Anonimo

chiede:

Gentile dottoressa, ho 33 ani, sono sposata da nove e mezzo e ho una figlia di quasi 5 anni. Fino al gennaio scorso, non avevo mai pensato seriamente all’eventualità di avere un secondo figlio, anzi ogni volta mi sentivo svenire alla sola idea e questo perché sinceramente, fra maternità e lavoro (sono maestra di scuola materna), i primi anni di vita di mia figlia mi sono sembrati estremamente faticosi, insomma della serie più fatiche che gioie. Anche fisicamente sono andata giù. Da quando è nata la mia bambina ho sperimentato un po’ di tutto: sinusite, gastrite, colite, lombosciatalgia, emorroidi, ansia, depressione, sbalzi d’umore, esaurimento… Mia figlia è una bambina dal carattere ostinato e deciso, capace di far diventare tutto una costante trattativa. Adesso che comincia ad avere quasi 5 anni la cosa va pian piano diminuendo e comunque sta diventando più gestibile, ma resta ugualmente tutta la stanchezza pregressa che non riesco a scacciare. Per questo il desiderio prepotente di un nuovo figlio che a ondate ricorrenti si affaccia dentro di me mi lascia alquanto sorpresa e anche irritata: vorrei riuscire semplicemente a godermi quello che ho adesso, conquistato faticosamente; dare tregua al mio corpo, al mio sistema nervoso; non mettere a repentaglio il lavoro che ci serve per vivere. E’ come se questa cosa gridasse dentro di me e volesse essere realizzata a tutti i costi. Razionalmente sono convinta che sia meglio tenermi quello che ho così. Sono anche abbastanza certa che un altro figlio andrebbe a turbare degli equilibri che sono stati raggiunti solo da poco e non senza sforzo. E poi mi domando: perché un altro bambino? Mia figlia sta benissimo anche da sola e non chiede niente del genere; mio marito crede anche lui che sia meglio non rischiare di perdere la tranquillità che cominciamo ad avere, benché si dimostri accogliente verso un’idea simile; il mio lavoro così snervante sarebbe ancora più snervante se a casa la sera trovassi non più una bambina di quasi 5 anni, bensì un bimbo di 12-13 mesi. Insomma, sembrano essere solo contro e niente pro e mi sto convincendo che questo desiderio a ondate sia forse la voce di una mia parte intima, che tutte le donne hanno, che chiede istintivamente di essere assecondata, ma che probabilmente è meglio mettere a tacere, per la paura di ritrovarsi con problemi più grossi. Mi sento spaccata metà: da una parte l’istinto che non mi fa guardare all’oggettività delle cose come sarebbero; dall’altra la voce della ragione, che mi disillude e mi riporta alla realtà. In tutto questo c’è la frustrazione di sentirmi una donna/mamma incapace, perché non me la sento di affrontare ciò che moltissime donne affrontano senza fare tanti drammi. Ho paura che fra 20 anni guarderò indietro e mi pentirò di questa mia debolezza. Sono un’ansiosa e questo mi spinge spesso a seguire la strada pù sicura e più prevedibile, ma alla lunga sento che mi perdo le cose vere della vita. La prego mi dia un suo parere. Cordiali Saluti.

Buongiorno, non so se potrò esserle di aiuto, quello che mi viene da dirle è la prima impressione che ho avuto di fronte alle sue parole. Lei descrive in maniera perfetta la fatica, la stanchezza, la spossatezza che un figlio molto richiedente in termini di energie ed un’organizzazione familiare che non prevede quasi mai pause di riposo (come purtroppo è diventato comune nella stragrande maggioranza delle famiglie oggi) che lei e, immagino, anche suo marito avete vissuto e a tratti tuttora vivete. In questo sento di “rassicurarla” dicendole che quello che prova non è solo suo, ma di tanti genitori oggigiorno. La società è talmente cambiata, in senso negativo per la famiglia, che ci vuole già una buona dose di coraggio a fare il primo figlio, il secondo (per non parlare di eventuali terzi o quarti, etc.) diventa a volte un’avventura massacrante. Pochi asili nido, spesso assenza di nonni, ritmi di lavoro assolutamente incompatibili con una gestione familiare che richiederebbe al contrario tempo, calma, serenità. In tutto questo la scelta di avere un figlio, a seconda delle situazioni di sostegno familiare e sociale, diventa qualcosa o di molto naturale o di molto coraggioso. Io credo che la sua percezione di stanchezza e, mi pare, a tratti di frustrazione siano dovuti solo in parte al suo carattere, magari più ansioso di altri, magari non fornito di dosi enormi di pazienza. Credo che molto del malessere che lei descrive sia anche dovuto ad una rete di sostegno intorno a lei e suo marito che evidentemente, per le vostre necessità, non è sufficiente. Questo vi dà la sensazione di avere un carico familiare, e quindi una stanchezza, molto pesante. Trovo per questi motivi più che lecito chiedersi se assecondare il desiderio prettamente viscerale di avere un figlio sia una buona idea o no, insomma se poi ci si fa o meno a tenere botta. Ma adesso, analizzati gli aspetti organizzativi e concreti, mi lasci dire la prima impressione che ho avuto leggendo la sua lettera: dove sta la pancia? Dove sta l’emozione? Avere un figlio non è solo una questione di organizzazione familiare (anche se per come è strutturata la società oggi ripeto che è fondamentale prendere in seria considerazione tutti gli elementi organizzativi in gioco), è anche un arricchimento emotivo, un’esperienza atavica di realizzazione personale e familiare, è un attribuzione di senso al proprio progetto di vita, un proiettare noi stessi nel futuro, nella vita dopo la nostra morte. Allora il mio è un invito a contattare, accanto alla dimensione della fatica e della stanchezza, anche la dimensione dell’amore che prova per sua figlia, per il significato che avere sua figlia ha avuto nella sua vita e in quella di suo marito, quello che nella sua esistenza crede sia più importante realizzare. Questo non vuol dire che se lei decide di non avere un secondo figlio è un’egoista, ci mancherebbe. Vorrei solo invitarla a valutare tutti gli elementi, perché sento che la stanchezza ha coperto in questo momento della sua vita tutto ciò che sta sotto, le emozioni che stare con sua figlia le suscita. Se deciderà che sua figlia le basta andrà benissimo così, se sente che il suo livello di energia non può concederle l’esperienza di un secondo figlio concentri quella stessa energia, non solo fisica ma anche e soprattutto emotiva nel godersi sua figlia che adesso, passato il periodo più faticoso, può iniziare a farle vivere l’esperienza dell’essere madre con maggiore gratificazione e senso di attaccamento. Se invece la voglia di un secondo figlio continua a bussare alla sua porta, cerchi di affiancare ai lati “negativi” (di fatica, di organizzazione familiare) le emozioni che diventare madre un’altra volta le susciterebbe, il senso di appagamento, di amore, di calore, di realizzazione. Si conceda di contattare dentro di lei anche questa parte, altrimenti stando in contatto solo con la fatica e la frustrazione della vita si perde piano piano il senso di tutto ciò che si fa, se ciò che ci suscita è solo dolore.

* Il consulto online è puramente orientativo e non sostituisce in alcun modo il parere del medico curante o dello specialista di riferimento

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