
Da cosa dipende la capacità dei bambini di autoregolare le proprie emozioni? Un interessante esperimento prova a indagare questo aspetto.
Perché la paura degli estranei si manifesta nel bambino e come bisogna comportarsi? La psicologa spiega come affrontarla.
Come spiega Anna Cebrelli, la paura degli estranei è un’esperienza comune a tutti i bambini:
Tutti i bambini sviluppano l’emozione della paura intorno ai 5-7 mesi, quando incrementano anche le capacità motorie e iniziano a esplorare l’ambiente circostante. Se nei primi mesi di vita possono essere presi in braccio da persone diverse, tra gli 8 e i 9 mesi comincia a manifestarsi la paura dell’estraneo.
Cosa succede in questi casi?
Di fronte a volti e situazioni nuove, il bambino diventa irrequieto; manifesta paura, circospezione, può piangere.
Si tratta di un atteggiamento “normale”?
Assolutamente sì. La presenza di questo fenomeno fa parte dello sviluppo dell’attaccamento.
Di cosa si tratta?
La teoria dell’attaccamento di Bowlby del 1969 descrive l’attaccamento come un sistema comportamentale interno che definisce le emozioni del bambino verso gli altri. Si tratta di uno schema biologico innato grazie al quale il bambino può organizzare verso l’esterno le diverse risposte (come il pianto o il sorriso), e distinguere tra le diverse figure dell’attaccamento.
Può farci un esempio?
Se prima il bambino poteva essere preso in braccio da tutti, intorno agli 8 mesi il bambino è in grado di distinguere chi può prenderlo in braccio e chi no; è più attivo, riesce a discriminare chi sente vicino e chi estraneo; ha più consapevolezza del mondo esterno. Anche la paura, che il bambino può manifestare con il pianto, è quindi un segnale del progresso evolutivo del bambino.
Più avanti, intorno ai 9-10 mesi il bambino compie un ulteriore passo in avanti nello sviluppo:
A quest’età il bambino è in grado di usare l’altro come un riferimento sociale. Di fronte a una situazione nuova, può usare l’emozione dell’altro, per esempio il sorriso della mamma, per orientare il suo comportamento.
La paura degli estranei si inserisce in questa specifica fase di sviluppo del bambino, che si evolve e matura in modo complesso. Per il bambino, l’attaccamento assicura benessere, l’allontanamento induce in lui uno stato di possibile allerta:
Quando sperimenta la paura, il bambino potrebbe essere inquieto: piange, non gioca, non esplora, non cerca la mamma. Quando sta bene il bambino riesce a giocare in modo sereno, mentre se c’è un’allerta il bambino si blocca e cerca la prossimità con la figura che gli conferisce maggiore benessere e serenità.
Come spiega la psicologa, i genitori non devono spaventarsi di fronte alle manifestazioni emotive di paura del bambino (che possono essere anche molto intense), se si inseriscono in questo preciso momento evolutivo:
La paura mostra il raggiungimento di un’abilità del bambino, quella di discriminare tra figure dell’attaccamento e il mondo esterno. In quest’ottica, non bisogna preoccuparsi ma piuttosto guardare all’irrequietezza di fronte a situazioni e volti nuovi come a una tappa importante dello sviluppo psicofisico del bambino.
Cosa si dovrebbe fare in questi casi?
I comportamenti del bambino che mostra paura non vanno inibiti ma accolti, rassicurandolo, e magari stimolandolo a reagire in modo differente. Il genitore dovrebbe avere un atteggiamento disteso. Inoltre, bisogna ricordare che non tutti i bambini sono uguali e non tutti reagiscono allo stesso modo, ma intervengono delle variabili come il temperamento del bambino, il contesto sociale, il tipo di situazione e lo stile di attaccamento.
Ci sono casi in cui la paura può essere la spia di un disagio diverso?
Se il bambino prosegue ulteriormente reazioni intense di paura, anche oltre a questa specifica fase evolutiva, allora si dovrebbe cercare di capire cosa succede, ma se il tutto avviene in questo range d’età, allora non c’è nulla di cui preoccuparsi.
Da cosa dipende la capacità dei bambini di autoregolare le proprie emozioni? Un interessante esperimento prova a indagare questo aspetto.
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