Natalia Levinte: "Smettiamola di dire che 'la mamma è sempre la mamma'" - INTERVISTA

Angelo del focolare, pilastro indistruttibile, insostituibile fulcro di equilibrio domestico. La madre, nella narrazione comune, è tutto questo. Ma può essere anche molto altro, se solo distruggiamo "l'idea di famiglia nucleare" che abbiamo in testa. Parola di Natalia Levinte.

C’è una certa e perseverante narrazione della genitorialità che mette al centro la vocazione al sacrificio e al martirio insita nelle donne, rendendoli fondamento “delle migliori famiglie”. Se mancano sacrificio e martirio, pare che le basi per la serenità di coppia e familiare non possano sussistere.

Come si scardina un’idea così internalizzata? Lo abbiamo chiesto a Natalia Levinte, apprezzatissima coach e podcaster che, sui suoi canali editoriali e social, cerca di divulgare su un tema ancora troppo poco battuto: il femminismo delle mamme.

Oltre al femminismo classico, quello di cui sempre di più si parla ora e non soltanto nei circoli intellettuali, c’è tutto un altro femminismo che si chiama matricentrico. All’estero si studia e si approfondisce moltissimo questo tema che punta a capire come collegare femminismo e maternità.

Per Natalia, che ha frequentato l’università a Torino e si è aperta a questo argomento durante un periodo di studi in Inghilterra, “spesso le femministe vengono dipinte come donne senza figli, come se le due cose fossero separate e inconciliabili“. Lei, con il suo podcast L’ora delle mamme, i corsi e i suoi contenuti social, punta a scardinare l’idea che i figli siano un limite al femminismo. O, se non altro, alla nascita di una nuova consapevolezza.

Dopo la laurea, Natalia conosce il suo attuale marito e si trasferisce in Austria. Qui comincia il percorso che la porterà al punto in cui si trova.

Mi sono ritrovata in una situazione molto patriarcale. Un anno prima ero una ragazza che studiava, viaggiava e leggeva, indipendente e serena. Poi sono diventata la futura madre incinta e con un marito in carriera, sempre in giro per lavoro. In questo periodo ho cominciato a leggere libri e saggi sul femminismo e sulla maternità, soprattutto in relazione a come mi sentivo rispetto all’arrivo di mia figlia.

Non per tutte la maternità è amore al primo sguardo. E anche Natalia, sola in un paese straniero, ha sentito che in lei c’era qualcosa di sbagliato se non provava ciò che gli altri le dicevano di dover provare per la creatura che aveva in grembo.

All’inizio pensavo ci fosse qualcosa di sbagliato in me. ‘Non hai l’istinto materno’ mi sono detta parecchie volte. Ora so che questo è uno dei più subdoli stereotipi legati alla maternità, consolidato da anni di libri, teorie e patriarcato interiorizzato. ‘Ti innamorerai di tua figli* appena la vedrai’, ti dicono e ti ripeti. Ma spesso non è vero. Non succede a tutte le donne, ma quelle che non si riconoscono in questo quadro idilliaco spesso sono spinte a non raccontare come si sentono perché solo chi dice il contrario, chi predica amore a prima vista, riceve consenso in questa società.

Le voci di chi magari un figlio non lo ama da subito, ma coltiva quella dedizione giorno per giorno anche attraverso la cura del bambino, secondo Natalia, sono ancora troppo flebili. Un altro grande stereotipo sull’essere madre, per lei, è legato alla felicità nell’accudimento.

La relazione con i figli è una relazione umana come tutte le altre. Non esiste amare e basta, sempre, incondizionatamente. Perché questo non dovrebbe valere anche per i nostri figli?

Sugli stereotipi legati alla paternità, Natalia Levinte parte dal detto “La mamma è sempre la mamma” per capovolgerne il significato.

Se dici che la mamma è sempre la mamma metti il papà in secondo piano. Fai un torto al bambino, fai un torto alla mamma e anche al papà. Se vogliamo responsabilizzare e condividere la cura dei figli per davvero, dobbiamo smettere di pensare che la madre sia superiore, che sappia di più dell’altro genitore. Il mitologico istinto materno che viene infuso alla donna con la nascita del figlio è, appunto, solo un mito. Il padre in questa narrazione è sempre un aiutante, è sempre considerato secondo. Questa idea non fa bene a nessuno, alle madri per prime.

Termini come patriarcato, misoginia interiorizzata, carico mentale, lavoro invisibile e privilegio compaiono spesso nei contenuti di Natalia, in modo intuitivo e semplice da capire anche da parte di chi non ha un background femminista. Per lei il punto di partenza per ampliare il più possibile il dibattito è la sospensione del giudizio, perché “non dobbiamo giudicare le donne che sono assuefatte a questo sistema, dobbiamo ascoltarle e capire quali bisogni hanno e quali margini di consapevolezza esistono”. Tutto, per Natalia, affonda nel concetto stesso di patriarcato, che si è consolidato negli ultimi secoli mettendo al centro l’immagine dell’angelo del focolare, della madre il cui corpo è essenza stessa della fecondità.

Di fatto il patriarcato si fonda e sfrutta il corpo delle donne, mette l’accento sul tempo che queste dedicano (o non dedicano) ai figli, alla casa e ai loro uomini. Il lavoro delle madri è definito anche ‘invisibile’. Ed è l’unico lavoro invisibile e non retribuito sul quale si fonda l’essenza del capitalismo. Come si scardina? Con tantissima fatica: perché prima va capito, poi si passa alla fase di affrancamento. Bisogna analizzare tutti i nostri sistemi, culturali e personali, e una volta che si è acquisita consapevolezza allora si può iniziare un cammino, sia personale o di divulgazione come ho deciso di fare io.

Come si inizia, dunque?

Se ne esce distruggendo l’idea della famiglia nucleare, un concetto che non sempre funziona. Il passo più importante è responsabilizzare i padri. Ci sono tanti uomini che si battono per il femminismo attivamente, ma rimane il fatto che uomini e donne della nostra generazione siano su due livelli di consapevolezza diversa. Sempre più uomini, però, stanno cambiando. Dobbiamo dargliene atto. Per non vivere con la rabbia e la frustrazione costante di non aver raggiunto l’obiettivo di rendere gli uomini femministi dobbiamo imparare a misurare le evoluzioni che facciamo, seppur piccole.

Così da una parte si sgrava il carico mentale delle donne e si frammentano le basi patriarcali che fondano molte famiglie. Dall’altro, si spingono gli uomini con potere decisionale nella società in cui viviamo – lo dicono numeri e stime che sono in posizione più alta rispetto alle donne – a prendere parte attiva a un cambiamento già in corso.

Di questo cambiamento si vedono piccoli sprazzi, perché i passi avanti che già sono stati fatti dalle ultime generazioni sono minuscoli. Eppure ci sono. Natalia Levinte ha scelto di parlare alle donne femministe che sono anche mamme perché quando era incinta di sua figlia non ha trovato nulla, sul web o tra i libri disponibili sul tema, che potessero rispondere ad alcune domande e sensazioni che provava.

Così, oltre al suo podcast, ha lanciato anche tre corsi in collaborazione con degli esperti a tema Nanna, Allattamento e Parto. Tre temi sentitissimi attorno a cui ruotano ancora troppi tabù, stereotipi e false aspettative. Sta lavorando, Natalia, anche a un corso sul senso di colpa delle mamme, un tema molto sentito nella sua community. Lo farà in collaborazione con una psicologa per scardinare l’idea che accudimento, amore incondizionato e dedizione assoluta debbano scattare all’improvviso nella mente materna. E se ciò non succede, allora c’è qualcosa che non va.

Noi amiamo i nostri figli perché ci prendiamo cura di loro, e non ci prendiamo cura di loro perché li amiamo. Non possiamo ridurre tutto all’amore: quello si forma, giorno per giorno, anche grazie all’accudimento. Parlare di femminismo alle madri è un modo per ampliare il dibattito: continuerò a farlo, perché ha aiutato me ad acquisire consapevolezza e ha un grande potenziale su tantissime donne. Di riflesso, come un’ondata, arriverà anche ai padri e poi ai figli. Il cambiamento è possibile.

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