Secondamento, quali sono le possibili complicazioni della seconda parte del parto

Il parto non si conclude con la nascita del bambino, ma con l'espulsione della placenta. Facciamo chiarezza sulla terza fase del travaglio scoprendo come e quando si verifica e a quali complicazioni si può andare incontro.

Il parto è, propriamente, il passaggio del feto e della placenta dall’utero verso l’esterno. È un processo che si suddivide in tre fasi: dall’inizio del travaglio alla completa dilatazione della cervice (prima fase), dalla completa dilatazione al passaggio del feto (seconda fase), dal passaggio del feto a quello della placenta (terza fase).

Non è, quindi, la nascita del bambino a determinare la fine del parto, ma la completa espulsione anche della placenta. Ed è quello che avviene nel cosiddetto secondamento, la terza fase del parto.

Diversi medici e ricercatori, come riportato dal portale Medscape, propongono di aggiungere anche una quarta fase del travaglio che inizierebbe dopo l’espulsione della placenta e si concluderebbe nelle ore successive. Questo perché si è soliti sottovalutare ciò che avviene dopo la nascita del bambino, come se questo fosse l’ultimo (e unico?) evento importante durante il parto.

In realtà, dalla terza fase del travaglio possono avvenire una serie di eventi avversi (complicanze) su cui è fondamentale prestare la massima attenzione.

Che cos’è il secondamento?

Come anticipato il secondamento è la terza e ultima fase del travaglio, quella nella quale avviene l’espulsione della placenta. La separazione della placenta dall’utero è caratterizzata, come evidenziato in questo studio, da tre segni: uno zampillo di sangue dalla vagina, l’allungamento del cordone ombelicale e un fondo uterino di forma globulare alla palpitazione.

Il secondamento fisiologico

L’espulsione della placenta avviene in maniera fisiologica solitamente entro 30 minuti dalla fine della fase espulsiva. Questo avviene mediante le contrazioni uterine che continuano dopo il parto favorendo il distacco della placenta dall’endometrio sottostante. Man mano che l’utero si restringe, infatti, vi è una riduzione della superficie sulla quale la placenta era attaccata; in questo modo la placenta viene staccata e spinta verso l’esterno.

L’assistenza al secondamento prevede, come riportato nelle linee guida dell’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGI) per la prevenzione, la diagnosi e il trattamento dell’emorragia post-partum, una condotta di attesa o una gestione attiva.

Nella condotta di attesa si ha un atteggiamento clinico passivo di attesa di un evento che solitamente avviene in modo fisiologico e spontaneo. È un atteggiamento non invasivo che mira a non modificare l’evento della nascita anche nel rispetto della psicologia della partoriente. In questo caso si attendono i segni di separazione della placenta.

La gestione attiva è una procedura preventiva, moderatamente invasiva, che modifica, anche se minimamente, la progressione fisiologica dell’evento della nascita e ha come scopo quello di prevenire l’emorragia post-partum. Nella gestione attiva si procede con il clampaggio e recisione precoci del cordone ombelicale, la trazione controllata del cordone ombelicale e l’utilizzo di farmaci uterotonici.

Il secondamento manuale

secondamento-manuale
Fonte: iStock

Il Manuale MSD indica come nel caso in cui una placenta non fosse stata espulsa entro 45-60 minuti si valuta il secondamento manuale. Per procedere è necessaria un’anestesia o una forma adeguata di analgesia per poi inserire una mano nella cavità uterina in modo da distaccare la placenta dalla sua inserzione e consentirne l’estrazione.

Le possibili complicazioni e la placenta ritenuta

Come anticipato sono diverse le complicazioni che si possono verificare durante la terza fase del travaglio. Le principali, come riportato dal portale News-Medical.Net, sono: emorragia post-partum, ritenzione della placenta e delle membrane (placenta accreta o ritenuta), atonia uterina e inversione uterina.

L’emorragia post-partum è una delle principali cause di morbilità e mortalità materna e un fattore di rischio importante per questa complicazione è legato proprio a un secondamento prolungato.

Si parla di placenta ritenuta quando una parte o l’intera placenta rimane attaccata per oltre 30 minuti dopo il parto. Questa complicanza si può verificare per una prematura chiusura della cervice, per una placenta previa o per la presenza di una vescica piena che impedisce il passaggio della placenta tramite il canale del parto.

Può capitare che il mancato secondamento dipenda da un’insufficiente capacità contrattile dell’utero. Se l’utero non si contrae abbastanza (a causa, tra le altre, di un travaglio prolungato o di un protratto utilizzo dell’ossitocina) la placenta non riceve stimoli sufficienti per staccarsi ed essere espulsa.

L’ultima, sebbene rara, complicanza del terzo stadio del travaglio è l’inversione uterina per cui l’utero viene capovolto e fuoriesce (parzialmente o completamente) dall’orifizio vulvare.

Seguici anche su Google News!
Ti è stato utile?
Non ci sono ancora voti.
Attendere prego...

Categorie

  • Parto