Il prurito è una condizione comune a molte donne in gravidanza, ma non sempre è un sintomo innocuo. È il caso della cosiddetta colestasi gravidica, una condizione molto diffusa in gravidanza, specialmente nell’ultimo trimestre e che interessa l’1-2% delle gravidanze (con un rischio maggiore nelle donne che hanno già sofferto di questa patologia).

Di per sé è una condizione non pericolosa per la donna, ma espone il feto a una serie di rischi molto gravi, in alcuni casi addirittura letali. È quindi importante conoscere meglio la colestasi gravidica, quali sono le cause, come riconoscerla (e quando preoccuparsi in presenza del sintomo del prurito) e come gestirla correttamente.

Cos’è la colestasi gravidica?

La colestasi gravidica è la forma di colestasi che colpisce le donne durante la gravidanza. Più correttamente si parla di colestasi intraepatica (e in alcuni casi di colestasi ostetrica), in quanto esistono forme di colestasi che si manifestano al di fuori del fegato (colestasi extraepatica).

La colestasi intraepatica della gravidanza (ICP), quindi, è una malattia per la quale vi è la riduzione del flusso biliare canalicolare che determina “la ritenzione del sangue di una o più sostanze normalmente secrete dalla bile”. Tra queste sostanze rientrano i sali biliari, il colesterolo, la bilirubina, gli enzimi biliari e i fosfolipidi.

La colestasi gravidica può essere definita come l’alterazione del rilascio della bile (il fluido digestivo prodotto dalle cellule del fegato) che si accumula nel flusso sanguigno e nel fegato e compromettendone le funzionalità. Con il parto e la fine della gravidanza il flusso di bile ritorna ai valori normali e scompaiono anche i sintomi, ma è una condizione che può ripresentarsi con maggiore probabilità nelle successive gravidanze.

Le cause della colestasi gravidica

Non tutti i meccanismi alla base dell’anomalo flusso di bile sono noti, ma tra gli elementi che possono contribuire a determinare la colestasi durante la gravidanza c’è sicuramente l’attività degli ormoni, specialmente gli estrogeni ma anche il progesterone, che possono rallentare o interrompere il flusso di bile al fegato.

Per questo motivo la colestasi gravidica si sviluppa nel terzo trimestre (a volte anche nel secondo) quando i livelli ormonali sono più alti. Ci sono anche fattori genetici che possono contribuire allo sviluppo di questa patologia, così come la presenza di calcoli alla cistifellea, l’epatite C, una gravidanza gemellare (specialmente se ottenuta tramite FIVET) o una donna che in precedenza ha avuto problemi o malattie a carico del fegato.

Nel 60-70% dei casi, infatti, è possibile avere una recidiva di colestasi gravidica.

Colestasi gravidica: i sintomi

L’aumento dei livelli di bile determina il prurito, il sintomo tipico della colestasi gravidica. Questa condizione, infatti, si manifesta con prurito intenso, persistente e fastidioso senza rush cutaneo che può essere generalizzato o localizzato nella zona del palmo della mano o della pianta del piede. Il prurito diventa ancora più fastidioso durante la notte, condizionando negativamente il riposo notturno.

Altri sintomi comuni all’ICP sono: urine scure, ittero, steatorrea (grasso nelle feci) e in alcuni casi anche nausea, dolore nel quadrante superiore destro dell’addome, perdita di appetito e stanchezza.

Spesso il prurito è l’unico sintomo percepito e in caso di dubbi il medico prescrive degli esami del sangue che restituiscono informazioni sulla funzionalità del fegato e sui livelli di acidi biliari. Si ha una diagnosi di colestasi gravidica quando i livelli di acidi biliari totali (TBA) e degli acidi biliari sierici superano i 10 micromol/L. A seguito della conferma diagnostica sarà necessario sottoporsi a regolari test della funzionalità epatica per monitorare l’evolversi della condizione e dello stato di salute del feto.

Nel caso in cui il prurito non fosse accompagnato dall’aumento degli acidi biliari e il valore delle transaminasi è normale può essere necessario ripetere settimanalmente il controllo sierologico. Parallelamente può essere utile anche un controllo dermatologico per escludere patologie sistemiche che possono causare il sintomo del prurito.

Colestasi gravidica: i rischi per il feto

La colestasi gravidica è, come anticipato, una condizione potenzialmente letale per il feto. Tra i rischi più gravi, infatti, c’è la natimortalità, ma non sono da escludere il parto prematuro e l’eliminazione di meconio da parte del feto con conseguente rischio di aspirazione dello stesso.

Inoltre la colestasi gravidica può provocare nel feto un battito cardiaco lento con mancanza di ossigeno durante il parto. Sono da menzionare, sebbene molto rare, anche delle conseguenze sulla donna.

L’anomala funzionalità epatica può portare a un temporaneo scarso assorbimento di grassi con possibile diminuzione dei livelli di fattori dipendenti dalla vitamina K che sono coinvolti nella coagulazione del sangue.

Il trattamento della colestasi gravidica

Di per sé la colestasi gravidica non può essere curata, ma viene trattata sia per la riduzione dei fastidi legati ai sintomi che per prevenire le complicanze. Per la gestione dei sintomi possono essere prescritti farmaci topici anti-prurito, farmaci con corticosteroidi e quelli capaci di ridurre la concentrazione di acidi biliari. Uno dei farmaci più impiegati è l’acido ursodesossicolico che può essere assunto anche in dosi elevate senza controindicazioni per il feto.

Laddove i farmaci non riuscissero a ridurre i livelli di bile, anche in base alla settimana di gestazione e al quadro di salute materno-fetale generale, può essere valutato il ricorso al parto pretermine con l’induzione del travaglio. Parallelamente si valuta l’uso di integratori di vitamina K prima e dopo il parto anche per prevenire l’emorragia intracranica e l’emorragia post-partum.

La presenza della colestasi gravidica non preclude la possibilità di ricorrere al parto naturale né condiziona l’allattamento al seno. Inoltre generalmente i sintomi spariscono e i livelli di acidi biliari tornano normali entro le prime quattro settimane dopo il parto.

Colestasi gravidica e alimentazione

Colestasi gravidica alimentazione
Foto iStock

Data la particolare condizione che interferisce sull’assorbimento dei grassi è consigliato ricorrere a una dieta ipolipidica. L’attenzione all’alimentazione è utile per ridurre il fastidio dei sintomi e per evitare forme più gravi di colestasi gravidica.

L’indicazione è quella di evitare cibi particolarmente elaborati, speziati e piccanti, così come gli insaccati e i fritti. In generale tutti gli alimenti più difficili da digerire sono da evitare preferendo quelli ricchi di vitamine del gruppo B che favoriscono il funzionamento del fegato, senza dimenticare l’importanza di bere ogni giorno molta acqua.

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  • Patologie in gravidanza