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Le informazioni sui benefici dell’allattamento al seno sono sempre più diffuse e accessibili, in rete e non solo. Per questo sono in aumento le mamme che optano per un allattamento a termine. Ma cosa significa, concretamente, allattare a termine? In estrema sintesi, si tratta di lasciare che sia il lattante, in accordo con la nutrice, a decidere quando interrompere l’esperienza dell’allattamento al seno, anche se questa finisce per prolungarsi molto, inevitabilmente, rispetto alla “media” degli allattamenti.
Allattare a termine significa, di solito, allattare a richiesta. Questo vale soprattutto nei primi sei mesi di vita del bambino, ma molte mamme scelgono di continuare anche dopo aver cominciato lo svezzamento, introducendo quindi alimenti solidi nella dieta del piccolo. Allattare a richiesta significa appunto attaccare al seno il lattante ogni volta che lui ne senta la necessità, non solo per rispondere a un bisogno alimentare, ma anche per soddisfare altre esigenze primarie (sonno, paura, desiderio di contatto, malessere fisico etc).
Perché un allattamento giunga a termine, di solito è necessario evitare qualsiasi fattore esterno cge possa interferire con la lattazione, come ciucci, biberon, paracapezzoli etc. La produzione di latte materno, infatti, funziona secondo un meccanismo di domanda e offerta, e si mantiene nel tempo (anche per anni) solo se il bambino la alimenta attaccandosi al seno. L’uso di “alternative” al capezzolo può alterare questo equilibrio, inibendo la richiesta da parte del bambino e quindi la produzione di latte materno.
Non esiste una regola generale, di solito un bambino allattato esclusivamente al seno e a richiesta tende a non staccarsi in modo spontaneo prima dei 3 o 4 anni di età, ma esistono casi di allattamento andati avanti anche oltre questo termine. È possibile, in assenza di controindicazioni specifiche, allattare anche durante una gravidanza successiva, e anche allattare contemporaneamente due fratelli di età diverse (il cosiddetto allattamento in tandem). Tarandosi in base alle richieste, infatti, la produzione di latte non rischia di essere insufficiente. Se portare avanti o meno un allattamento a termine rappresenta, in ultima analisi, una decisione che spetta alla madre e che, nei limiti del benessere suo e del bambino, non dovrebbe subire condizionamenti o giudizi dall’esterno.
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