La gravidanza è il periodo di tempo che inizia con il concepimento, ovvero, come riassunto dal Manuale MSD, con la fecondazione di una cellula uovo all’interno di una tuba di Falloppio da parte di uno spermatozoo vitale che dà vita allo zigote.

Nel giro di pochi giorni, tramite diverse divisioni cellulari, lo zigote diventa una blastocisti ed è pronto, circa 6 giorni dopo la fecondazione, per impiantarsi nell’endometrio, il rivestimento interno dell’utero. Dopo massimo 2 giorni dall’impianto vi è la formazione del sacco amniotico all’interno del quale vi è il prodotto del concepimento che solo dopo il decimo giorno circa diventerà un embrione.

Questa breve e sintetica premessa è utile per parlare della cosiddetta gravidanza anembrionica, una condizione (nota anche come uovo chiaro o ovulo rovinato) non rara nella quale, seppur la gestazione sia tecnicamente iniziata, l’embrione non c’è.

Cos’è una gravidanza anembrionica?

Parliamo propriamente di una forma di aborto spontaneo che sempre il Manuale MSD classifica tra quelli “non rilevati”. La spiegazione, per quanto apparentemente contraddittoria, è molto semplice: si ha una gravidanza anembrionica quando, come descritto in questo studio, un ovulo fecondato si impianta e si sviluppa portando alla formazione di un sacco gestazionale all’interno del quale l’embrione non c’è.

Questa è la principale causa di aborto spontaneo tanto che l’American Pregnancy Association stima che essa rappresenti la metà di tutti gli aborti spontanei che si verificano nel primo trimestre.

L’avvenuta fecondazione, l’impianto e la formazione del sacco amniotico causano, come ricordato dal Cleveland Clinic, la produzione di una serie di ormoni tipici della gestazione, motivo per cui il test risulta positivo e si possono manifestare anche i primi sintomi di gravidanza. In altri casi l’aborto spontaneo della gravidanza anembrionica si verifica così presto che non ci si accorge dell’evento sia perché non vi sono i sintomi sia perché non si è svolto il test di gravidanza (consigliato da fare tra i 10 e i 14 giorni dall’eventuale concepimento).

La gravidanza anembrionica, proprio per le sue caratteristiche, spesso non viene diagnosticata in quanto durante la prima ecografia che si svolge nelle prime settimane dopo l’esito positivo del test di gravidanza si riesce a vedere solamente la camera gestazionale e non il suo contenuto. Bisogna attendere almeno la settima settimana, cioè quando l’ecografia riesce effettivamente a rilevare l’embrione.

Gravidanza anembrionica: le cause

È difficile individuare, anche per la difficoltà di conoscere il numero e gli episodi di aborto spontaneo delle prime settimane di gestazione, le cause di gravidanza anembrionica.

Le principali motivazioni che provocano il mancato sviluppo dell’embrione o la sua morte sono:

  • anomalie morfologiche embrionali;
  • anomalie cromosomiche;
  • anomalie genetiche;
  • malformazioni uterine (come l’utero bicorne);
  • infezioni del tratto riproduttivo;
  • disturbi immunologici materni;
  • fattori ormonali (come i livelli bassi di progesterone).

Sono inoltre da considerare tutti i fattori di rischio che possono causare un aborto spontaneo tra cui l’obesità, l’età avanzata e l’abuso di alcol materno così come la presenza della sindrome dell’ovaio policistico.

I sintomi della gravidanza anembrionica

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Fonte: iStock

Come riportato in questo studio pubblicato su ScienceDirect, la gravidanza anembrionica è generalmente asintomatica. Laddove ci fossero i sintomi principali sono crampi addominali, spotting vaginali o sanguinamento.

In alcuni casi potrebbe verificarsi anche un anomalo aumento dei valori dell’hCG.

Cosa fare e le conseguenze

Nei casi in cui, a seguito della conferma diagnostica, ci si ritrovasse in presenza di una gravidanza anembrionica, si possono decidere di percorrere diverse strade. La prima è quella di attendere che l’organismo espelli spontaneamente il prodotto del concepimento ed è una soluzione che può rivelarsi psicologicamente ed emotivamente difficile, anche considerando l’attesa di diversi giorni e settimane prima che il processo inizi.

Le soluzioni più efficaci dal punto di vista medico sono l’induzione farmacologica dell’aborto e l’intervento chirurgico. La prima opzione prevede di assumere i farmaci che inducono l’aborto in modo da stimolare l’organismo a espellere i vari tessuti. L’approccio chirurgico, invece, è quello del raschiamento uterino (più propriamente detto dilatazione e curettage) per la completa rimozione del contenuto dell’utero.

Questa opzione è indicata, come riferito dal portale WebMD, per consentire l’analisi dei tessuti in modo da comprendere le cause dell’aborto spontaneo. La decisione su quale opzione percorrere è comunque personale e a discrezione di ogni singola donna.

Il recupero fisico dall’intervento chirurgico richiede generalmente un periodo di tempo che va da 2 a 4 settimane. Per quello psicologico, invece, dipende da tanti fattori che non è possibile stimare con precisione. Solitamente entro 4-6 settimane torneranno le mestruazioni, ma il medico potrebbe consigliare di attendere il completamento di almeno un paio di cicli mestruali prima di tentare un nuovo concepimento.

In presenza di altri casi di aborti spontanei si ha poliabortività e vanno approfondite le cause sottostanti per riuscire a provare ad avere una gravidanza.

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  • Gravidanza