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In Italia ogni anno 130-140 nuovi casi di una malattia grave e con elevati tassi di mortalità.

Nell’estate del 2025 è giunto alla fase finale lo studio, iniziato nel 2018, condotto dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù sul trattamento del neuroblastoma, in modo particolare quello refrattario o recidivante. I risultati di quello studio, pubblicati sulla rivista Nature Medicine, mostrano che le cellule sviluppate e sperimentate siano state in grado di migliorare in modo significativo la prognosi del neuroblastoma, una delle forme di tumore pediatrico più difficili da trattare. Un risultato che contribuisce ad aumentare il tasso di sopravvivenza dei tumori infantili.
Sempre l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù definisce il neuroblastoma come il tumore più comune della prima infanzia. La Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche (SICuPP) indica che il neuroblastoma rappresenta l’8-10% delle neoplasie infantili a livello globale e contribuisce al 15% dei decessi per tumore infantile.
L’Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica (AIEOP) riferisce che solo in Italia vengono diagnosticati ogni anno 130-140 nuovi casi per una malattia, come riportato dall’European Neuroblastoma Association Onlus (ENEA), che è la prima causa di morte per malattia in età prescolare.
È un tumore maligno raro che, come spiegato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), colpisce prevalentemente i neonati e i bambini con meno di 10 anni. Fondamentalmente si tratta di un tumore che nasce dalle cellule del sistema nervoso autonomo. Più precisamente, riporta la Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro, è un tumore che origina dai neuroblasti, ovvero le cellule nervose immature o in fase di sviluppo, che fanno parte del sistema nervoso simpatico. Si tratta di quel sistema che controlla due funzioni involontarie vitali, come la respirazione e il battito cardiaco.
Il Journal of Clinical Oncology riporta l’International Neuroblastoma Risk Group Staging System (INRGSS), lo standard più recente utilizzato per classificare, in base al rischio, il neuroblastoma. Si hanno quindi questi quattro stadi:
Il neuroblastoma può svilupparsi in qualunque sede si trovi il sistema nervoso simpatico. Le principali, come riportato dal Manuale MSD, sono le ghiandole surrenali e i gangli nervosi simpatici paraspinali, posti lungo la colonna vertebrale al livello del collo, del torace, dell’addome o delle pelvi. Le cause precise per cui si sviluppa questo tumore non sono ancora del tutto chiare, ma può essere associato ad alcune alterazioni genetiche. I principali fattori di rischio sono l’esposizione prenatale ad alcol, fumo, radiazioni, pesticidi e farmaci con l’assunzione dell’acido folico in gravidanza che sembra essere efficace nel ridurne il rischio.
La rivista Medico & Bambino riporta che solo l’1-2% dei casi è una forma ereditaria o familiare associata alla modifica nel numero o nella struttura dei geni ALK o PHOX2B che si verificano spontaneamente nelle prime fasi dello sviluppo embrionale.
Tra le particolarità del neuroblastoma c’è, come riportato dal portale Orphanet, una sintomatologia estremamente variabile che dipende sia dalla sede di origine della malattia che dall’eventuale presenza di metastasi. I principali sintomi sono:
Esistono anche una serie di sintomi non specifici come febbre, anemia, pallore, irritabilità e cambiamenti d’umore.
Il neuroblastoma, spiega la Mayo Clinic, colpisce soprattutto i bambini con meno di 5 anni. L’età media per la diagnosi è di 18-24 mesi. Il ritardo diagnostico è spesso dovuto proprio alla non specificità dei sintomi. Un aspetto importante da considerare è che generalmente la prognosi è molto buona nei bambini con meno di un anno, a prescindere dall’estensione della malattia. In questi casi è possibile che il neuroblastoma regredisca spontaneamente, soprattutto se la malattia ha colpito cute, fegato o midollo osseo. Nei bambini con più di un anno e con malattia disseminata, il neuroblastoma è molto aggressivo tanto che la sopravvivenza è inferiore al 50%. Inoltre circa il 30% dei bambi con neuroblastoma sviluppa una recidiva che compare dopo una remissione completa.
La diagnosi si basa su indagini cliniche, biochimiche e di imaging. Gli esami biochimici includono le analisi del sangue e delle urine, mentre la diagnostica per imaging utilizzata è la tomografia computerizzata, la risonanza magnetica, la scintigrafia con MIBG, la PET e la biopsia che consente l’identificazione definitiva della malattia e la sua classificazione istologica.
A oggi esistono diverse opzioni terapeutiche a seconda dell’età del paziente, dello stadio della malattia e delle caratteristiche del tumore. La terapia di prima scelta è l’intervento chirurgico per l’asportazione radicale del tumore. Nelle forme più estese solitamente l’intervento chirurgico viene posticipato successivamente alla chemioterapia con l’obiettivo di ridurne la massa così da facilitarne l’asportazione.
Nei pazienti ad alto rischio si valuta il ricorso alla radioterapia. Esistono anche terapie biologiche e di precisione (retinoidi, immunoterapia, terapia a base di farmaci mirati su specifiche mutazioni genetiche) cui fare riferimento.
Negli ultimi anni la ricerca ha compiuto importanti progressi nella cura del neuroblastoma, grazie anche a quella nuova terapia sviluppata dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di cui abbiamo parlato all’inizio. Si tratta di un trattamento innovativo basato sulle cellule CAR-T, una forma di immunoterapia che utilizza le cellule del sistema immunitario del paziente stesso, riprogrammate per riconoscere e distruggere le cellule tumorali.
Le cellule T vengono modificate in laboratorio in modo che riconoscano una specifica molecola presente sulle cellule del neuroblastoma, chiamata GD2. Dopo una fase di preparazione che facilita la loro azione, vengono reinfuse nel paziente dove iniziano a colpire in modo mirato il tumore. La terapia dispone anche di un meccanismo di sicurezza che permette di disattivare le cellule in caso di effetti indesiderati gravi.
I risultati dello studio mostrano tassi di risposta molto incoraggianti, con remissioni complete in una parte significativa dei bambini trattati e una sopravvivenza prolungata nei casi a prognosi più severa. Pur non sostituendo le cure tradizionali, la terapia con cellule CAR-T rappresenta oggi una delle prospettive più promettenti per i pazienti affetti da neuroblastoma ad alto rischio e nelle recidive.

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