità di andare incontro a un parto cesareo d’emergenza o a parto operativo, con ventosa; in alcune circostanze, si programma un taglio cesareo o un’induzione del parto alla 39esima settimana, affinché il bimbo non abbia ulteriore tempo di crescere ancora.
Il bambino, in presenza di macrosomia fetale, corre il rischio di distocia di spalla: si tratta di una condizione che può implicare ulteriori complicazioni, quali danni cerebrali e asfissia. Tuttavia, è bene precisare che la maggior parte dei bambini di peso elevato non vanno incontro a distocia e che le statistiche dimostrano che circa il 50% delle nascite con distocia di spalla interessa bambini di peso inferiore ai 4 kg.
La sindrome di Down è un’anomalia cromosomica: le persone che ne sono affette detengono copia in eccesso del cromosoma 21 e possono presentare sintomi fisici e disabilità intellettive. La probabilità di concepire un bambino affetto dalla sindrome di Down è in assoluto bassa, ma aumenta con l’aumentare dell’età della madre. Per quanto riguarda fattori esterni o determinate abitudini della madre, non sussistono vere e proprie prove certe circa comportamenti ed elementi che possano incrementare la possibilità di concepimento di un bambino con la sindrome di Down.
La diagnosi di tale sindrome può realizzarsi al momento della nascita, ma anche preventivamente, mediante le varie fasi dello screening prenatale, che comprendono la valutazione del peso fetale (con eventuale diagnosi di macrosomia fetale), la valutazione ecografica, la valutazione di eventuali anomalie della crescita e dell’intervallo di crescita fetale, anche attraverso esami non invasivi che, tramite l’analisi del DNA fetale libero circolante isolato da un campione di sangue materno, sono in grado di valutare la presenza di aneuploidie cromosomiche fetali comuni in gravidanza, ovvero quelle concernenti i cromosomi 21, 18, 13 e i cromosomi sessuali X e Y.
Articolo originale pubblicato il 20 agosto 2018
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